Consideriamo il Mediterraneo (e i suoi porti) la nostra vera Patria. Guai a chi lo tocca.
Considero il Mediterraneo la mia vera patria perché, come scrive Predrag Matvejevic “sul Mediterraneo è stata concepita l’Europa“.
Prima di riprendere il ragionamento sui porti e sulla necessaria Strategia di Sicurezza Nazionale (IL FRONTE (ILLEGALE) DEI PORTI SI SCONFIGGE CON UN PIANO DI STRATEGIA DI SICUREZZA NAZIONALE) che da queste vitali infrastrutture deve ripartire, pubblico un pensiero articolato di Matvejevic preso da Breviario mediterraneo, perché sia chiaro il valore del Bene che è necessario difendere.
“È difficile scoprire ciò che ci spinge a provare a ricomporre continuamente il mosaico mediterraneo, a compilare tante volte il catalogo delle sue componenti, a verificare il significato di ciascuna di esse e il valore dell’una nei confronti dell’altra: l’Europa, il Magreb e il Levante; il giudaismo, il cristianesimo e l’islam; il Talmud, la Bibbia e il Corano; Gerusalemme, Atene e Roma; Alessandria, Costantinopoli, Venezia; la dialettica greca, l’arte e la democrazia; il diritto romano, il foro e la repubblica; la scienza araba; il Rinascimento in Italia, la Spagna delle varie epoche, celebri e alroci; gli Slavi del sud sull’Adriatico e molte altre cose ancora. Qui popoli e razze per secoli hanno continuato a mescolarsi, fondersi e contrapporsi gli uni agli altri, come forse in nessun’altra regione di questo pianeta. Si esagera evidenziando le loro convergenze e somiglianze, e trascurando invece i loro antagonismi e le differenze. Il Mediterraneo non è solo storia.
Le peculiarità mediterranee non si inseriscono facilmente in altri contesti, non entrano in tutti i tipi di relazioni del litorale col continente, del Sud col Nord, dell’Est o dell’Ovest col Sud. E sono immense le incongruenze che hanno contrassegnato le diverse civiltà e culture del Mediterraneo, vecchie e nuove, antiche e moderne. Avvicinandosi al nostro mare, i popoli si chiedevano come creare una patria là dove c’è poca terra, dove ci sono più pietraie che campi, dove la sabbia invade i luoghi. Sono domande che si pongono senza dirle, che hanno lasciato dietro di sé tante sciagure sulle sponde del Mediterraneo.
Al Mediterraneo non si adattano metri più esigui dei suoi. Lo tradiamo accostandoci a esso da punti di vista eurocentrici, che lo considerano esclusivamente come creazione latina, romana o romanza, osservandolo da un punto di vista panellenico, pan-arabo o pan-sionistico, giudicandolo dalla posizione di qualsivoglia particolarismo, etnico, religioso o politico. Il Mediterraneo non è mai stato solo Europa – è stato a lungo molto di più, così come da tempo diventa forse meno – ma loro non possono essere l’uno senza l’altro.
L’immagine del Mediterraneo è stata deformata da fanatici tribuni o da esegeti faziosi, da studiosi senza convinzioni e da predicatori senza fede, da cronisti d’ufficio e da poeti d’occasione. Stati e religioni, governanti e prelati, legislatori secolari e spirituali hanno diviso in tutti i modi lo spazio e la gente. E tuttavia i legami interiori hanno cercato di resistere alle divisioni. Il Mediterraneo non è una semplice appartenenza.
Ci sono posti dove il mare è più denso e più saldo, in particolare in seno ai golfi e nei pressi delle isole. Altrove si fa invece più comune e ordinario, tanto che possiamo facilmente scambiarlo con gli altri mari. A ciò contribuiscono fatti diversi, provenienti non solo dalla presenza marina o dalla riva circostante, ma forse anche dallo stesso passato del Mediterraneo.
