“Per l’amor di Dio, fermateli! Fate presto” – Il corvo e l’involucro animale

L’invocazione al Ministro Cancellieri del cosiddetto “corvo” – riportata nell’articolo di Carlo Bonini sulle pagine di Repubblica di sabato 3 novembre 2012 – mi induce alle riflessioni che seguono.

È spesso molto difficile per l’uomo distinguersi totalmente dall’animale, che egli volentieri antropomorfizza, attribuendogli virtù, vizi e dignità umani o facendone il simbolo. Si pone infatti all’uomo il bruciante sapere dove finisca l’animale e dove cominci l’uomo.

Nei suoi aspetti negativi, l’animale apparirà spesso come violatore dell’ordine stabilito, tessitore d’inganni, incarnazione delle forze del male, avversario degli dei, sede di impurità e occasione di errori umani gravi, tra cui quello della bestialità. Sul piano positivo, l’animale potrà essere abitato da un dio, ovvero veicolo tra l’uomo e il divino o il soprannaturale.

Questo pensiero di Jaques Barrau è per me tanto vero quanto più all’animale l’uomo fa dire la verità. E io, che sono un leo rugens, aggiungo che Filippo Caleri diceva la verità, e me ne assumo le responsabilità di legge, quando il 29 luglio 2006 scriveva l’articolo che segue:

IL BUSINESS DELLE INTERCETTAZIONI UN AFFARE DA 300 MILIONI

La guerra segreta De Benedetti-Tronchetti Provera

di Filippo Caleri, Il Tempo 29.7.06

Le intercettazioni telefoniche oltre che generare veleni, sospetti e intrighi possono essere anche un buon business.

Ci sono centinaia di aziende che in Italia se ne occupano per conto delle Procure italiane e che si spartiscono una torta di circa 300 milioni di euro. Nel 2003, però, un’azienda, la Monitoring Italia srl propose al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, l’idea di un sistema unico per tutti i palazzi di giustizia. Una soluzione che consentiva di applicare tecnologie standardizzate e dunque più economiche per il bilancio dello Stato. Il progetto andò avanti e la Monitoring vinse anche due appalti in materia nei tribunali di Campobasso e di Catanzaro con l’apporto logistico della Telecom Italia. Una partecipazione che l’ex monopolista ha smentito. Ma, secondo quanto risulta a Il Tempo, il business, quello della partnership solo tecnologica nel settore, il gruppo guidato da Marco Tronchetti Provera lo aveva messo nel conto. Allora il comparto era sicuramente uno dei tanti rami d’affari da utilizzare per fare profitti e non era neppure lontanamente inquinato dai veleni che lo attraversano questi giorni. Poi all’improvviso il dietro front. La Telecom Italia mollò tutto. Ripose nel cassetto le velleità di partecipare a qualsivoglia progetto nel settore. Una scelta strategica sicuramente legittima, ma senza un motivo apparentemente valido. Le spiegazioni possono rimanere solo nel campo delle illazioni. Forse la considerazione dei troppi rischi da affrontare nella gestione di un affare in cui, come la storia successiva dimostra, sono troppi gli interessi da assecondare. La saggezza probabilmente consigliò di chiudere tutto, così come chiaramente raccontato in un articolo del Sole 24 Ore del 20 luglio scorso in cui si legge testualmente: «Al momento di stringere, però, il progetto fu bloccato. Troppo rischioso buttarsi in quel settore». Ma è in quel momento che la storia della Monitoring srl continua. Sì perché il proprietario della Monitoring srl – l’imprenditore lombardo Marco Traverso – cedette successivamente una parte della quota societaria, il 20%, alla Cofito, la Compagnia finanziaria torinese. Una semplice cessione di azioni per avere l’appoggio di un istituto finanziario forte alle spalle. La stessa Cofito è, infatti, la principale azionista della Banca Intermobiliare, un istituto di credito torinese nel cui capitale sociale figurano oltre alla Cofito stessa, anche nomi illustri della finanza e dell’imprenditoria italiana. Come Luca Cordero di Montezemolo che ne possiede una quota del 2%, ma anche il gruppo Pininfarina, la Premafin dei Ligresti e la Cofide spa, l’acronimo di Compagnia Finanziaria De Benedetti. Il proprietario del gruppo editoriale L’Espresso, tra l’altro, è direttamente cointeressato nella gestione della banca visto che figura tra i componenti del consiglio di amministrazione. Insomma le intercettazioni telefoniche, uno dei principali motivi che in questi giorni d’estate crea tensioni e disagi in molte delle partite politiche e finanziarie ancora aperte, uscite dalla porta di Telecom hanno fatto capolino negli interessi dell’Ingegnere.

