Scalfari contro Rodotà, tradisce ancora una volta la verità
La signorilità che lo connota e la cultura profonda della legalità che gli appartiene non hanno consentito a Stefano Rodotà di apostrofare, come andava fatto, quel vecchio tramatore di orrori che risponde al nome di Eugenio Scalfari. Leggete quanto ha scritto il 21 aprile 2013 l’ex direttore di Repubblica:
Rodotà si è pubblicamente rammaricato perché il Partito democratico e i vecchi amici non l’hanno contattato. Essendo tra questi ultimi debbo dire che neanche lui ha contattato me. Che cosa avrei potuto dirgli? Gli avrei detto che non capisco perché una persona delle sue idee e della sua formazione politica, giuridica e culturale, potesse diventare candidato grillino per la massima autorità della Repubblica. Il Movimento 5 Stelle, come è noto, vuole abbattere l’intera architettura costituzionale esistente, considera l’Europa una parola vuota e pericolosa, ritiene che i partiti e tutti quelli che vi aderiscono siano ladri da mandare in galera o a casa “a calci nel culo”. Come puoi, caro Stefano, esser diventato il simbolo d’un movimento che impedisce ai suoi parlamentari di parlare con i giornalisti e rispondere alle domande? Anzi: che considera tutti i giornalisti come servi di loschi padroni? In politica, come in tutte le cose della vita, ci vuole il cuore, la fantasia, il coraggio, ma anche il cervello e la ragione. […]
I grillini? Anche lì c’è un proprietario e anche lì i puri sono carne da cannone. La discontinuità va bene se aggiorna ma non distrugge il patrimonio di esperienze della nostra storia repubblicana nel bene e nel male.
L’Italia l’hanno fatta Mazzini, Cavour e Garibaldi, diversissimi tra loro ma oggettivamente complementari. E se vogliamo giocare alla torre e si deve scegliere tra Gramsci e Togliatti, scelgo Gramsci. E se debbo scegliere tra Andreotti e Moro scelgo Moro. Tra Togliatti e Berlinguer scelgo Berlinguer. Infine scelgo Napolitano perché, purtroppo per noi, non trovo altro nome da contrapporgli. Ti chiedo scusa, caro Stefano, con tutto l’affetto e la stima che ho verso di te, ma il nome Rodotà in questo caso non mi è venuto in mente.
Eugenio Scalfari, Solo lui può riparare il motore imballato, La Repubblica 21 aprile 2013
Senza che intercorra tra me e il professore Rodotà se non quanto ho potuto fare al servizio della manifestazione del 1° luglio 2010 di cui ho ampiamente data documentazione in un altro post (Il Prof. Stefano Rodotà e il nodo – irrisolto – delle intercettazioni), ritengo doveroso dichiarare, per amore di verità, chi ritengo sia “Scalfari”.
Il 21 gennaio 2013 pubblicai in un post “Il crisantemo sul letamaio“, un articolo del 1966 di Scalfari apparso sull’Espresso e dedicato alla morte dello studente Paolo Rossi. Da allora Scalfari tace sulla degenerazione partitocratica, evidentemente per un convincente cazziatone ricevuto all’epoca da qualcuno.
Con il suo silenzio, però, non solo ha tradito la verità, ma si è fatto complice oggettivo (era il 1966) della nascita della strategia degli opposti estremismi che poi degenerò nella strategia della tensione. Quella stagione, è bene sottolinearlo, non è ancora stata chiarita agli italiani, giacché gli archivi sono rimasti chiusi e il segreto di Stato, non rimosso. Il suo viscerale antagonismo agli onesti ragazzi del Movimento 5 Stelle è evidentemente figlio di quella lavata di capo.
Centinaia di giovani ignari furono sacrificati sull’altare degli stereotipi e degli interessi inconfessabili dei ladri di Pisa delle segreterie dei partiti. La rimozione dei segreti di Stato era dovere di Giorgio Napolitano, che in sette anni non ha fatto nulla perché questo atto liberatorio fosse compiuto. Per questo, evidentemente, piace a Scalfari.