Il discorso sul Mediterraneo ha sofferto della sua stessa verbosità: il sole e il mare; i profumi e i colori; i venti e le onde; le spiagge sabbiose e le isole fortunate; le ragazze precocemente maturate e le vedove awolte nel nero; i porti, le barche e i richiami delle coste sconosciute; le navigazioni, i naufragi e i racconti che si tramandano sulle une e sugli altri; l’arancio, il mirto e l’ulivo; le palme, i pini e i cipressi; lo sfarzo e la miseria; la realtà e l’illusione, la vita e il sogno. Di questi motivi hanno abusato i luoghi comuni della letteratura – descrizioni e ripetizioni di tutti i generi. La retorica mediterranea è servita alla democrazia e alla demagogia, alla libertà e alla tirannide. I suoi effetti hanno occupato il foro e il tempio, la giustizia e il sermone. L’arena si è fatta sentire più lontano dell’Areopago. Il Mediterraneo e il discorso sul Mediterraneo sono inseparabili fra loro.
Su tutte le rive sorgono o si svolgono, sia pure in tempi diversi, parole e attitudini che creano o restituiscono gli stati d’animo simili e comuni, al sole o all’ombra, sulle terrazze e sotto le verande, al vento o al riparo dal vento, d’estate, d’inverno e in ogni stagione dell’anno, con le grandi calure e i freddi improvvisi, fra il meriggio e il crepuscolo, il crepuscolo e la sera, di notte come di giorno, quando promana umidità da ogni parte o invece tutto diventa secco e prosciugato, con l’afa, prima della pioggia, dopo la bufera, quando ci prende la fiacca e finalmente ci lascia, nel momento in cui il porto ha tutti i suoi profumi e gli odori o, per contro, quando li perde gli uni e gli altri, all’osteria o sul mercato, allorché non si può più restare in casa e si deve subito andar via, quando fa male la testa dal tempo cattivo o dal pessimo vino, nel tempo in cui perdiamo il senno e a poco a poco lo riacquistiamo, quando cominciano a soffiare i venti del sud, ora bagnati e pesanti, ora asciutti e ardenti, talvolta anche gialli di sabbia africana (l’ultima volta sono stato vittima di una burrasca del genere nel golfo di Tolone) oppure quando torna a soffiare il vento del Nord, aspro e gelido, la bora o la tramontana … E difficile, davvero impossibile, elencare tutti i sentimenti e i rispettivi comportamenti che ne derivano. Essi si somigliano, nei diversi posti del Mediterraneo, più che i popoli stessi, uniscono questi popoli più delle fedi in un solo Dio.In ogni periodo, sulle varie parti della costa c’imbattiamo nelle contraddizioni: da un lato la chiarezza e la forma, la geometria e la logica, la legge e la giustizia, la scienza e la poetica, dall’altro tutto ciò che a queste particolarità si contrappone. I libri sacri della pace e dell’amore e le guerre di religione, crociate e jihad. Un ecumenismo generoso accanto a un ostracismo feroce. L’universalità e l’autarchia. L’agorà e il labirinto. La gioia dionisiaca e il macigno di Sisifo. Atene e Sparta. Roma e i barbari. L’impero d’Oriente e quello d’Occidente. La costa settentrionale e quella meridionale. L’Europa e l’Mrica. Il cristianesimo e l’islam. Il cattolicesimo e l’ortodossia. La tradizione giudeocristiana e la persecuzione degli Ebrei. Sul Mediterraneo il Rinascimento non è riuscito dappertutto a superare il Medioevo.
I sapienti parlano di sei zone mediterranee, complementari o contigue. Talvolta le indicano servendosi di un linguaggio particolare, apparentemente metaforico: l’Arco latino da Gibilterra alla Sicilia, la Conca adriatica con alcune variazioni marcate fra il versante orientale e quello occidentale, il Fronte magrebino, lungo la costa nord-occidentale dell’Africa, il Flesso libico-egiziano da Tripoli fino al Cairo, la Facciata medio-orientale, con un forte rilievo montuoso nel retroterra, e finalmente il Ponte anatolicobalcanico. Ci sono certo altri criteri di divisione, e probabilmente non meno importanti. Finché navighiamo dimentichiamo simili differenze, per ricordarle poi, una volta scesi a terra, talvolta sorridendo. Gli abitanti delle coste si distinguono anche dal fatto di vedere solo la loro parte di mare ovvero di conoscere anche quello dei vicini. Rari sono invece coloro che avvertono il Mediterraneo come un insieme di piccoli e grandi spazi, marittimi e terrestri.
