36°/La Calunnia – Lista Civica Nazionale per l’Italia e la Cultura
Clicca sull’immagine per vedere il video realizzato da Promos e Ipazia Web tv
In queste ore drammatiche ma ancora foriere di possibili soluzioni le donne e gli uomini di Ipazia, devono, onestamente, ricordare lo spirito con cui proposi l’esperienza elettorale a Siena e, a prescindere da come è andata a finire (non certo per colpa nostra ma, un giorno, vedremo di chi) è opportuno, delineandosi nella sostanza il percorso da noi sognato di una lista civica nazionale, non dimenticare che l’Italia della partitocrazia ha premiato i furbi e i corrotti, i clienti e i lottizzati. Così facendo questi “grassatori” annidati nelle segreterie dei partiti hanno penalizzato, per intere generazioni, i cittadini operosi silenziosamente impegnati nelle professioni, nelle arti, nei mestieri. Persone preparate ma non raccomandate, che, in uno Stato libero, avrebbero ottenuto ben altri riconoscimenti. Tutto questo è avvenuto anche per responsabilità degli stessi che ora vorrebbero “salvarla” e quindi, anche dei Fini, dei Casini e dei Cesa.
La parte creativa e qualificata della popolazione italiana, ha trovato ostacoli di ogni genere pur di non venire a patti con la partitocrazia.
La selezione politica e clienterale, i metodi contorti e mafiosi per ottenere un posto sono stati, infatti, una forma di tangente tipica del sistema partitocratico, una specie di caporalato istituzionalizzato. Soprattutto a discapito delle donne che, come abbiamo visto, sono state discriminate anche a causa del ricatto sessuale.
A questo metodo di chiamate complici e cooptazioni, è stato sacrificato il merito e la professionalità.
E, ancora oggi, l’Italia che lavora, quella disoccupata e quella pensionata sono sottoposte alle tangenti mafiose dell’oligarchia dei partiti.
La parte sana del Paese si fa carico, ancora una volta, dell’incapacità di tanti parassiti, dell’inefficienza dei pubblici servizi, della mancanza di moderne infrastrutture, ed è super tassata in cambio di nulla.
L’inefficienza è, di per sé, una tangente.
L’inefficienza e il parassitismo, inoltre, indossano l’abito dell’arroganza assumendo caratteri persecutori contro il cittadino in difficoltà, il dissidente e chi “non ci sta”.
A tutto questo, ribellarsi è giusto! Anche perché le gerarchie sociali e le catene di comando risultano artificiose essendo frutto di un meccanismo illegale.
A tutto questo è giusto ribellarsi, facendo nomi e cognomi!
Le oligarchie che, con protervia e volgarità mafiosa, ci hanno dominato vanno espulse dal consesso civile.
Non si esce dalla situazione attuale se non si fa luce su tutte le compromissioni e i fenomeni corruttivi. Questo è il nodo e vedete bene, infatti, come resistono alla promulgazione della legge anticorruzione!
Non si esce dalla situazione attuale se la società civile non partecipa direttamente, con vigore al cambiamento in modo anche traumatico.
Occorre, davvero, un salto di qualità e il coraggio di andare alla radice dei problemi. Dobbiamo trovare un sentire non disgiunto da una volontà di epurazione, senza se e senza ma.
Chiunque abbia avuto complicità con la dittatura dei partiti, ha diritto di vivere e di andare a votare, ma non può e non deve essere eleggibile e, quindi, rappresentarci.
Come sapete, non da oggi, ho prefigurato tempi e modi (siamo solo alla fine del primo dei tre anni terribili, da me e da pochi altri previsti 2012-2014) di avvicinamento all’orlo dell’abbisso che può inghiottire l’Italia, così come la conosciamo.
La gravità della crisi è tale per cui il baratro cresce di profondità e contemporaneamente ci stiamo avvicinando sempre più al bordo del precipizio.
Fuor di metafora, la profondità del baratro è data dal crescere del debito, mentre l’incapacità di allontanarsi dal bordo del precipizio rappresenta l’impotenza della classe dirigente politica a risolvere il problema.
Il sistema sociale è in crisi profonda e questo è testimoniato dall’assoluta inadeguatezza a fornire servizi essenziali in tempi ragionevoli; dall’incapacità di fornire sostegno alle persone che versano in stato di povertà; dall’impotenza a fermare la crescita esponenziale dei conflitti tra i singoli individui e tra i cittadini e le istituzioni inadeguate ad assolvere i loro stessi doveri.
