Sante Intercettazioni, ascoltate per tutti noi – Atto di stima per Ilda Boccassini

Abbiamo esaurito le parole e i fatti a difesa e lode dell’uso intelligente delle intercettazioni di trasmissioni di dati lungo la linea telefonica, televisiva o satellitare. Un “grazie”, ancora una volta, al nostro mito Ilda Boccassini, alla quale, già il 27 gennaio 2011 sul sito di Ipazia Preveggenza Tecnologica, abbiamo dedicato un “atto di stima” che oggi ripubblichiamo nel blog.

Confidava Giuseppe Pelle a Giovanni Ficara: “Microspie, filmati, un bordello… sanno tutti i c… nostri”.
(Attilio Bolzoni, La Repubblica, 13.10.2010 in merito a un’indagine coordinata da Ilda Boccassini)


“La Boccaccini? Un pm fuori controllo” (ilgiornale.it 16.1.2011 in merito alle indagini sul giro di prostituzione che coinvolge il premier)
Ilda Boccassini (Napoli, 7 dicembre 1949) è un magistrato italiano, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano.
 Dopo la laurea in Giurisprudenza entra in magistratura, con funzioni effettive, nel 1979 prestando servizio alla Procura della Repubblica di Milano. Si occupa, quasi subito, di criminalità organizzata.
La sua prima inchiesta di rilevanza nazionale viene denominata Duomo Connection e ha come oggetto l’infiltrazione mafiosa nell’Italia settentrionale. L’inchiesta è portata avanti con la collaborazione di un gruppo di investigatori guidati dall’allora tenente Ultimo, il capitano divenuto poi famoso per l’arresto di Totò Riina. Sono gli anni delle prime collaborazioni anche con il giudice Giovanni Falcone, che sfoceranno in un legame di profonda amicizia.
 All’inizio degli anni novanta entra in rotta di collisione con altri colleghi del pool antimafia milanese, ne viene estromessa dall’allora procuratore capo Francesco Saverio Borrelli, ma porta comunque a termine il processo sulla Duomo Connection. Dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio, nel 1992, chiede di essere trasferita a Caltanissetta dove rimane per circa tre anni sulle tracce degli assassini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Collabora nuovamente con Ultimo alla cattura di Riina e scopre, in collaborazione con altri magistrati applicati a quelle indagini, mandanti ed esecutori delle stragi Falcone e Borsellino. Dopo una breve parentesi alla Procura di Palermo torna a Milano e, su richiesta del Procuratore Borrelli, si occupa dell’inchiesta denominata Mani pulitesubentrando ad Antonio Di Pietro dimessosi dalla magistratura il 6 dicembre del 1994. Collabora, quindi, con i colleghi Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Armando Spataro e Francesco Greco, seguendo in particolare gli sviluppi delle inchieste riguardanti Silvio Berlusconi e Cesare Previti.

Attualmente Ilda Boccassini continua ad operare presso la Procura di Milano dove si occupa di indagini sulla criminalità mafiosa e sul terrorismo. Ha diretto a partire dal 2004 le indagini della DIGOS che il 12 febbraio 2007 hanno portato all’arresto di 15 sospetti appartenenti all’ala movimentista delle Nuove Brigate Rosse, denominata anche Seconda Posizione. Secondo l’accusa, la presunta organizzazione terroristica, operante nel Nord Italia, stava preparando attentati contro persone e aziende (fonte Wikipedia:http://it.wikipedia.org/wiki/Ilda_Boccassini).

Veniamo a oggi, gennaio 2011, e aggiorniamo il curriculum del noto magistato.
 Dopo avere segnato il 2010 con una importante indagine sugli affari della ‘ndrangheta in Lombardia, Ilda Boccassini ha inaugurato il nuovo anno avviando a conclusione una lunga indagine sulla prostituzione incominciata nel 2009 e nella quale è incappata la minorenne Karima El Mharoug, al secolo Ruby. Da segnalare che durante una perquisizione sono stati ritrovati più di 12 kg di cocaina.