Nuove acque arrivano al nostro mare da sorgenti e fiumi, da piogge e inondazioni. È stato appurato che ci vogliono circa cento anni, dunque più della durata di una vita umana, per cambiare tutta l’acqua contenuta nel bacino mediterraneo. I sali durano più a lungo, e il loro tempo si misura in periodi di pianeta. Quant’acqua già vecchia ci sia in ogni istante, e quanta di quella nuova, viva, la sostituisca, nessuno lo sa. Sono cose che non riusciamo a indovinare. L’età del mare e quella dell’uomo non possono essere messe al confronto. Il ritmo con cui il mare si ritira e l’uomo si estingue, non è uguale. Benché certamente cambi anch’esso, e talvolta in modo evidente, il Mediterraneo ci appare comunque eterno.”
E noi vogliamo lasciare questo luogo straordinario, così amabilmente descritto da Predrag Matvejevic, all’agire dei criminali, degli spietati trafficanti di carne umana, dei politici corrotti, degli “statici” guerrafondai?
Le porte di accesso di questo santuario, cioè i porti, cioè le città segnate dalle strutture di accoglienza delle navi, delle merci, delle persone naviganti, devono essere affidate alle cure di amministratori, donne e uomini, che della cosa pubblica abbiano fatto una missione e che vivano il servizio alla collettività come il vero sale della vita. I migliori, i più colti, le menti più complesse devono andare a guidare le amministrazioni portuali e le città di Palermo, Gioia Tauro, Taranto, Brindisi, Genova, Livorno, La Spezia, Imperia e decine di altre. E ultima, ma non ultima, Civitavecchia.
Partiamo da qui. È mai possibile che uomini, pubblicamente accusati sulla stampa locale e non, di essersi arricchiti smoderatamente, in pochi anni, grazie a speculazioni immobiliari ed altri spregiudicati investimenti, tengano nelle proprie mani il destino di intere aree preziose per il benessere degli italiani e della loro sicurezza nazionale? Chi è, ad esempio, questo Pietro Tidei per passare da decenni, anche lui novella salamandra o araba fenice, tra i fuochi e le polemiche che ciclicamente si accendono intorno all’Autorità Portuale di Civitavecchia e alle relative Amministrazioni comunali?
Chi è questo Pietro Tidei per essere additato dalla stampa, in un periodo in cui tutti gli italiani impoveriscono, per essere diventato ricchissimo? Le persone “normali”, in questi ultimi anni, per sopravvivere, vendono le loro case e non le accumulano come, invece, sostiene Franco Bechis, abbia fatto la famiglia Tidei. A leggere la risposta che Pietro Tidei ha reso pubblica in occasione di quelle accuse e che trovate di seguito, ci si immagina in che guai giudiziari sia finito il buon giornalista. Comunque stiano le cose, è proprio di questo che vogliamo parlare: se intorno alla moglie di Cesare non è lecito il sospetto figurarsi se possiamo tollerare, nei prossimi anni che si annunciano drammatici per la Sicurezza Nazionale, che tante maldicenze si alimentino intorno agli amministratori delle città sedi di porto. È opportuno, se non doveroso che, dopo tanti anni di potere, si facciano da parte. Prima che una delle mille accuse, impropriamente e giornalisticamente fatte, si riveli amica della verità.
Oreste Grani
Ecco l’impero segreto del deputato di Bersani
La scorsa settimana quando Pietro Tidei, bersaniano eletto a Civitavecchia, è finito sulle prime pagine dei quotidiani locali perché la sua dichiarazione dei redditi era la più alta fra i politici della zona, quasi si è offeso. In fondo i suoi 214.401 euro dichiarati non erano una somma astronomica, e se era più ricco di colleghi di partito come Walter Veltroni è perché incassava qualche rendita patrimoniale con qualche immobile che gli avanzava lì in zona e perfino grazie a un terreno comprato in Grecia su cui sta cercando di costruirsi una casa vacanza. Ma Tidei – che di Civitavecchia è stato sindaco e ora proverà a ritornare primo cittadino – oltre ai redditi catastali percepisce anche una pensione da dirigente Enel (il suo vecchio lavoro) e dal 2011 una pensioncina da ex consigliere regionale del Lazio. Ha una moglie che non fa più l’insegnante da mantenere e ben quattro figli, due maschi e due femmine che stano compiendo i primi passi nel mondo del lavoro. Insomma, quel reddito non è fantasmagorico, eppure il parlamentare del Pd si è infastidito per il grande risalto dato sulla stampa: si capisce, in provincia, in tempi di polemiche sulla casta.
