Monaco 1972 Londra 2012
Oggi mi allontanerò dai soliti argomenti che il violento e stupido Amalek mi ha costretto a trattare. Voglio, in ore così difficili, offrire ai pazienti lettori di questo sito e, in modo indelebile, alla memoria della rete, una riflessione sui Giochi Olimpici e il loro ruolo per l’Umanità.
A giorni si vedrà se l’Olimpiade è ancora in grado di svolgere il ruolo di ultima oasi di pace fuori dai torbidi coinvolgimenti della geopolitica nelle sue ultime forme di “guerra tra la gente”.
Vedremo se a Londra prevarrà la fratellanza, sopra gli odi di parte.
Capiremo se il “Gioco innocente e neutrale” praticato nelle misure dell’armonia dei corpi e dello spettacolo colorato, avrà la meglio sui rancori generati dai monoteismi e dalla povertà di troppi.
Vedremo se prendere atto della graduatoria delle Nazioni classificate per prestigio del numero delle medaglie, rimuoverà lo spettro dei collaterali immondizia in scadenza.
Vedremo se l’apologia dei successi nazionali basterà a coprire, durante il periodo dei Giochi, le vicende reali che stanno dietro la facciata festosa.
I sussulti del mondo in trasformazione, loro si veri terremoti distruttivi rispetto alle falde geologiche in movimento, disveleranno nei prossimi giorni quanto sono profondi i solchi che dividono i popoli e quanto l’eccentricità del Mondo non sia ancora un valore prezioso da perseguire?
La strage di innocenti turisti israeliani in Bulgaria ad opera di uno svedese suicida già prigioniero nella atipica base USA di Guantanamo a Cuba, Damasco in fiamme, la Nigeria senza pace, una sala cinematografica a Denver trasformata in un mattatoio, Bagdad e Kabul senza futuro, l’Egitto tormentato dopo la rimozione di Mubarak; la Grecia (patria delle Olimpiadi) svenduta, la fiera Spagna pronta alla rivolta sono prologhi di una tragedia che potrebbe scoppiare facendo saltare l’uso politico, quale valvola di sfogo per la gente, che la maggioranza dei Governi affida alle Olimpiadi e a manifestazioni similari.
Per non farvi ingenuamente sorprendere e con l’augurio che tale evocazione sia taumaturgica, vi riporto alla memoria la sequenza degli avvenimenti dell’assalto alla residenza degli atleti israeliani nel villaggio olimpico di Monaco, nell’efficientissima Germania, il 5 settembre 1972.
Martedì 5 settembre, ore 5:10: due postini, passando nei pressi del villaggio olimpico, vedono alcuni giovani che stanno scavalcando la rete di protezione. Sono otto persone in tuta, con sacche sportive in mano. I postini tirano dritto, pensando che siano atleti reduci da una scappatella notturna.
Ore 5:15: i giovani si dirigono frettolosamente verso la palazzina al numero 31 di Connollystrasse, dove sono alloggiati gli atleti di Israele, di Hong Konge dell’Uruguay. Ventimila poliziotti sono addetti al servizio di sorveglianza del villaggio olimpico, ma nessuno ferma gli otto giovani.
Ore 5:20: una donna delle pulizie sente un colpo di arma da fuoco e grida l’allarme. Il capo della delegazione di Hong Kong si affaccia sulla porta che dà sulle scale e vede un uomo con il mitra in mano e il viso mascherato. Subito dopo sente altri colpi di arma da fuoco, grida, gemiti, e rumore di lotta.
Ore 5:30: l’allenatore della squadra israeliana di sollevamento pesi si cala, in pigiama, da una finestra e riesce a fuggire. Fornisce le prime notizie alla polizia e ai funzionari: gli otto giovani sono un commando di guerriglieri, probabilmente feddain.
Ore 6: nel villaggio olimpico scatta l’allarme generale. Arrivano poliziotti, autoambulanze, «pantere». Ma nessuno sa, ancora, che cosa sia successo nella palazzina numero 31.
Ore 7: un uomo dal viso mascherato si affaccia dalla finestra del terzo piano, e mitra in mano ordina a tutti di stare lontano. «Abbiamo nove ostaggi israeliani, vivi. Se vi muovete o sparate, li facciamo fuori tutti», intima. Non resta che aspettare.
Ore 8: un barelliere ha il permesso di rimuovere il corpo del primo israeliano, un lottatore, ucciso dai guerriglieri nel parapiglia dei primi momenti dell’irruzione, un altro israeliano, ferito nello scontro con i palestinesi, muore poco dopo.