Aprendo gli archivi relativi al 1966 e alla morte di Paolo Rossi, avremmo cominciato a srotolare il filo rosso che, passando per la vicenda Sifar-De Lorenzo (1964-67) – che vide l’esibizione di Scalfari in complicità con l’indescrivibile Lino Jannuzzi, successivamente accolti senatori nel Partito Socialista Italiano, in ciò antesignani dei vari Previti, Dell’Utri, Verdini, Farina e Ghedini – e la Strage di Piazza fontana (1969), via via ha portato alle bombe stragiste del 1992-93.
È ora che Eugenio Scalfari ci dica chi gli impose di tacere su Paolo Rossi e sui comportamenti dei giovani funzionari delle segreterie dei partiti tra loro associati a delinquere: gli eletti al Parlamento si dividevano la cassa del ORUR che ammontava, nel 1966, per ogni anno universitario a 60 milioni di lire.
Di quanto affermo e di quanto Scalfari ha taciuto, è buon testimone il giudice di Corte costituzionale Paolo Napolitano, denunciante, da studente universitario di Legge, i fatti dell’epoca.
È ora di riapire il caso Sifar-De Lorenzo (1967).
È ora, per venire ai tempi recenti, di sapere perché la COFITO S.p.A. di Bruna Segre, sodale negli affari, da sempre, di Carlo De Benedetti, vero padrone da sempre di Eugenio Scalfari e della sua “Repubblica”, si comprò le quote della Monitoring Italia s.r.l. – sigla camuffante la Carro s.r.l. – cioè la società tra le più attive nell’ambito delle intercettazioni telefoniche e, da sempre, in rapporto professionale con il pool di Mani pulite (per la documentazione della vendita leggi: Per l’amor di Dio fermateli! Fate presto.
Ci spieghi, Eugenio Scalfari, questa compravendita e si sciacqui la bocca a lungo, prima di mimetizzarsi dietro il nome di Giuseppe Mazzini che, come dovrebbe ricordare, morì “esule” e nullatenente in casa Rosselli Nathan.
Una sola, delle mille cose che Paolo Milano – critico letterario del’Espresso – mi spiegò con intelligenza e lungimiranza mi rimane oscura, ovvero perché Scalfari fosse “altro da ciò che diceva di essere“. Perché Scalfari sappia chi sono, gli faccio presente che fui io a “coprire gli specchi” nella casa di Paolo Milano quando morì, in assenza del figlio residente a New York. Così come ricordo la presenza di Scalfari, con il solito loden, in via Cantore 5, il giorno della veglia.
Pubblico in coda al post la bellissima risposta del Presidente Stefano Rodotà all’inqualificabile sfregio di Scalfari: non tutti invecchiano bene. I lettori ne traggano le dovute considerazioni circa la statura dei due ex amici e compagni radicali.
Oreste Grani
Sono e resto un uomo di sinistra
di STEFANO RODOTA’
CARO direttore, non è mia abitudine replicare a chi critica le mie scelte o quel che scrivo. Ma l’articolo di ieri di Eugenio Scalfari esige alcune precisazioni, per ristabilire la verità dei fatti. E, soprattutto, per cogliere il senso di quel che è accaduto negli ultimi giorni. Si irride alla mia sottolineatura del fatto che nessuno del Pd mi abbia cercato in occasione della candidatura alla presidenza della Repubblica (non ho parlato di amici che, insieme a tanti altri, mi stanno sommergendo con migliaia di messaggi). E allora: perché avrebbe dovuto chiamarmi Bersani? Per la stessa ragione per cui, con grande sensibilità, mi ha chiamato dal Mali Romano Prodi, al quale voglio qui confermare tutta la mia stima. Quando si determinano conflitti personali o politici all’interno del suo mondo, un vero dirigente politico non scappa, non dice “non c’è problema “, non gira la testa dall’altra parte. Affronta il problema, altrimenti è lui a venir travolto dalla sua inconsapevolezza o pavidità. E sappiamo com’è andata concretamente a finire.La mia candidatura era inaccettabile perché proposta da Grillo? E allora bisogna parlare seriamente di molte cose, che qui posso solo accennare. È infantile, in primo luogo, adottare questo criterio, che denota in un partito l’esistenza di un soggetto fragile, insicuro, timoroso di perdere una identità peraltro mai conquistata. Nella drammatica giornata seguita all’assassinio di Giovanni Falcone, l’esigenza di una risposta istituzionale rapida chiedeva l’immediata elezione del presidente della Repubblica, che si trascinava da una quindicina di votazioni. Di fronte alla candidatura di Oscar Luigi Scalfaro, più d’uno nel Pds osservava che non si poteva votare il candidato “imposto da Pannella”. Mi adoperai con successo, insieme ad altri, per mostrare l’infantilismo politico di quella reazione, sì che poi il Pds votò compatto e senza esitazioni, contribuendo a legittimare sé e il Parlamento di fronte al Paese.