Un tipo riservato Tidei deve essere assai modesto e riservato, perché fatte le debite proporzioni, lui non è un pensionato di lusso prestato alla politica: è una sorta di Silvio Berlusconi di sinistra, che semplicemente non ama le luci della ribalta. Il paragone non è azzardato: per le caratteristiche dell’area di Civitavecchia il politico più in vista dell’entourage di Bersani, è certamente un magnate. Insieme alla sua famiglia controlla un piccolo impero industriale e finanziario, composto da una trentina di società per azioni attive nel campo dell’energia, delle costruzioni e della gestione immobiliare. Qualche società è controllata interamente, altre sono semplicemente partecipate e gestite insieme ad un paio di altre famiglie della zona. Quasi tutte (quelle interamente dei Tidei come quelle solo partecipate dalla moglie e dai figli) però hanno la sede sociale nello stesso luogo: a Roma, in via Vittoria Colonna 40.
Le scatole Insieme hanno in portafoglio anche un bel pacchetto di immobili, abbastanza consistente da fare gola a qualche gruppo importante: 133 fabbricati e 81 terreni, sparsi un po’ fra Civitavecchia, Santa Marinella, Allumiere e Tarquinia. Direttamente Tidei ha intestati (solo alcuni cointestati insieme alla moglie) dieci fabbricati e 11 terreni, senza contare quello in Grecia inserito nella recente dichiarazione patrimoniale presentata alla Camera dei deputati.
La signora Tidei, che si chiama Maria Concetta Onori, ha direttamente intestati 14 fabbricati e 24 terreni, alcuni anche di una certa importanza. Il valore già posseduto direttamente è interessante: nella zona alcuni terreni agricoli vengono valutati circa 60 mila euro ad ettaro, e la famiglia di ettari ne possiede davvero tanti. Qualche immobile è intestato direttamente ai figli, che sono comunque coinvolti tutti nella gestione societaria del piccolo impero locale.
Il gruppo è stato protetto come meglio non si può dalla curiosità locale. Sono due le capogruppo. E la più importante, acquisita nel 2005 quando aveva un’altra denominazione societaria, si chiama North Wind srl. È schermata con due fiduciarie, la Refida srl e la Cifre srl, amministrate unicamente da due professionisti. Nessun altro è apparso nell’atto di acquisto del 2005, e quindi la holding sarebbe stata difficilmente attribuibile al Tidei.
Le holding Quando però si è trattato di nominare un amministratore unico di fiducia, come Piermarini Ballila, storico collaboratore del parlamentare del Pd, i veri azionisti sono usciti allo scoperto, sia pure nell’assemblea totalitaria. Perché in rappresentanza delle due fiduciarie sono arrivati la signora Maria Concetta e il primogenito dell’onorevole, Ezio. Attraverso la holding i Tidei partecipano ad altre 11 società, in gran parte di costruzione o immobiliari dove variano i soci, ma in genere sono rappresentati dalle famiglie Ridolfi, Lo Monaco, Carai e Mulargia. Molte delle società partecipate hanno compiuto fra il 2005 ed oggi un vorticoso giro di compravendite immobiliari. Solo la Oasis e la Bellavista 2007 hanno compiuto più di 160 compravendite immobiliari in cinque anni. Qualche palazzo, villetta e terreno agricolo è anche restato in pancia alle società controllate. Senza dovere passare dalla holding principale la famiglia controlla direttamente altre società, come la Spiaggia di Sant’Agostino srl, la Odelscalchi srl, la Vulci srl e la T&T srl, che però è stata messa in liquidazione. Lo scorso anno è stata fondata anche una seconda holding di partecipazioni, questa volta senza nemmeno bisogno dello schermo delle fiduciarie: si tratta della South Wind srl, che in pancia ha già un immobile, ma che deve naturalmente ancora sviluppare la propria attività. I Tidei evidentemente hanno ambiziosi progetti per il futuro.
