“Doppio livello” – Doppia bomba? Una nota al lavoro di Stefania Limiti

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Dal profilo di Facebook della storica e giornalista Stefania Limiti, ho tratto una riflessione di Andrea Carancini (blogger a me non noto) dedicata all’ultima fatica letteraria della studiosa: Doppio livello. Come si organizza la destabilizazzione in Italia.

Alla fine del testo di Carancini troverete una nota e un interrogativo riguardante Vittorio Sbardella.

Il Vittorio Sbardella cui fa riferimento Carancini è personaggio più complesso di come si è sempre voluto raccontare – lo “squalo”, lo spregiudicato ex missino poi democristiano-andreottiano, il tangentista ante litteram, il vero re degli appalti romani, il finanziatore originario di Comunione e Liberazione e del setimanale “Il Sabato” – prima di diventare dirigente della DC, vicinissimo a Giulio Andreotti, e il primo elaboratore della teoria del “governo di larghe intese” o “governissimo”, utile a continuare, nella logica sbardelliana, a saccheggiare le casse dello Stato coinvolgendo quanto più è possibile l’opposizione di turno, Vittorio lo squalo, era stato legatissimo, per anni, all’ingegnere Enzo Maria Dantini, specialista universitario in arte mineraria. Dantini è sospettato (o forse un po’ più che sospettato) da Paolo Cucchiarelli nel libro inchiesta Il segreto di piazza Fontana, di essere coninvolto, come artificiere di alte capacità professionali, nella strage del 12 dicembre 1969.

Dantini e Sbradella, con sensibilità culturali diverse e stili di vita opposti, erano stati, da giovani, vicini al mondo militare che, impossibilitato, a volte, ad agire in prima persona esponendo così uomini dei reparti ufficiali, si affidava a civili patrioti per missioni speciali. In sintesi: Vittorio Sbardella ne capiva di esplosivi, di doppi e tripli livelli e di modalità con cui si può piegare l’avversario politico, intimorendolo.

Quando Andrea Carancini pensa che fosse opportuno interrogare Vittorio Sbardella riguardo alla strage di Capaci, pensa quello che penso anch’io da molti anni. Va quindi approfondito chi non volle farlo interrogare. Come i lanci di “Repubblica” di Lando Dell’Amico facevano intendere, lo Squalo sapeva quasi tutto su quelle stragi e i loro fini reconditi.

Oreste Grani

P.S. Lando Dell’Amico nasce a Carrara il 1° gennaio 1926. Aderisce alla Repubblica Sociale (R.S.I.) dal 1952 è giornalista al “Secolo d’Italia” (organo del M.S.I.). Passa al P.S.D.I. nel 1958 come giornalista a “La Giustizia”. Dal 1960 risulta essere agente d’ambiente e d’influenza del SIFAR.

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Andrea Carancini

Stefania Limiti, il Doppio Livello e i professionisti dell’antimafia

Da Paolo Cucchiarelli ricevo (via Facebook) e pubblico:

(ANSA) – ROMA, 16 APR – È un libro dedicato al “Doppio livello. Come si organizza la destabilizazzione in Italia” e uscito due giorni fa a delineare un nuovo scenario per la strage di Capaci. Uno scenario all’insegna delle ”false bandiere”, cioè della compresenza a Capaci di realtà diverse almeno, negli intendimenti e nelle modalità con cui la strage fu realizzata. Uno scenario doppio, ”a trappola”.

Oltre ad una attenta analisi dei ”pezzi mancanti” e di quelli ”eccessivi” nella strage del 1992 sul versante della stessa dinamica della esplosione, il volume scritto da Stefania Limiti e pubblicato da Chiarelettere riporta molte testimonianze di magistrati, come Luca Tescaroli, che ha indagato sulla strage del 1992, di Gianfranco Donadio, vice procuratore antimafia aggiunto, di politici, come Enzo Scotti ma anche l’affermazione choc dell’avvocato di Toto’ Riina, Luca Cianferoni e di un anonimo ma informato ‘gladiatore’ siciliano, un uomo ben addentro ai cosiddetti ”misteri siciliani”.

Luca Cianferoni, legale di Toto’ Riina, ipotizza una presenza ”altra” operativa nella strage di Capaci. L’avvocato del ‘capo dei capi’ afferma nel libro che ”la strage di Capaci è al 90 per cento di mafia, il resto lo hanno messo gli altri, per quella di via D’Amelio siamo al 50 e 50 per cento e per le stragi sul continente la percentuale scende vertiginosamente”.

La dichiarazione del legale è riportata nell’ultimo capitolo del volume, ”False bandiere a Capaci” , e l’autrice ricorda che già nel 2009 Riina, sempre tramite il suo legale, aveva ”ammesso di essere stato giocato” da qualcuno.