![]()
Incostituzionale il Movimento 5Stelle? Ma, se vogliamo fare l’esame del sangue di costituzionalità, dobbiamo partire dai partiti che saranno nell’imminente governo o maggioranza. Che dire della Lega, con le minacce di secessione, di valligiani armati, di usi impropri della bandiera, con il rifiuto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con le sue concrete politiche razziste e omofobe? È folklore o agire in sé incostituzionale? E tutto quello che ha documentato Repubblica
nel corso di tanti anni sull’intrinseca e istituzionale incostituzionalità dell’agire dei diversi partiti berlusconiani? Di chi è la responsabilità del nostro andare a votare con una legge elettorale viziata di incostituziona-lità, come ci ha appena ricordato lo stesso presidente della Corte costituzionale? Le dichiarazioni di appartenenti al Movimento 5Stelle non si sono mai tradotte in atti che possano essere ritenuti incostituzionali, e il loro essere nel luogo costituzionale per eccellenza, il Parlamento, e il confronto e la dialettica che ciò comporta, dovrebbero essere da tutti considerati con serietà nella ardua fase di transizione politica e istituzionale che stiamo vivendo.Peraltro, una analisi seria del modo in cui si è arrivati alla mia candidatura, che poteva essere anche quella di Gustavo Zagrebelsky o di Gian Carlo Caselli o di Emma Bonino o di Romano Prodi, smentisce la tesi di una candidatura studiata a tavolino e usata strumentalmente da Grillo, se appena si ha nozione dell’iter che l’ha preceduta e del fatto che da mesi, e non soltanto in rete, vi erano appelli per una mia candidatura. Piuttosto ci si dovrebbe chiedere come mai persone storicamente appartenenti all’area della sinistra italiana siano state snobbate dall’ultima sua incarnazione e abbiano, invece, sollecitato l’attenzione del Movimento 5Stelle. L’analisi politica dovrebbe essere sempre questa, lontana da malumori o anatemi.
![]()
Aggiungo che proprio questa vicenda ha smentito l’immagine di un Movimento tutto autoreferenziale, arroccato. Ha pubblicamente e ripetutamente dichiarato che non ero il candidato del Movimento, ma una personalità (bontà loro) nella quale si riconoscevano per la sua vita e la sua storia, mostrando così di voler aprire un dialogo con una società più larga. La prova è nel fatto che, con sempre maggiore chiarezza, i responsabili parlamentari e lo stesso Grillo hanno esplicitamente detto che la mia elezione li avrebbe resi pienamente disponibili per un via libera a un governo. Questo fatto politico, nuovo rispetto alle posizioni di qualche settimana fa, è stato ignorato, perché disturbava la strategia rovinosa, per sé e per la democrazia italiana, scelta dal Pd. E ora, libero della mia ingombrante presenza, forse il Pd dovrebbe seriamente interrogarsi su che cosa sia successo in questi giorni nella società italiana, senza giustificare la sua distrazione con l’alibi del Movimento 5Stelle e con il fantasma della Rete.
Non contesto il diritto di Scalfari di dire che mai avrebbe pensato a me di fronte a Napolitano. Forse poteva dirlo in modo meno sprezzante. E può darsi che, scrivendo di non trovare alcun altro nome al posto di Napolitano, non abbia considerato che, così facendo, poneva una pietra tombale sull’intero Pd, ritenuto incapace di esprimere qualsiasi nome per la presidenza della Repubblica.
Per conto mio, rimango quello che sono stato, sono e cercherò di rimanere: un uomo della sinistra italiana, che ha sempre voluto lavorare per essa, convinto che la cultura politica della sinistra debba essere proiettata verso il futuro. E alla politica continuerò a guardare come allo strumento che deve tramutare le traversie in opportunità.
![]()
![]()