I due figli Impegnati attivamente come soci e come amministratori delle aziende sono i due figli maschi, Ezio e Gino, ognuno dei quali ha sia attività comuni con il resto della famiglia sia attività svolte in proprio facendo i primi passi da imprenditori. Qualche quota è intestata anche alle due figlie femmine, una delle quali, Marietta, aveva anche una società di comunicazione i cui affari poi non debbono essere andati benissimo, visto che è stata messa in liquidazione. È partecipata da Gino insieme ad altri soci anche una delle società più ricche della galassia, la Pacifico srl, che controlla 66 fabbricati e 3 terreni, tutti a Santa Marinella sul litorale laziale. Fra le società e i soci sono intervenute anche alcune compravendite immobiliari, tanto è che le stesse abitazioni di alcuni dei figli sono state vendute loro dalla holding di famiglia con una sostanziale partita di giro. Anche questa comunanza imprenditoriale con tutti i membri della famiglia rende a pieno titolo Tidei un Berlusconi di provincia del Pd. Il modello è infatti identico a quello della famiglia del Cavaliere, a cui l’onorevole di Civitavecchia deve essersi ispirato. A differenza del signor Tv però Tidei per mettere in piedi un impero con milioni di euro di patrimonio, deve avere fatto gran parte della vita la formichina, mettendo da parte indennità e pensioni. Almeno fino al 2005 quando ha creato dal nulla tutto quel che oggi c’è.
di Franco Bechis da Liberoquotidiano.it (26/3/2012)
Tidei: “Articolo con intenti diffamatori, forse c’è lo zampino del centrodestra”
www.trcgiornale.it Lunedì 26 Marzo 2012 11:31
Pronta la risposta da parte dell’Onorevole Pietro Tidei in seguito all’articolo di Franco Bechis apparso ieri su Libero. Il candidato a sindaco del centrosinistra ha convocato infatti una conferenza stampa per questa mattina per smentire le cifre dichiarate nel pezzo e per annunciare la querela nei confronti del quotidiano. “Come sempre – ha commentato Pietro Tidei – quando arriviamo nel periodo delle elezioni, la macchina del fango si mette in moto”.
“In passato ero diventato possessore dei vari Pastarito, Pizzarito, Elite e addirittura allevamenti in Patagonia. “Proprietà fantasma” che alla fine delle elezioni puntualmente sono sparite. Quest’anno è uscito questo articolo che mi descrive come un piccolo “Berlusconi di Provincia” anche se io non sono e non ho mai fatto l’imprenditore. I miei redditi e i miei patrimoni sono quelli pubblicati sul sito della Camera: lo stipendio da parlamentare, al quale rinuncerò quando verrò eletto, e la pensione da dirigente Enel per un totale di 214 mila euro. Nessuna ricchezza improvvisa “esplosa” nel 2005 dunque, ma solamente il frutto del mio lavoro di 30 anni da avvocato-dirigente Enel, compresa una cospicua liquidazione. Le cose che sono state scritte su Libero sono dunque un’invenzione giornalistica, basata su false “rivelazioni”, raccontate ad arte e sbattute in prima pagina in un’intelaiatura e con un intento chiaramente diffamatori. Per questo presenterò querela contro il giornalista Bechis chiedendo un cospicuo risarcimento danni e formali scuse personali. Restano le grandi domande di questa vicenda: ad esempio cosa ha spinto Libero a dedicarmi improvvisamente così tanta attenzione. La montatura è evidente, la balla dei 133 appartamenti enorme. Se Bechis invece di sparlare, mi dicesse anche dove si trovano questi appartamenti, sarei contento perché potrei usufruirne anche io. Inoltre se il centrodestra ricorre a questi strumenti vuol dire che ha una grande paura di perdere. Ma la verità ultima è che questa è una città schiava dell’Enel, degli Armatori e della criminalità organizzata e che qualcuno, più di qualcuno, vuole che rimanga tale. E di questo certo Libero non si occupa. Quest’anno abbiamo iniziato a darci battaglia sin da subito e noi non abbiamo paura di combattere”.
Pingback: Leo Rugens non è affidabile in quanto “filo israeliano”. Dedicato ad una persona che mi è cara e che avrei preferito che riflettesse prima di scrivere | Leo Rugens