Un Paese in cui un giorno l’INPS è solido e il giorno dopo, perché ha assorbito l’INPDAP, è in dissesto, non è più un Paese. L’INPDAP era l’ente che doveva assicurare la pensione agli statali, dal presidente della Repubblica fino all’ultimo carabiniere.
Scopriamo oggi che gli organismi statali non pagavano, dal 1996, i contributi. E a noi gli organismi statali, richiedendoci gli F24 attestanti la regolarità dei nostri versamenti, non ci pagavano le fatture relative ai nostri crediti innescando così insolvenze, sofferenze con le banche e, spesso, fallimenti.
Il sistema sociale ha buttato la spugna su alcune esigenze basilari come la sanità e, in modo ancora più evidente, sullo smaltimento dei rifiuti, settore in cui le soluzioni non possono essere imposte dall’alto.
Infine, è svelata la volontà di nascondere la realtà con manovre di bilancio e puerili azioni di comunicazione istituzionale tese solo a confondere i cittadini sulla gravissima, forse, irrisolvibile situazione. Inoltre dobbiamo arrenderci all’idea che, ormai, siamo incapaci di pagare i debiti contratti.
A qualunque costo va respinta la tentazione di perfezionare il vecchio sistema, anziché cambiarlo radicalmente.
Di fronte alla bancarotta morale e finanziaria, il gruppo dirigente (Monti e gli altri) che, per l’emergenza in cui il berlusconismo ci aveva precipitato, ci guida, ha reagito solo con l’inasprimento fiscale. Ma, come si vede, oltre non si possono spremere gli italiani e gli sprechi sono difficilmente individuabili, tutti e subito, e queste “lentezze” alimentano la complicità fra i politici approfittatori e la clientela parassitaria.
Clientela parassitaria che esiste e che continua ad operare nell’ombra perché nulla cambi.
È la solita, maledetta ora dei “Gattopardi”.
Non a caso si vota prima in Sicilia e poi nel resto di Italia e “l’Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell’anima: qui è la chiave di tutto” scrive Johann Wolfgang Goethe nel “Viaggio in Italia”.
È ora di fare attenzione a cosa sta per accadere in quella terra.
“È quasi impossibile capire la Sicilia, un’isola abitata da italiani esagerati. Ci sono sempre due facce da decifrare, due possibilità. Ci sono pianure calcinate e montagne aspre dove si va a cacciare il coniglio selvatico, e i palazzi dei baroni, con i quadri, le porcellane e i mobili preziosi arrivati anche dalla Cina, e alle pareti i ritratti degli antenati”.
“Chi sono i siciliani? Chi sono gli elettori siciliani? C’è un ritrattino tracciato dal messinese Scipio di Castro negli ‘Avvenimenti’ (seconda metà del secolo XVI): La loro natura è composta da due estremi, perché sono sommamente timidi mentre trattano gli affari propri e di una incredibile temerarietà dove si tratta del maneggio pubblico.”
Queste riflessioni sono timidi tentativi che Enzo Biagi fece di capire la complessità dei siciliani.
In questi frangenti vediamo, inoltre, di non fidarci di imprenditori e manager in pulloverino che senza la connivenza delle segreterie dei partiti non avrebbero saputo produrre nulla. Dall’Unità d’Italia in poi.
Qualche anno fa, bastava andare al Museo della Fiat a Torino per vedere il senatore Giovanni Agnelli (il nonno dell’avvocato) fotografato in camicia nera e stivaloni accanto a Mussolini, mentre insieme inauguravano la produzione di un’utilitaria dell’epoca.
Per produrre automobili e, soprattutto, per poterle vendere, l’imprenditoria torinese doveva diventare fascista, cioè doveva mettersi in posizione gregaria e di puntello rispetto al potere politico fino ad assumerne le sembianze esteriori.
“Nel panorama di un’Italia profondamente libera creativa e intelligente, ed è disperante oggi vedere che è scomparsa – dice Tiziano Terzani nel “suo” ultimo libro La fine è il mio inizio –, c’erano delle istituzioni che sotto il fascismo avevano mantenuto una loro indipendente dignità.
Non la Fiat, che per questo noi odiavamo, ma l’Olivetti.
Un’altra era la Banca Commerciale Italiana presieduta da un uomo coltissimo, intelligente, coraggioso che si chiamava Raffaele Mattioli.
Al tempo del fascismo Mattioli aveva dato lavoro e con ciò rifugio e con ciò protezione a decine di intellettuali italiani fra cui il vecchio La Malfa, tanti economisti, politologhi, giovani e intellettuali”.
