Siena e il Monte dei Paschi. Nella Verità, la Pace. Piccini e Ascheri oggi entrambi ospiti del Fatto Quotidiano

Ambrogio Lorenzetti-Il Buon Governo di Siena (1344)
Se avete a cuore che un giorno (non lontano) emergano le circostanze che hanno portato il “groviglio bituminoso” senese ad essere il vero spartiacque della recente fase politica italiana (Renzi si, Renzi no) le circostanze della morte drammatica (suicidio o omicidio?) del povero David Rossi vi devono per forza interessare. Diversamente è come se uno pretendesse di capire la strategia della tensione (PiazzaFontana 1969 Milano) senza porsi il problema di come sia morto il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli. Suicidio o omicidio anche nel “Caso Rossi” fa la sua differenza.Oreste Grani che, post dopo post, ve li riposta tutte le sue farneticazioni e millanterie sempre in piacevole attesa di essere smentito. Una smentita, subito-subito, me la faccio da solo: la suite dove a Roma si incontrarono Pierluigi Piccini e Maurizio Migliavacca non era la numero 504, come erroneamente ho scritto recentemente, ma la 604! Pardon, come si dice a Parigi!
E ri-firmo. Oreste Grani
7/1/2016
Raffaele Ascheri, autore del libro “Mussari Giuseppe: una biografia (non autorizzata)” e animatore del blog ereticodisiena.blogspot.it, parla, da sempre, di Siena e del groviglio bituminoso che prende corpo intorno al Monte e, dopo una certa data (2001), prioritariamente a Giuseppe Mussari, con assoluta onestà intelletuale e leggibilità.
Solo i sordi, i ciechi e i muti potevano non sapere cosa sarebbe successo a Siena. La fonte Raffaele Ascheri è per mia valutazione, quindi, altamente attendibile. Se Ascheri dice che Giuseppe Mussari era una creatura politica di Pierluigi Piccini, dobbiamo credergli. Così come quando ci indica chi ha tradito chi e cioè Massimo D’Alema e il partito degli ex comunisti che, scaricando nel 2001 Pierluigi Piccini, propongono al suo migliore amico (e qui è la prima stranezza di questa storia che diventa sempre meno politica e sempre più personale) di tradire il mentore e loro legame e di accettare, lui (Mussari è un vero incompetente nella materia bancaria, un uomo che non sa far di conti per formazione culturale, che non sa parlare inglese lingua del business e della finanza) di divenire il presidente della Fondazione bancaria, a quella data, più potente d’Italia in termini di rapporto con il territorio controllato.
Quelle teste di cazzo che hanno scientemente nominato Giuseppe Mussari al posto di Pierluigi Piccini ci dicano oggi in base a quali criteri valutativi lo hanno fatto invece di negare le proprie responsabilità. Se avete letto il blog Leo Rugens, avete capito che c’è più che ruggine tra me e Pierluigi Piccini ma non abbastanza perché io tradisca il giuramento a cui ho dedicato la mia stessa esistenza e cioè essere servo di verità.
Pierluigi Piccini è stato il miglior sindaco che la città di Siena abbia mai avuto e quando D’Alema e altri con lui lo hanno, con cultura staliniana processato e radiato dal partito, lo hanno fatto per motivi di cui oggi devono dare conto al Paese perché l’effetto domino, da loro innescato, potrebbe spazzar via le ultime speranze di una ripresa economica e di una serena convivenza civile. Pierluigi Piccini se fosse divenuto presidente della Fondazione MPS, al di là del caratteraccio, si preparava a fare grande la città di Siena utilizzando legittimamente le ricchezze del MPS per l’unico settore strategico che ancora oggi sopravvive nel nostro Paese e cioè i Beni Culturali.
Questa è la responsabilità storica di Baffino D’Alema e del suo gruppo di accoliti: aver messo il mancato cardiologo (studente in medicina pentito), poi avvocaticchio di provincia per il rotto della cuffia, a fare il banchiere. Questa nomina, come mille altre, fu dovuta all’arroganza del mondo partitocratico che per troppi anni ha ritenuto la cosa pubblica, propria. Questa nomina era come dire: quella città, quel territorio, quella storia pluricentenaria è roba mia e ci faccio quello che voglio.
Mai uomini così al posto che fu di Sandro Pertini.

