32°/La calunnia – Cerchi una bugia e trovi la verità (H. Melville)

Sin dalle prime righe (la Calunnia n.1/3) di questo atipico memoriale, mi sono assunto la responsabilità affermando che: “come e perchè ho impedito ad Alberto dell’Utri, fratello gemello del più noto Marcello, di impossessarsi dell’azienda Monitoring Italia srl (già Carro srl) destinata a gestire il 45% del mercato del così detto braccialetto elettronico, tecnologia da utilizzare quale pena alternativa alla detenzione.

Il resto dei detenuti aventi diritto era destinato ad essere gestito per il 10% dalla Finsiel e il residuo 45% dalla società israeliana ElmoTech.

Il pregiudicato Alberto Dell’Utri si preparava a fare questo paradossale business in concorso con tale Carmelo Sparacino (detto Manuel) ed altri quali Giovanni e Francesco Pirinoli della nota famiglia di “sbobinatori di intercettazioni”, Edmondo Monda (chi fosse e cosa facesse dirò più avanti), Mario Traverso (Addicalco srl) e Marcello Antonelli Caruti dirigente Telecom.

Storie complesse finite drammaticamente per alcuni come per il povero ingegnere Mirko Ducortil estensore, tra l’altro, dei business plain del braccialetto elettronico e del piano nazionale per le intercettazioni telefoniche, morto suicida in una pensioncina nell’interland milanese.

In quella operazione di contrasto che aveva “in palio” l’appalto del braccialetto elettronico fino al 31/12/2011 (milioni di euro) e del sistema unificato delle intercettazioni telefoniche (miliardi di euro) venne sacrificata Kami Fabbrica di Idee srl. Più avanti torneremo su questa società e ne spiegherò il sacrificio.

Questo racconto ha bisogno di continui flashback”.

Torno sull’argomento e fornisco, ai pochi lettori (questo blog dalla sua nascita a ieri ha avuto 1.085 accessi), un elemento di riflessione su chi abbia servito il Paese e gli interessi della collettività e chi, come il perfido e silente Amalek e i cretini che si sono organizzati intorno a lui, si sta facendo complice dei nemici dell’Italia.

Il ricorso alle operazioni di intercettazione telefonica o ambientale vive un difficile equilibrio tra innovazioni tecnologiche, esigenze investigative e garanzie per i cittadini.

La legge costituzionale 23 novembre 1999 n.2 introducendo con la novità dell’articolo 111 della Costituzione il principio del contraddittorio nella formazione della prova, ha profondamente innovato il sistema del processo penale.

Si tratta di un radicale cambiamento che segna il passaggio da un sistema sostanzialmente neutro, rispetto al tema della formazione della prova, ad un nuovo modello fondato su specifici principi costitutivi.

Questa profonda modificazione dei principi che governano la formazione della prova penale non può non condizionare le possibili strategie della fase delle indagini preliminari.

Al Pubblico Ministero, in questo nuovo assetto, è consentito l’introduzione direttamente nel processo di dati probatori utili alla decisione del giudice: il riferimento è ai cosidetti atti irripetibili, quali gli atti d’ispezione, perquisizione e, soprattutto, alle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni.

Particolarmente queste ultime possono costituire strumento in grado di dar luogo a risultati di straordinaria efficacia, specie se attivate nella contestualità dei fatti criminosi.

Attraverso le intercettazioni telefoniche o ambientali è infatti possibile “cristallizzare” contenuti dichiarativi, anche se provenienti dall’indagato, che sono direttamente utilizzabili, attraverso la perizia trascrittiva, nella fase del dibattimento.

In certi casi, se opportunamente attivate, le intercettazioni sono in grado di superare la stessa scelta dell’indagato di avvalersi, in sede di interrogatorio, del diritto al silenzio.

Ad esempio, in tema di intercettazioni ambientali, non ponendo la legge, sostanzialmente, alcuna limitazione in ordine ai luoghi in cui le stesse possano essere effettuate, nulla impedisce che l’effettuazione venga eseguita nei locali di una Procura della Repubblica, o di un carcere, allo scopo di captare il contenuto di conversazioni fra soggetti previamente sottoposti a interrogatorio nel corso del quale gli interessati si siano avvalsi del cosiddetto diritto al silenzio.