Poi aggiungo, per un ulteriore spunto di riflessione o per fornire un indizio al gruppo dei giornalisti investigativi che animano la redazione del “Fatto Quotidiano”, una schermata del Cerved dedicata alla COFITO S.p.A. di Bruna Segre. La COFITO S.p.A. è da sempre legata all’ing. Carlo De Benedetti per ragioni di stima, amicizia e molti affari, soprattutto tramite La Banca Intermobiliare, un istituto di credito torinese, che è la banca d’affari che a mia conoscenza soccorse la Monitoring S.r.l. – all’epoca stremata finanziariamente da errori di gestione e leggerezze degli amministratori.

Una imprecisione nell’articolo di Filippo Caleri c’è: l’imprenditore lombardo di cui si parla non si chiama Marco ma Mario Traverso, che si interessa, per tradizione famigliare, di armadi per gli archivi dei ministeri o per strutture che possano conservare anche “segreti”.

Leggete ora l’articolo di Alberto Custodero e Antonio Fraschilla (La Repubblica 3.11.12) dedicato ai “braccialetti” e alle scarpe troppo strette. Non so di scarpe strette ma di braccialetti elettronici sì.

Appalti truccati al Viminale la procura apre l’inchiesta – Dai braccialetti alle scarpe troppo strette viaggio dentro gli sprechi del ministero