B. di Giovanni – Le finanze del Comune in tempo di pace e in tempo di guerra (part. 1468)
Ancora nell’aprile del 2011 Pierluigi Piccini rilasciava nel supplemento gratuito n.4 di Zoom, l’intervista che potete leggere di seguito:
“Intervista a Pierluigi Piccini, già sindaco di Siena e capolista delle Liste Civiche Senesi, sostenitore della candidatura a sindaco di Gabriele Corradi, realizzata dalla redazione di Zoom.
ZOOM Definire cosa sia e cosa possa rappresentare la “cultura” è un esercizio che può portare molto lontano, ma forse il senso più autentico della cultura sta proprio nel significato di una esperienza: di storia, che non è mai altro dalla attualità, di identità, di creatività. È possibile fare di tutto questo una “esperienza della Città”?
PICCINI Posto che operare al di fuori di un orizzonte culturale quale esso sia è impossibile, dobbiamo stabilire preliminarmente quali valori porre a fondamento del nostro agire. In estrema sintesi, ci pare naturale riferirci alla Carta costituzionale e alla dimensione spirituale che permea l’Occidente, includendo ogni pensiero connotato dal principio della tolleranza. Premesso ciò e guardando a quella sorta di pensiero fattosi materia che è la nostra amata Siena, possiamo in coscienza affermare che il nostro operare in questi lunghi anni non sia stato altro che un continuo tentativo di arricchire la Città di valore, di identità e di creatività con uno sguardo fisso al futuro.
ZOOM Le politiche culturali sono spesso concentrate sul valore del “bene culturale”, del patrimonio dei beni storici ed artistici. Il valore del patrimonio culturale è a sua volta associato alla spesa necessaria al suo mantenimento, alla tutela, forse perché la cosa più difficile da portare alla dignità di una politica per la cultura è la valorizzazione, il disegno cioè di una filiera che possa produrre e distribuire valore per la collettività. Le esperienze in questo senso, anche se rare, ci sono, ma sono troppo spesso iniziative di singoli, sganciate dall’attenzione programmatica al futuro di una Città, di un Paese. Si può uscire dalla visione settoriale che caratterizza l’approccio “da specialisti” alle politiche per la cultura? Con quali strumenti? E con quali risorse?
PICCINI La politica, intesa quale espressione della collettività, e i valori che la ispirano sono gli strumenti indispensabili alla creazione e al mantenimento del patrimonio culturale e, in quanto tali, sganciati per definizione da ogni forma di specializzazione, assommandole tutte, almeno in linea di principio. Tale preambolo descrive a nostro avviso il senso che abbiamo voluto attribuire alla “metamorfosi”, ci sia concesso il termine, del Santa Maria della Scala. Quando fu deciso che Siena necessitava di un nuovo ospedale, intuimmo che lo spazio, il vuoto, che si veniva a creare avrebbe determinato il destino della città, poiché sarebbe stato il banco di prova delle capacità di stare nel futuro di quanti sarebbero stati chiamati a progettarne le funzioni. Se il Santa Maria, accanto al suo ruolo di polo museale d’eccellenza – quale deve essere – non riuscisse ad assumere una sorta di dimensione digitale, ovvero se non diventasse nodo culturale mondiale, rimarrà vetrina, certo splendida vetrina, di preziose collezioni segnando per la città un analogo destino, quello di muto contenitore.
ZOOM Nel pur ridicolo contesto comunitario, l’attenzione alle politiche culturali ha trovato da circa vent’anni una possibile risposta nel modello delle Città “Capitali Europee della Cultura”. Nel 2019 l’Italia avrà la sua “Capitale Europea della Cultura”, un appuntamento importante ma che ha un rischio: quello di ridurre il significato di un percorso che è anzitutto un percorso di crescita civica (che riguarda i cittadini e l’Amministrazione) alla occasionalità di un evento straordinario sul modello degli Expo. In quale direzione si dovrebbe lavorare per uscire dalla logica della occasionalità che può condizionare il significato di iniziative come queste? La candidatura di una Città al titolo di “Capitale Europea della Cultura” può farsi testimone della identità sociale dell’intero Paese?
PICCINI Lavorare alla candidatura di Siena a Capitale Europea della Cultura per il 2019 richiede uno sforzo analogo a quello richiesto per il Santa Maria, tradotto in un’area ben più vasta, un’area che a nostro parere deve congiungere il Tirreno all’Adriatico. Solo inscrivendo e pensando la “cultura” nel quadro del fare economia, ovvero solo pensando in chiave di un’economia del futuro Siena e la regione da noi immaginata ha senso affrontare tale sfida per il 2019. Se riteniamo che aprire un nuovo museo, tirare a lucido la città o le facciate di qualche palazzo rappresenti il nostro futuro, significa dichiarare la nostra incapacità di essere all’altezza di coloro i quali ci hanno consegnato quello scrigno che è nostro compito arricchire, Siena e il Paese. Risulta così implicita una risposta affermativa all’ultimo quesito, giacché è solo in una prospettiva nazionale che intendiamo svolgere, e abbiamo svolto, il nostro ruolo di amministratori della cosa pubblica, giacché è dalla somma delle identità dei singoli che può emergere l’identità del Paese, della Nazione.”

Ignoto – La commissione per la riforma del calendario (1582)
Perché un uomo con tanto spessore culturale e visione strategica, rispose al mio appello (di cui vi parlerò nei prossimi giorni) facendomi trovare come candidato a sindaco di Siena sostenuto dalle Liste civiche l’innocente ma inutile Gabriele Corradi correlato, oltre che dall’ovvio curriculum di dipendente del MPS, solo di un figlio calciatore a fine carriera e di una nuora soubrette? Gabriele Corradi fu un agnello da sacrificare sull’altare apparecchiato da Giuseppe Mussari, Franco Ceccuzzi, Franco Bassanini, Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, Denis Verdini e l’utile a loro Stefano Bisi.
Perché Piccini è andata così?
Ipazia e i suoi sostenitori erano pronti ad altro che la costosa, inutile, truffaldina pantomima a cui Siena li ha costretti.
Il ragionamento continua…
Oreste Grani
L’ha ribloggato su Leo Rugens.
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