Le parole magiche per capire il valore di questi ricordi sono: uomo coltissimo.
Clicca sull’immagine per vedere il video realizzato da Promos e Ipazia Web tv
Ancora un brano di Tiziano Terzani: “All’Olivetti cominciai col vendere macchine da scrivere. T’immagini, io che ero dottore andavo di casa in casa a fare il venditore! Poi feci il capo di quelli che vendevano le macchine da scrivere, poi il professore di quelli che imparavano a vendere le macchine da scrivere. Finalmente fui chiamato all’ufficio del personale a Ivrea dove lavoravo con uno che aveva preso il posto di Furio Colombo – un mito per me, perché scriveva sui giornali – e con quel grande scrittore italiano che si chiamava Paolo Volponi, capo del personale.
Folco: Vista la cultura di sinistra del tuo tempo e la vostra visione del mondo, non ti pesava andare all’Olivetti?
Tiziano: No, ti sorprenderà. Non dico una sciocchezza quando dico che molti della mia generazione, laureati con 110 e lode, finirono nel partito comunista o all’Olivetti, perché tutti e due offrivano qualcosa da fare nel sociale.
L’Olivetti non era soltanto la fabbrica per fare le macchine, era la fabbrica per fare le macchine per costruire una società in cui l’uomo vivesse a sua dimensione. I più grandi intellettuali italiani sono passati da lì, attratti non tanto da un piccolo stipendio, quanto dall’idea di contribuire a un grande progetto.
Del gruppetto a cui io ero legato a Pisa, in quattro o cinque, forse in sette od otto finimmo all’Olivetti, perché l’Olivetti era l’unica azienda che, non operando con criteri puramente aziendali, voleva rifare la società usando parte dei profitti fatti con le macchine da scrivere.
Finiva all’Olivetti chi non era ideologicamente legato al partito comunista e a tutte le sue regole durissime, compresa quella di fare scuola di partito per mesi e di versare parte di quel che guadagnava al PCI. Perché non pensare che il comunismo sia stato solo quello che ti hanno raccontato gli anticomunisti sugli esperimenti finiti tragicamente, come quelli cinesi e cambogiani.
Il comunismo è stato anche un grande ideale che ha mosso milioni di persone e tanti intellettuali a sacrificarsi per migliorare materialmente la società.
Figurati che io all’Olivetti per un po’, per sperimentare, ho fatto l’operaio. Pensa, fare l’operaio alla catena di montaggio con gli operai, tu che sei dottore! Ho fatto il capo reparto, un’altra esperienza che oggi un giovane non si immagina nemmeno. L’idea era che bisognava avvicinarsi alla base di questa benedetta società per capirla e dare una mano a cambiarla, che non eravamo all’Olivetti solo per produrre le macchine, che ci eravamo per produrre una nuova società. C’era un a casa editrice, c’erano spettacoli teatrali, balletti, e soprattutto c’era la biblioteca con attività culturali la sera. È lì che con la Mamma ho conosciuto Pasolini, venuto a Ivrea a parlare agli operai. Voglio dire, l’Olivetti aveva questo sogno”.
È la nostalgia per Adriano Olivetti e la sua Comunità, in queste ore marchiate da mancanza di intelligenza e di cultura, che mi ha spinto a pubblicare questo brano con cui omaggiare quella generosa Italia che poteva essere e non siamo stati capaci di realizzare.
Per fare automobili, ma anche per fare il cemento, lo zucchero, il petrolio in Italia, quindi, ci si è dovuti sempre mettere la camicia di qualche colore politicamente dominante. Fino al verde leghista per guidare la Finmeccanica. Tutti i colori, tranne i colori dell’interesse nazionale.
La partitocrazia dunque, è andata ben oltre ogni limite di sopportabilità: lei stessa è illegale e, non prevista, nella sua forma degenerata, dalla Costituzione.
Gli oligarchi hanno corrotto lo stile di vita degli italiani realizzando una comunità sociale, tragicomica e provinciale, fatta solo teoricamente di euguali e liberi.
È stata una parodia della democrazia e non dobbiamo quindi, agendo, temere di perdere “qualcosa” perché abbiamo già perso tutto.
Oreste Grani
P.S. Tutti i video della campagna valoriale per Siena realizzati da Ipazia Promos e Ipazia Web Tv si trovano a questo link:
http://www.youtube.com/playlist?list=PL15AC28689F3167D7