17°/La calunnia – La calunnia del presidente

Il 23 gennaio 1948 Giulio Andreotti scriveva nel suo diario:

“Messe in giro false notizie: altro giorno di grandi arrivi di truppe americane; oggi di richiamo alle armi di dieci classi di leva. Sono squallide manovre.”
False notizie = squallide manovre, dice zio Giulio. Teniamone conto.

In queste ore giungono notizie (vere?) che Giulio Andreotti sta per passare ad altra vita. Mi auguro, per noi tutti, che esista un’altra vita, perché, viceversa, in questa gli è andata troppo bene.
Anzi, mi auguro che tutti i maestri reincarnazionisti abbiano ragione e che sia lunga, tormentata la “riabilitazione” del nostro Belzebù.

Ho voluto scrivere queste frasi in chiave iettatoria per Andreotti che, come tutti gli accaniti giocatori, è un grande superstizioso prima che il suo decesso avvenga.
Voglio essere tacciato di spirito macabro ma non di opportunismo.

Chi sia stato Giulio Andreotti non sta a me dirlo ma, lo lascio dire ad Aldo Giannuli (Edizioni Tropea “Il Noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro”) che stimo come docente di Storia Contemporanea, come acuto investigatore intellettuale, come servitore della Verità e della Repubblica Italiana.

“… Tornando all’inchiesta, (Aldo Giannuli si riferisce alla clamorosa scoperta di un servizio segreto che riscrive la recente storia di Italia) quando iniziammo ad avere un bagaglio di conoscenze apprezzabile, constatammo che, per quanto il Noto servizio cambiasse pelle e componenti nel tempo, c’era una costante che lo accompagnava: il suo ambito di azione era costantemente circoscritto in un triangolo i cui vertici erano l’Arma dei carabinieri e il servizio segreto militare, poi gli ambienti imprenditoriali prossimi alla Confindustria e, infine, i servizi segreti americani.

E c’era un’altra costante: il suo referente politico, che è sempre stato Giulio Andreotti, dai giorni dell’istituzione dell’Ufficio zone di confine a quelli del caso Moro.
Beninteso: il Noto servizio non è mai stato “agli ordini” di Andreotti, anche perché, come abbiamo appena detto, aveva altri referenti con i quali confrontarsi, non sempre in perfetta sintonia fra loro. Andreotti era, piuttosto, l’interfaccia politica di questa struttura a metà strada tra militari e imprenditori. Il tutto con quei margini di reticenza e ambiguità propri di un personaggio che non avrebbe sfigurato fra i dignitari di una corte rinascimentale.

Dunque non tutto quello che il Noto servizio ha fatto può essere ascritto al Divo Giulio, e non è affatto detto che ogni sua volontà sia stata un’ordine o, per lo meno, non molto di più di quanto non lo fosse per il servizio segreto militare, che gli fu a tratti amico e a tratti nemico, in qualche componente alleato e in altre avversario.
E non sempre gli avversari furono quelli di cui l’esponente democristiano dovette preoccuparsi di più. Per esempio, si vedrà come gli andreottiani Maletti e La Bruna furono quelli che gli tesero una delle trappole peggiori e che gli causarono più imbarazzo.

Nel mondo dell’intelligence nulla è per sempre e nulla è mai come sembra.

Tuttavia, il Noto servizio fu una delle leve più delicate del sistema di potere andreottiano.”

Nel mio piccolo, da anni mi chiedo perché uno schizofrenico celato, afflitto da permanente emi-crania, giocatore accanito di cavalli, da sempre attratto da personaggi quali Vittorio Sbardella, Salvo Lima e prima ancora Michele Sindona e Licio Gelli, abbia, con una generosità sospetta, voluto mettere sull’avviso Pio Piccini, fratello di Sergio, noto lobbista artefice della crescita esponenziale di Callisto Tanzi e del gruppo Parmalat, della pericolosità di una frequentazione con il sottoscritto. A detta del Divo Giulio e di qualche sgangherata organizzazione sopravvissuta alla rottamazione del Noto servizio, Grani avvicinava e corteggiava gli imprenditori, soprattutto quelli che operavano nel settore dell’Information Tecnology, perché in realtà, era un doppio-giochista pronto a vendere tecnologia a paesi canaglia (in black list) del mondo arabo.

Questa notizia fu fatta pervenire a Pio Piccini tramite Massimiliano Miletti proprio mentre frequentavo Piccini nel vano tentativo di fargli cessare i comportamenti umani, etici, imprenditoriali che poi lo hanno portato nelle patrie galere. Il Miletti, a sua volta, raccontò di essere stato avvicinato, per l’occasione, da una signora, nota al Miletti come organica ai “servizi segreti” e rispondente al generico e comunissimo nome lombardo di Brambilla.

Nessuno al mondo avrebbe creduto a una cazzata di questo genere tranne il sottoscritto che riuscì ad appurare l’esistenza di questa signora e del suo ruolo di contatto tra “l’ambiente” e il citato Massimiliano Miletti e di una consolidata amicizia con il senatore Giulio Andreotti. Torneremo, nel proseguo di questo racconto, su Miletti e i suoi diversi mestieri.

Da questo episodio mi chiedo come si faccia a strumentalizzare in modo diffamatorio le mie scelte culturali fino a farmi diventare un giorno agente servo dei terroristi arabi e un giorno sospettato, come hai saputo insinuare tu perfido Amalek, di essere amico degli ebrei e del Mossad.

False notizie = squallide manovre, ci ricorda, sin dal 1948, Giulio Andreotti.

Per tornare al Divo Giulio, perché un uomo tanto complesso, che si presume indaffarato in altro, sente il bisogno di calunniare una persona marginale quale posso essere io?

Forse Giulio Andreotti che mi incontrava spesso (per quasi dieci anni siamo stati vicini di ufficio, lui al numero 26 di piazza San Lorenzo in Lucina, io al 13 di via del Leone) vedendo con quale rispettosa familiarità gli uomini della sua scorta mi salutavano, si sarà informato su di me, venendo così a sapere, non tanto delle mie scelte politiche pacciardiane, ma del fatto che avevo lavorato, come ho detto in altro punto di questo racconto, con Carmine Mino Pecorelli.
Giulio Andreotti che, giustamente o ingiustamente, è stato sospettato di essere il mandante morale dell’omicidio Pecorelli, può avermi considerato un uomo pericolosissimo. Per lui.

Anche perché gli sgangherati nullafacenti dei servizi a cui si sarà rivolto il Divo Giulio avrebbero potuto confermargli che, oltre ad essere quella canaglia che sono, ero noto per essere stato l’ispiratore della geniale pubblicazione realizzata dall’ing. (informatico) Piero Lo Sardo alias Micael Pulcinari, alias Piero Pera, alias Zut, (fondatore con altri liberi intellettuali dell’insuperabile “Il Male”) intitolata “L’omicidio Pecorelli (o della poetica del ricatto)”. Piero Lo Sardo, in quella occasione, si volle chiamare Micael Pulcinari con l’autoironia di un vero napoletano quale era.

Dalle pagine di O.P., Piero Lo Sardo riuscì a delineare una sequenza appassionante di nessi logici alla ricerca dei mandanti dell’omicidio Pecorelli. Uno oscuro giornalista aveva scoperto le trame dei più clamorosi intrighi della seconda repubblica e gli avevano sparato in bocca. Piero Lo Sardo ripercorrendo le pagine che avevano portato alla morte Mino Pecorelli sostenne che balzava fuori, a sua insaputa, il nome del suo assassino.

Oreste Grani