Ore 9:30: parte da Bonn per Monaco, con un aereo speciale, l’ambasciatore israeliano in Germania: ha appena ricevuto una lista coi nomi di 200 guerriglieri palestinesi che si trovano nelle carceri di Israele. Il commando del villaggio olimpico, che fa parte dell’organizzazione dei feddain, Settembre nero, ha posto l’alternativa: se entro le 12 i palestinesi non saranno liberati, gli ostaggi verranno uccisi.
Ore Il:30: giungono al villaggio olimpico quattordici tiratori scelti dell’esercito tedesco, chiamati d’urgenza dal distaccamento di Wisesbaden.
Ore 12:05: il capo della polizia della Baviera annuncia, in una conferenza stampa, che gli ostaggi sono ancora vivi e che sono in corso trattative tra guerriglieri e autorità.
Ore 15: parte da Bonn per Monaco il cancelliere Brandt.
Ore 16: il commando dà un ultimatum: se entro le 18 le richieste non saranno accolte gli ostaggi saranno uccisi.
Ore 18:10: anche questo ultimatum scade e non succede niente . Seguono ore di trattative convulse.
Ore 22:30: si apre la porta alla speranza: il capo della delegazione olimpica egiziana si presta a’ fare da mediatore tra i feddain e le autorità.
Alle 23 scadeva l’estremo ultimatum dei guerriglieri rinviato, di fronte all’intransigenza israeliana e per salvaguardare fino al limite le vite degli ostaggi, di ora in ora, a cominciare dalle 12 di mattina. A un certo momento i guerriglieri asserragliati nella palazzina avevano nelle loro mani il ministro degli Interni e alcuni suoi fidi, tra cui il borgomastro di Monaco e il ministro degli Interni bavarese. Avrebbero potuto prendere in ostaggio anche lui: una garanzia assoluta di sopravvivenza. Ma prima di iniziare le trattative con questo personaggio, gli avevano dato la parola che avrebbe potuto allontanarsi vivo. Il ministro aveva giurato ai guerriglieri che avrebbero preso indenni l’aereo per i paesi arabi. Alle 22 un camion militare arrivava davanti alla palazzina e caricava i feddain e i loro ostaggi. Dopo 200 metri li trasbordavano su due elicotteri che dovevano portare israeliani e palestinesi all’aeroporto militare di Fuerstenfeldbruck, a 50 km da Monaco dove era in “attesa un aereo pronto a partire per Tunisi, per il Cairo o per qualsiasi capitale araba i feddain avessero deciso. Un terzo elicottero accompagnava la spedizione.
Alle 22:30 i tre elicotteri atterravano. Dal primo elicottero scendono due feddain, e il pilota, e si avvicinano all’aereo. Di colpo si accende una accecante batteria di riflettori e i cosiddetti «tiratori scelti» aprono il fuoco all’impazzata.
Un feddain cade crivellato, cade pure il pilota dell’elicottero. L’altro feddain corre verso il secondo elicottero. Ne scendono alcuni uomini, certamente il pilota, qualche guerrigliero, forse qualche ostaggio. I feddain rispondono al fuoco. Ma la mitraglia dei tiratori scelti continua come una grandine. Sparano alle ombre sul suolo, agli elicotteri, ai «terroristi», agli ostaggi, ai piloti tedeschi. Salta per aria anche l’elicottero con gli occupanti. A questo punto sono morti quattro feddain, i nove ostaggi, un pilota d’elicottero, un poliziotto colpito dai guerriglieri. Altri due poliziotti sono feriti. Un palestinese riesce ad allontanarsi, ma viene preso poco dopo. Fuori dall’aeroporto alcune persone lo vedranno passare col viso pieno di sangue, stretto fra due agenti, in macchina. Poi udranno una raffica. Anche il quinto guerrigliero risulta, nei notiziari, «morto nella sparatoria». Gli altri tre guerriglieri vengono presi prigionieri. A questo punto gli organi di informazione di massa ricevono e trasmettono l’annuncio che il potere propone: salvaguardato l’ordine, fatta giustizia: tutti i terroristi sono stati uccisi, tutti gli ostaggi sono salvi. Mezz’ora dopo lo scontro all’aeroporto, in una conferenza stampa, il portavoce del governo federale annunciava raggiante: «I terroristi sono stati sgominati. Mai avremmo permesso che lasciassero il territorio tedesco. Lo avevamo deciso fin da stamane. La nostra azione ha avuto il successo sperato.» Il portavoce aggiungeva elogi per le forze dell’ordine e, ad un giornalista che chiedeva la sorte degli ostaggi; rispondeva: «Sono salvi.»
