Matteo Renzi «O cambio Firenze o cambio mestiere e torno a lavorare». Ma a fare che?

Toy-shop

Matteo Renzi, Sindaco di Firenze, candidato nelle sue fantasie a diventare Presidente del Consiglio e chissà cos’altro, ha mai lavorato in vita sua?

La domanda nasce da una dicharazione di Renzi nel 2008: “O cambio Firenze o cambio mestiere e torno a lavorare”.

All’epoca Renzi era presidente della provincia di Firenze, così, se quello del politico non è un lavoro, ci siamo chiesti quale fosse il suo lavoro precedente. A leggere la biografia nel suo sito (vedi), scopriamo che, oltre alla politica, il Sindaco è autore di saggi, o meglio: “scrive, come co-autore, il libro “Mode – Guide agli stili di strada e in movimento” e il volume “Ma le giubbe rosse non uccisero Aldo Moro“, insieme a Lapo Pistelli”.

Confesso di non avere letto questi due saggi, così ho approfondito un po’…

Giovani: esce “Mode, una guida agli stili di strada”

Nuovo titolo della collana ‘Prima scelta’ di Adnkronos Libri
Roma, 1 ott. 1999 (Adnkronos) – Una nuova guida alle più recenti tendenze giovanili arricchisce l’originale collana ”Prima scelta. Cibo per giovani mente”… Si intitola ”Mode. Guida agli stili di strada e in movimento” e ne sono curatori Fulvio Paloscia e Luca Scarlini (pagine 176, lire 15.000). Si tratta di un volume che percorre le diverse mode (e modi) che si incontrano quotidianamente sull’autobus, in metro’, dal parrucchiere, in discoteca e in tanti altri luoghi piu’ o meno comuni. Complici di questo percorso sono alcuni dei personaggi emergenti più noti al pubblico giovanile: come il conduttore radiofonico Pierluigi Diaco, gli scrittori Carlo Lucarelli, Simona Vinci e Paola Mordiglia, i musicisti Andy (Bluvertigo) e Isa B, il veejay di Tmc2 Mixo, l’illustratrice Chiara Rapaccini, l’antropologa Alessandra Castellani, la cubista Venussia [è forse lo pseudonimo di Matteo Renzi?].

Ognuno di loro racconta un aspetto dei tanti modi di interpretare la moda, come per esempio l’essere ‘glamster’. Questa nuova tendenza è illustrata da Mixo. Essere ‘glam’ significa ”avere lo sfavillio dentro, il glittering nell’anima. Gli abiti tipici del glamster sono le camicie pitonate, le spille d’alta bigiotteria d’epoca piazzate in mezzo al petto, i pantaloni gessati attillatissimi con cintura post-barocca, scarpe di cavallino e tanti anelli acquistati nei mercati di Roma, Torino o Londra”.

Paola Mordaglia descrive lo stile delle ”pendolarine”, che per spostarsi in treno per andare a lavorare indossano completi ”con le tasche delle giacche cucite e le camicette che stritolano il collo”. Esiste poi lo stile dello ‘scrittore noir’, di cui parla ovviamente Carlo Lucarelli, mentre Venussia racconta le ‘gesta’ quotidiane di una cubista e dei suoi riti preparatori.

La legalità diventerà di moda. Renzi va di moda

La legalità diventerà di moda mentre Renzi va di moda

Passo ora al secondo saggio: Lapo Pistelli, Matteo Renzi, Ma le Giubbe Rosse non uccisero Aldo Moro, Giunti, 1999. L’argomento è serio e il saggio è così presentato: “Un confronto a tutto campo fra due fratelli, Lorenzo e Jonas, tenta di sfidare i luoghi comuni sulla politica e sui giovani. Lorenzo, un giovane parlamentare, e Jonas, il fratello minore, hanno un dialogo immaginario agile e serrato che esplora rapidamente i capitoli più importanti della storia recente del Paese, le novità dell’integrazione economica e il ruolo crescente della comunicazione di massa. Con i contributi di Romano Prodi, Luciano Violante, Carlo Conti e le vignette di Sergio Staino, questo libro tenta la “missione impossibile” di riavvicinare due mondi, quello dei giovani e quello della politica, solitamente fra loro imprendibili. Età di lettura: da 13 anni.