La dottoressa Boccassini si è così espressa  sull’ultimo gravissimo episodio lombardo:

Ilda Boccassini sceglie le parole, nella conferenza stampa per l’arresto dell’assessore regionale lombardo Domenico Zambetti. E sono parole esplosive. Quel che è successo, dice, «è devastante per la democrazia». Lei, che ha seguito decine di indagini di mafia, prima al Nord, poi al Sud e poi di nuovo al Nord, fa notare questa assoluta novità nella storia lombarda: «È la prima volta che un voto di scambio viene accertato durante le indagini».

Affiancata da Giuseppe D’Amico — il pm che ha tratteggiato, con i carabinieri, il sistema criminale che ha inquinato le elezioni regionali e comunali della capitale morale d’Italia — il procuratore aggiunto a capo della direzione distrettuale antimafia di Milano si sforza di capire quanto danno sia stato fatto in una terra lontana dalle realtà a profonda densità mafiosa. «La democrazia e la libertà di voto sono state violate», spiega il pm. Non è un caso, aggiunge, che si sia ricorso a un articolo poco frequentato del codice penale, «il 416 ter, che punisce chi chiede i voti alle cosche e in cambio paga». C’è il degrado politico e poi c’è il disfacimento del mondo dell’economia. «Il fatto che gli imprenditori scelgano la strada più facile, quella dell’illegalità, invece di rivolgersi allo Stato, in un momento di grave crisi, è un dato inaccettabile», incalza. E quel che è più grave, è che anche questa volta, come in altre occasioni, «non è stata registrata nessuna denuncia». Nessuno, cioè, dei sessanta imprenditori che, come racconta l’inchiesta, hanno subito intimidazioni, aggressioni, richieste di recupero credito da parte degli uomini dei clan, ha mai pensato di rivolgersi alle forze
dell’ordine o di presentare un esposto in procura. Commenta lo scrittore Roberto Saviano: «C’è una connivenza continua, nel non comprendere e tacere forme notissime di condizionamento del voto e delle gare pubbliche. Nessuna ripresa economica e democratica sarà possibile se releghiamo le collusioni con la mafia solo al Sud».
È così che si è ridotta la Lombardia, dove, solo tre anni fa, si discettava sull’esistenza o meno di una criminalità organizzata paragonabile a quelle che spadroneggiano nelle regioni del Sud. Già diverse indagini avevano mostrato l’esistenza di gruppi, per lo più calabresi — ma anche siciliani, in particolare gelesi, o campani — capaci di condizionare appalti e vita sociale in terra padana. L’operazione “Infinito”, poi, nel luglio del 2010, mostra la capillare presenza dei clan in un’area fino ad allora descritta dalla retorica leghista come soggetta solo alla microcriminalità straniera: gli affiliati alla ’ndrangheta, rivelano le indagini, sono oltre 500, distribuiti in sedici “locali”, cellule territoriali, ognuna con il suo capo. Una nuova mafia di gente nata e cresciuta in Brianza o a Milano che però coltiva le sue radici a Locri o ad Africo. Che non disdegna i contatti con i colletti bianchi e con i politici: in ognuna delle decine di inchieste degli ultimi mesi, il riferimento ad assessori regionali, consiglieri comunali, manager pubblici o altri esponenti di primo piano della classe dirigente lombarda, per lo più targata Pdl, è costante. Al Pirellone, tutto questo non ha mai fatto scandalo. Nessuno ha sentito il bisogno di dimettersi o di spiegare, quanto meno, le sue frequentazioni opache. Fino a ieri, quando l’accusa di collusione ha fatto scattare, per la prima volta, le manette. (Davide Carlucci, “Boccassini: violata la democrazia, è devastante – E il procuratore aggiunto accusa: cosche infiltrate al Nord ma nessun imprenditore denuncia”, da La Repubblica, dell’11.10.2012).

Che donne e uomini di questa qualità non siano mai lasciati soli a difendere la Repubblica!

Oreste Grani