Alle ore 3:17 del mattino il sindaco di Monaco invertiva la rotta dichiarando ai giornalisti : «È terribile ! Tutti gli ostaggi sono stati uccisi. I terroristi hanno fatto saltare un elicottero. È impossibile fare un bilancio esatto di quanto è accaduto.» I radiocronisti potevano urlare ai microfoni la nuova notizia, ma le rotative dei giornali continuavano ancora per pagine intere a proclamare l’esultanza per la morte dei «criminali» e la salvezza degli ostaggi.
La vicenda di sangue di Monaco resta ormai come un «contropiede» da manuale per l’informazione giornalistica. La notizia nasce al momento giusto: l’allarme alle prime luci dell’alba, poi via via il crescendo degli avvenimenti. In redazione hanno il tempo per studiare accortamente la tattica per aggredire il fatto. I cronisti sono al posto giusto, si riesce a spedirne un altro a Tel Aviv, si chiedono ai corrispondenti le reazioni a caldo dalle varie capitali, mentre le agenzie battono migliaia di parole.
Quando la macchina redazionale entra nella fase di confezione del giornale, il materiale appare ormai abbondante, anche se il «fatto» sembra segnare il passo. I margini di tempo cominciano a ridursi, si arriva verso la mezzanotte.
La prima edizione deve chiudere: a Monaco non accade ancora niente di definitivo, in tipografia la pagina si avvia verso le rotative. Ma ecco l’inizio dello scioglimento: un pullmino con guerriglieri ed ostaggi ha lasciato gli alloggi, sembra si diriga verso l’aeroporto. Prima modifica, ma l’ufficio diffusione preme per il via. Il giornale va in macchina. Sono appena arrivate le prime copie quando la situazione precipita in pochi minuti. Gli inviati telefonano: sparatoria all’aeroporto, le agenzie confermano.
Spazzato via il commando, salvi gli ostaggi, precisa il portavoce del governo tedesco. Rifacimento immediato; poche righe in neretto, un titolo. Parte la seconda edizione, mentre Monaco resta sempre in linea: i particolari si accumulano, le notizie trionfali coincidono pur nella confusione fomentata dalle centrali che hanno in mano la regia del dramma. I giornalisti sono esclusi dall’aeroporto militare, nessuno riesce a controllare le informazioni direttamente. Il messaggio trionfale si propaga in un lampo.
Dalla capitale israeliana l’inviato, appena sceso dall’aereo, riesce a telefonare al giornale le scene di giubilo degli israeliani incollati alle radioline. La prima pagina si gonfia in maniera sostanziosa, con un titolo a nove colonne, quasi di beatitudine per lo scampato pericolo. Con l’anticipo di mezz’ora sul tempo concesso dalla «diffusione», parte la terza edizione. Siamo a posto, l’Ordine ha vinto. Ma ecco che le telescriventi tornano a chiamare: una corsa in corridoio, un pezzo di carta: «Tutti gli ostaggi sono stati uccisi», dice il sindaco. Ma che credito dare a questa voce solitaria? I giornalisti piombano in una conferenza stampa in cui il governo non vuol confessare i fatti, tira per le lunghe, e solo dopo un’ora giunge alla conferma. E nasce la quarta edizione. All’edicola, ai quattro angoli del mondo, il lettore fiducioso nella voce dei mezzi di comunicazione di massa compra dalla stessa fonte, a breve distanza, i due opposti messaggi.
Il tutto nell’efficientissima Germania, prima dell’unificazione.
Se ci saranno profanazioni della pace nell’oasi di Londra, è perché a tanti anni di distanza da quegli avvenimenti poco o niente è stato fatto per rimuovere le cause del massacro di Monaco ’72. Anzi.
I monoteismi intolleranti, in qualunque modo si sono mascherati, l’avidità maniacale degli speculatori finanziari, il cieco agire della maggioranza dei governi a discapito dei più e a favore di pochi “alieni”, hanno l’opportunità di stravincere impadronendosi di tutto il medagliere.
Fuori da metafora, mentre alcuni si impadroniscono di quante più ricchezze possibili, a tutto il resto dell’Umanità vengono lasciati, inavvertitamente, i libri e i loro contenuti millenari.
Approfittiamo di questa distrazione temporanea dei potenti ignoranti ed arroganti, organizzando una rivolta culturalmente consapevole scuotendo i popoli dall’indifferenza e dalla rassegnazione sua alleata.
Perfido Amalek, a questi pensieri ero intento quando hai ritenuto che io fossi un pericolo per gli uomini e che fosse giunto il tempo di inibirmi nelle mie azioni, diffamandomi.
Oreste Grani
Pubblicato il 21 luglio 2012
Pingback: Leo Rugens non è affidabile in quanto “filo israeliano”. Dedicato ad una persona che mi è cara e che avrei preferito che riflettesse prima di scrivere | Leo Rugens