A Roma si direbbe “me cojoni”, non fosse che, temo, tutto ciò che Matteo Renzi conosce delle BR sia quello che gli ha raccontato Pistelli, a meno che il Prof. Prodi, lo spiritista, non gli abbia trasmesso le proprie arti e l’ex magistrato Violante le poprie trame.

Com’è finita tra il giovane parlamentare e il fratello minore, leggetelo di seguito.

Pistelli boccia l’ex portaborse e avversario Renzi: “Non si vince facendo il gioco della torre”

Il responsabile esteri del Pd “Matteo è brillante ma Pierluigi è più attrezzato”

di MARCELLO MANCINI

“Che vuol dire “liberarsi” dei vecchi dirigenti? D’Alema, Veltroni, Bindi sono diventate ormai delle icone”

Firenze, 13 settembre 2012 – In principio era una coppia. Così affiatata da scrivere insieme un libro e spiegare la politica – guarda caso – a un giovane («Ma le Giubbe Rosse non uccisero Aldo Moro»). Matteo Renzi ha cominciato facendo l’assistente parlamentare di Lapo Pistelli (brutalmente vogliamo dire il portaborse?) e poi se l’è trovato come avversario – e l’ha sconfitto – alle primarie del Pd per la candidatura a sindaco di Firenze. Pistelli, dopo quella esperienza amara, si è cucito la bocca sulla sua città. Nè tanto meno parla dell’ ex allievo. Sono passati tre anni: questa è la prima volta.

Scommetto che, fra Bersani e Renzi, lei sceglierà il segretario.
«Se scegliessi con l’occhio delle primarie fiorentine, dovrei starmene a casa: Matteo le vinse e Bersani piombò all’ultimo minuto a sostenere Ventura. Ma quella pagina è girata da tempo. Sono il responsabile esteri di una squadra di cui Bersani è il capitano, ci lavoro gomito a gomito e sarebbe singolare se non lo sostenessi. E poi, lealtà a parte, Bersani è meno brillante di Matteo ma più attrezzato. Ha le qualità che servono in questa fase difficile di ricostruzione».

Ricorda di essere stato un giovane guastatore nell’ultima Dc, portatore di idee che i notabili del suo partito cercarono di emarginare? Anche oggi si pone un problema generazionale.
«Il ricambio è un tema permanente di qualsiasi organizzazione, non solo politica. Paradossalmente se ne parla di più nel Pd, che ha quadri rinnovati ovunque, e meno nel Pdl che ha lo stesso quadro di comando da sempre».

Resta difficile liberarsi dei vecchi dirigenti, prenda D’Alema.
«Che vuol dire “liberarsi”? D’Alema, Veltroni, Bindi sono diventate ormai delle icone: possono incarnare un profilo che non sta simpatico ad alcuni, ma piacciono a tanti altri. E mi creda, con preferenze e primarie, verrebbero tutti rieletti mentre starebbero a casa tanti deputati di prima legislatura, giovani e donne. Un partito grande e inclusivo non vince facendo il gioco della torre, “liberandosi” della generazione di ieri. Con il limite dei mandati, Napolitano non sarebbe al Quirinale. I partiti recuperano credibilità se sanno selezionare sulla base del merito. Se no, li possiamo sciogliere: bastano i Comitati elettorali».

E se Renzi avesse ragione? Lei crede che il Pd abbia capito che la gente vuole cambiare? I primi sondaggi dimostrano che il sindaco di Firenze può vincere…
«C’è stanchezza, rabbia e molto smarrimento nella pancia del Paese e Matteo interpreta e un po’ cavalca questo stato d’animo. Battere un toscano sulla battuta pronta è impresa difficile e non ho dubbi che Matteo corra per vincere. Per ora ha imposto il tema del confronto: vecchio/nuovo e costi della politica sono temi che piacciono ai media, scatenano le passioni e arrivano diretti. Matteo gioca senza briglie e con la giovinezza dalla sua parte. Sulle domande più difficili, il confronto non è ancora cominciato».