Alberto Custodero Antonio Fraschilla

Di sprechi ce ne sono tanti nelle maglie del miliardo di euro che il Viminale complessivamente spende ogni anno per appalti all’ esterno, tra «investimenti per mezzi e infrastrutture tecnologiche di tutte le forze armate» e acquisti di «beni e servizi» destinati a polizia, carabinieri e guardia di finanza. LA POLIZIA, ogni anno, spende 65 milioni di euro per servizi di mensa, 89 milioni per l’ equipaggiamento, 59 milioni per la manutenzione e il noleggio dei mezzi e altri 16 milioni per beni e servizi vari. Un fiume di denaro, al quale si aggiungono altre spese pagate sempre dal ministero dell’ Interno che, solo per forniture, versa annualmente 500 milioni. Spulciando le varie voci delle singole uscite, non mancano le curiosità. Come, ad esempio, i 2 milioni di euro per «acquisto di attrezzature varie per prevenzione di rischi di attacchi nucleari». Anche la Corte dei conti ha denunciato gli sprechi del Viminale. Quello del prolungamento del contratto con la Telecom (azienda citata anche dal corvo e di cui si può leggere nell’ articolo qui accanto) affidato nel 2003 senza alcuna gara, per i costosissimi braccialetti elettronici dei detenuti. Nonostante dal 2003 al 2011 il ministero dell’ Interno abbia speso ben 81 milioni di euro per un braccialetto utilizzato da appena quattordici detenuti, una cifra record, il Viminale ha deciso di rinnovare la convenzione con la Telecom per la durata settennale: «Esattamente dal 2012 fino al 2018 – sottolineano i giudici contabili nella relazione di fine settembre 2012 – reiterando perciò una spesa antieconomica e inefficace, che avrebbe dovuto essere almeno oggetto di un approfondito esame». «Anche la conferma del contraente Telecom – si legge ancora nella relazione – avvenuta a prezzi e prestazioni non identici (i pezzi sono passati da 400 a 2000), e perciò qualificata impropriamente come una proroga, avrebbe dovuto o potuto essere oggetto di riflessione e trattative, se non di comparazione con altre possibili offerte». Se in otto anni sono stati realmente utilizzati appena 14 braccialetti su un totale di 400, perché adesso ne servirebbero addirittura 2.000? Di certo ringrazia la Telecom, che in tempi di spending review, con i poliziotti che lamentano perfino la mancanza di risorse per la benzina delle auto di servizio, si è vista rinnovare, senza aver fatto alcuna gara, un appalto da oltre 10 milioni di euro all’ anno: cifra, questa, che potrebbe crescere di almeno quattro volte, se i braccialetti verranno utilizzati, con una spesa stimata in altri 500 milioni di euro. Ma appalti in odor di sprechi, che meriterebbero accertamenti, ce ne sono in tutte le forniture. Clamoroso è stato l’ acquisto di pallottole dalla ceca Sellier&Bellot:8 lotti di cartucce calibro 9 prodotte nel 2009, e 5 l’ anno prima, sono risultati difettosi, lasciando le forze di polizia di tutta Italia senza munizioni per le esercitazioni. Come fu fatto il bando e, soprattutto, con quali controlli di qualità? Ci fu una rivalsa di danni nei confronti della azienda ceca? L’ appalto delle scarpe delle poliziotte è addirittura finito Striscia la notizia. Migliaia di scarpe nere da donna con un tacco leggermente più alto del modello standard. Il Viminale, il 30 settembre del 2005, ne ha acquistate, attraverso una gara affidato a una azienda italiana con stabilimento in Romania 12 mila per un valore di 600mila euro. Peccato che i numeri di scarpe in Romania non corrispondano a quelli italiani e della Cee. E così le donne poliziotto non sono riuscite a calzarle e le hanno restituire ai magazzini costringendo gli ufficia avviare un contenzioso con l’ azienda. C’ è, poi, tutto il capitolo dei fondi Ue per rendere più sicuro il Meridione aggiornandone le tecnologie di sicurezza. Un business milionario che ruota attorno al Cen, il Centro elettronico di Napoli che funziona da server per la polizia di Stato e che offre prestazioni a tutte le forze dell’ ordine italiane. Qui avrebbe dovuto essere testata la potenza di calcolo della polizia. In realtà sono stati buttati milioni di fondi europei, e la gran parte dei progetti non è mai entrata in produzione. Uno per tutti è il progetto Siai che avrebbe dovuto consentire alla polizia il rapido accesso a tutte le banche dati esterne (comuni, camere commercio), attraverso un unico processo di identificazione. Nonostante tutti i soldi spesi, non ha mai funzionato nemmeno un giorno. Sprechi anche per i progetti informatici delle Scientifiche. Quello Spaid, ad esempio, nato per la veloce identificazione degli immigrati da parte degli uffici periferici: sono stati acquistati moltissimi macchinari, ma la gran parte è rimasta inutilizzata. Chi li ha scelti, non ha pensato a come farli “dialogare” tutti insieme con il sistema Afis di rilevamento delle impronte digitali. Sempre in tema di impronte digitali, sono tuttora inutilizzati i cosiddetti centri mobili, grossi camper abbandonati nei garage delle Questure.

Non si capirà mai nulla del flop del “braccialetto elettronico” se non si approfondiscono i ruoli della società Carro/Monitoring e dei signori Mario Traverso, Francesco Pirinoli, Edmondo Monda, Marcello Antonelli Caruti e del sottoscritto; faccio questa affermazione e me ne assumo le responsabilità di legge.

 L’OCCASIONE MANCATA!

L’animale che, nel mito, ha assunto il ruolo di propagatore di verità, è il corvo, come ci racconta Ovidio nelle Metamorfosi (Libro I):

E in verità questo uccello un tempo era d’argento con penne

di neve, tanto da competere con le colombe immacolate,

da non sfigurare di fronte alle oche, che avrebbero salvato

dando l’allarme il Campidoglio, o ai cigni che adorano i fiumi.

La lingua fu la sua rovina: per colpa della lingua loquace,

il suo colore, da bianco qual era, ora è il suo contrario.

La vicenda prende spunto dalla delazione che il corvo fece ad Apollo, riguardante il tradimento dell’amata Coronide, incinta del dio di Asclepio, con Ischi.

Perché l’intelligentissimo pennuto abbia oggi una così cattiva fama non è qui il luogo per discuterne, certo è che le società omertose sono poco inclini, per non dire allergiche, alla verità.

Fosse che il corvo – lentamente e a cerchi concentrici – si prepari a centrare il bersaglio, grazie all’attenzione che i gentili Ministri Severino e Cancellieri, stanno dedicando a questo bituminoso groviglio?

Oreste Grani