Il volume riporta anche le tesi del Pm Luca Tescaroli che ha parlato nelle sue sentenze su Capaci di ”rabboccamento” dell’esplosivo utilizzato sull’autostrada Palermo-Trapani e anche i dubbi a suo tempo maturati dall’ex ministro dell’Interno dell’epoca, Enzo Scotti, che subito dopo la strage sorvolò l’autostrada. ”Scotti ricorda che gli esperti facevano fatica a capire la dinamica, le modalità e con quali strumenti fosse
stato possibile cogliere l’istante del passaggio delle auto di
 Falcone e della scorta. Nello stesso capitolo si riporta 
l’intervista data dal procuratore antimafia aggiunto Gianfranco
 Donadio nel maggio del 2012 a Rainews (e visionabile su 
internet) nella quale il magistrato sintetizza così i fatti: “A 
Capaci c’erano due bombe”.
 L’uomo di Gladio, infine, spiega nel libro la sua lettura dei
 fatti [e ha] raccontato di quando si recava a pesca con la figlia
 piccola: ”Naturalmente – racconta – non era in grado di tirare 
su pesci e allora, per farla divertire, la armavo di canna con 
una lenza rivolta verso il basso e poi, sempre accanto a lei,
 gettavo in acqua la mia canna aspettando che la preda abboccasse
 alla mia esca. Appena sentivo che la mia canna si muoveva, 
cercavo di agganciarmi alla sua lenza così che lei potesse 
sentire il movimento e illudersi di aver pescato… quando 
tiravamo su era così felice che certo non distingueva le due 
canne … Mi creda – dice il ‘gladiatore’ all’autrice – quei 
poveri scemi piazzati nella casetta sopra la curva
 dell’autostrada credono davvero di aver compiuto un attentato 
con tutti i crismi della professionalità degna dei migliori
 artificieri militari operanti in un teatro di guerra … ma alla 
fine assomigliano molto alla mia bimba … non si sono accorti che
 altri, ben più all’altezza di tali situazioni, hanno fatto tutto
 con grande capacità, lasciando a loro solo l’effimera illusione 
di essere dei veri criminali … Credo – dice ancora – che questa 
tecnica sia stata applicata molte altre volte e che l’innocente 
inganno della canna da pesca possa spiegare non solo i segreti
 di Capaci”. (ANSA).

Personalmente, senza volere con ciò sminuire il libro della Limiti, mantengo le mie riserve sul conto di un magistrato come Luca Tescaroli. Mi sono sempre chiesto, infatti: come mai i magistrati incaricati della pubblica accusa per la strage di Capaci (Tescaroli era tra questi) all’epoca non convocarono, neppure come persona informata sui fatti, l’andreottiano Vittorio Sbardella dopo che, sull’agenzia “Repubblica” (da non confondersi con l’omonimo quotidiano), da lui controllata, venne pubblicata, per ben due volte, nei giorni immediatamente precedenti la strage, la “predizione” che ci sarebbe stato un “bel botto”? La citazione più completa del clamoroso episodio, la troviamo nella “Cronologia” curata da Vinciguerra per la Fondazione Cipriani.

21 maggio 1992

Sull’agenzia giornalistica “Repubblica”, diretta da Lando Dell’Amico, compare un primo articolo nel quale si commenta l’impossibilità di giungere ad un accordo fra i partiti per l’elezione del capo dello Stato: “C’è da temere a questo punto – si legge – che qualcuno rispolveri la tentazione tipicamente nazionale del colpo grosso. Le strategie della tensione costituiscono in questo paese una metodologia d’uso corrente in certe congiunture di blocco politico. Quando venne meno la solidarietà nazionale e il sistema appariva anche allora bloccato, ci ritrovammo davanti al rapimento Moro e alla strage della sua scorta. Non vorremmo che ci riprovassero: non certo per farci trovare un Andreotti a gestire ancora l’immobilismo del sistema (visto che i tempi sono mutati e Andreotti è politicamente deceduto) ma magari uno Spadolini e uno Scalfaro “quirinalizzati”.

22 maggio 1992

Sull’agenzia “Repubblica”, diretta da Lando Dell’Amico, compare un secondo articolo, dopo quello del giorno precedente (vedi nota), nel quale si scrive: “Avremo dunque la candidatura obbligata di Spadolini? Manca ancora perché passi in modo indolore questa candidatura del partito trasversale, qualcosa di drammaticamente straordinario. I partiti, cioè, senza una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno – come ai tempi di Moro – a giustificazione di un voto d’emergenza non potrebbero accettare di autolegittimarsi”.

Se ricordo queste cose, naturalmente, non è per accusare Sbardella (che, oltretutto, è pure defunto): lui, all’epoca, contrariamente a quanto fatto intendere molti anni dopo da opinionisti che vanno per la maggiore, la strage cercò di evitarla (fu la Cassandra della situazione). Lui, come andreottiano, non fu un carnefice: nonostante le sue entrature nei servizi, fu una delle vittime dei complotti dell’epoca!

Ricordo tutto ciò, invece, perché, come ha più volte scritto Vinciguerra, i magistrati che indagano sulle stragi, spesso e volentieri, si guardano bene dall’interrogare certe persone particolarmente informate sui fatti (colpevoli o innocenti – come è il caso di Sbardella – che siano)!

(vedi originale)