Non le sembra che la ruvidità con cui i leader del Pd lo hanno affrontato, trattandolo da ragazzino, abbia finito per avvantaggiarlo: forse sarebbe stato meglio discutere del programma.
«A dire il vero, il primo tempo della battaglia di Matteo è stato tutto un bombardamento sul suo quartier generale, quello che è tanto piaciuto ai media. Diciamo che alcuni leader hanno abboccato e ora fanno involontariamente il suo gioco. Personalmente non vedo l’ora che il dibattito cominci: aiuterebbe tutti a capire che non si tratta di un concorso di simpatia e a riflettere assieme sui problemi del Paese».

E su cosa invece?
«Sul Corriere, Polito ha rivolto nove domande a Matteo, belle toste: aiuti anti spread, i modi veri per abbattere, come da lui promesso, il debito nazionale di 400 miliardi in tre anni, vita o morte della riforma Fornero sull’articolo 18, avvenire della Tav, limitazione o no delle intercettazioni. Sono esempi, quelli sui quali si scorna il vituperato Parlamento e che saranno fra i mille problemi del prossimo governo. Meno titoli, ma più sostanza».

Secondo lei Renzi come sindaco di Firenze ha lavorato bene?
«Non ho gli elementi per giudicare, passo la settimana fra Roma e l’estero ma mi pare che i fiorentini ne siano contenti. Magari avrei messo meno carne al fuoco e mi sarei concentrato su alcuni impegni presi a suo tempo: la seconda linea di tramvia, l’aeroporto, lo stadio».

Il segretario del Pd fiorentino, Patrizio Mecacci, ha detto che se Renzi dovesse vincere, non sa se poi lo voterebbe alle elezioni. Lo condivide?
«E’ stata una risposta avventata e sbagliata per un segretario. Spero che intendesse sottolineare che chi vince ha sempre il dovere di coinvolgere, allargare, includere. Il nostro carattere secolare di guelfi e ghibellini non ci aiuta».
Lei è favorevole alle primarie? Con quali regole?
«Sono state una clamorosa innovazione, coinvolgono, danno energia, legittimano una leadership. I difetti semmai emergono dopo quando rischia di scattare la sindrome dell’unto del Signore, dell’uomo che non deve chiedere mai. Mi convince che debbano essere a doppio turno (per dare la certezza del 51% a chi vince) e con una specie di albo degli elettori. Se il centro destra vuole votare, le chieda nel suo partito e non venga alla festa di altri. Se invece un elettore ha davvero cambiato idea, non avrà problemi a registrarsi con noi. Scalate ostili al costo di un euro, no grazie».

Riuscirete a fare la riforma elettorale?
«Lo spero. Dopo tutte le pressioni di Napolitano e gli insulti sul Porcellum non cambiare sarebbe una sconfitta».

Preferirebbe allearsi con Casini o con Vendola?
«Con tutti quelli che condividono un programma di buon senso, che capiscono la dimensione della crisi, che amano questo Paese e non vogliono limitarsi a vincere le elezioni ma poi lo vogliono governare. Entrambi hanno queste caratteristiche. Basta che la smettano di fare le fidanzate gelose».

Da cattolico, lei è favorevole ai matrimoni omosessuali?
«Personalmente confesso qualche resistenza, ma la politica non può dettare le regole in questo campo. I tempi sono cambiati e così la sensibilità delle persone».

Il progetto del Pd è ancora un progetto valido?
«Il migliore disponibile sul mercato. Se gli altri partiti fossero vagliati con la stessa severità con cui si guarda a noi, non passerebbero nemmeno l’esame preliminare».

Potrebbe mai essere Matteo Renzi il salvatore della Patria e dell’Italia?

Oreste Grani