L’intercettazione telefonica, ambientale o di altro tipo consiste in un certo senso, per usare la terminologia adoperata dalla Corte di Cassazione nelle sue sentenze, nel sequestro di un bene immateriale: il contenuto di una comunicazione.

Come leggete si tratta di una materia affascinante, delicata e ancora non definita.

Comunque, una vera rivoluzione culturale.

Ecco perché sostengo, da sempre, che il personale incaricato di lavorare a quest’area del diritto, deve essere particolarmente qualificato e, dopo essere stato reclutato, selezionato, deve essere formato culturalmente al valore di una strenua difesa dei diritti costituzionali e degli interessi della Repubblica.

Solo a ricordare che, per leggerezza o avidità di un qualunque Mario Traverso o di un Marcello Antonelli Caruti, questo settore della Sicurezza Nazionale era destinato ad essere condizionato dagli interessi di Alberto Dell’Utri, mi viene ancora l’orticaria.

Certamente la Telecom di oggi non è la Telecom di quegli anni.

Certamente Bernabè non è Tronchetti Provera ma, la fase che vive il Paese è ancora troppo oscura per sentirci tranquilli sul non approfondito esame di quali strutture saranno chiamate a gestire le tecnologie per le intercettazioni e il rapporto con le Procure.

Dicevamo: cerchi una bugia e trovi la verità.

La Telecom annunciava in data 17/3/2006, acquistando intere pagine di quotidiani nazionali, che:

A proposito di intercettazioni

• Telecom Italia da tempo subisce una campagna di disinformazione mirata ad insinuare che la Società svolge attività di intercettazione.

• Telecom Italia non fa intercettazioni.

• Telecom Italia non ha persone e macchinari per intercettare le comunicazioni telefoniche.

• Telecom Italia su richiesta della Magistratura, come ogni altra società di telecomunicazioni, ha l’obbligo di collegare linee di rete fissa e mobile intestate a propri clienti, a strutture o società indicate dalla stessa Magistratura. Tali strutture di natura pubblica o privata hanno personale e apparati dedicati a queste attività.

• Telecom Italia è del tutto estranea a queste strutture o società.

• Telecom Italia precisa che il fatturato stimato di queste società per l’attività di intercettazione è di circa € 300 milioni/anno. Telecom Italia per il servizio di collegamento delle linee fattura circa € 15 milioni/anno.

• Telecom Italia agirà a termini di legge contro chiunque insinui o affermi un ruolo della Società nella attività di intercettazione diverso dal puro collegamento delle linee svolto in favore della Giustizia.

• Telecom Italia comunicherà a mezzo stampa le eventuali azioni legali che verranno intraprese.”

Viceversa io affermo che, sin dall’ottobre/dicembre 2003, come si evince dal documento che pubblico e che è legittimamente in mio possesso, la Telecom aveva messo a punto il sistema Enigma (di cui vi ho già parlato, in particolare del suo orrido nome) che nell’agosto del 2004 vinceva legittimamente, proposto con la Carro/Monitoring in una gara pilota indetta dalla Procura della Repubblica di Campobasso.

Riporto qui il frammento di un’intervista (L’espresso – 10 agosto 2006) a Giuliano Tavaroli:

“Dottor Tavaroli partiamo da Superamanda, il sistema per centralizzare tutte le intercettazioni telefoniche italiane, rivelato da “L’espresso” nel dicembre del 2004…

“Superamanda non è mai esistita. È vero però che il gruppo Telecom aveva un progetto chiamato Enigma. A portarlo avanti erano gli uomini della commerciale e a chiederlo esplicitamente fu Giuseppe Valentino, sottosegretario alla Giustizia del governo Berlusconi. L’idea era quella di dare a tutte le sale ascolto delle procure dei terminali collegati a un server centrale e di fornire anche altri servizi come, per esempio, le traduzioni. Un affare stimato dall’azienda in circa 400 milioni di euro. Ma io qui lo voglio ripetere: ero contrario. Ritenevo che un sistema così potente dovesse essere governato da un’apposita authority. Il progetto alla fine è abortito”.

Come vedete, sono in buona compagnia perché, su questo, Giuliano Tavaroli dice la verità. Non dice però perché il progetto alla fine è abortito. Ma questa sarà un’altra puntata del mio racconto.

Oreste Grani