Antonio de Martini e lo stato dell’arte della guerra di Siria

Donne di Palmira, marzo 1900

Tra poche ore, l’ipocrisia e la retorica dell’ennesimo “8 marzo”, festa della donna, ostruirà, per un batter di ciglia (rigorosamente femminili), i media.

Preferisco ribloggare, con anticipo, il post, a suo tempo pubblicato, corredandolo di immagini di donne siriane e ricordando che l’autrice delle stesse foto è stata Geltrude Bell la donna che invento l’IRAQ.

Oreste Grani. Oggi, 6 marzo 2016.

==========================================================================Appena rientrato dal Libano, il dott. Antonio de Martini, uno che se ne intende di ciò che scrive, pubblica un lungo articolo che fa il punto della situazione in Siria. Lo riporto con piacere nel blog, corredandolo di preziose immagini di quei luoghi tratte dall’archivio di Gertrude Bell. Le immagini sono state realizzata tra il 1900 e il 1910.

Aggiungo che è di queste ore (le 20.00 circa del 6 giugno) la notizia che il giornalista della Stampa Domenico Quirico, da oltre un mese scomparso in Siria, è vivo.

Oreste Grani

Lo sceicco Yunis, marzo 1900

MEDIO ORIENTE: STATO DELL’ARTE DELLA GUERRA DI SIRIA. LE OPZIONI DI OBAMA E I REQUISITI PER LA VITTORIA NON COMBACIANO

di Antonio de Martini

http://corrieredellacollera.com

Le tre condizioni per la vittoria dei ribelli siriani contro Assad sono:
a) unità delle opposizioni
b) disporre di un ” santuario” ( paese vicino in cui rifugiarsi e da dove ricevere rifornimenti).
c) un atteggiamento deciso da parte dell’occidente.

el Kafr, lo sceicco Muhammad e drusi

PRIMO: nessuna unità delle opposizioni

Esistono l’opposizione politica interna e quella in esilio, l’opposizione armata interna e quella alle frontiere turca e giordana; l’opposizione laica e quella salafita e quella takfirita, tutte in perenne contrasto tra loro.

In vista della ventilata conferenza russo americana di pace soprannominata per ora ” Ginevra II” ( era prevista per fine maggio ed ora per meta giugno) le varie opposizioni sono state riunite dai rispettivi sponsor separatamente a Amman, Madrid, Istanbul e Doha, ma non abbiamo notizia di nessun comunicato unitarioarabo nemmeno uno di singola località.
Nasce di qui l’incertezza circa il ” dopo Assad” che impedisce ogni scelta definitiva.

A queste opposizioni vanno aggiunti i ” volontari” tunisini e Algerini ( 1200) i francesi ( 200) inglesi ( ?) , libici (600), Ceceni ( ? ) Yemeniti (?) turchi (?) Pakistani (?) che oltre a combattere costituiscono un ostacolo alla pace e sono la ragione dell’appoggio che i siriani – anche sunniti – hanno offerto all’esercito regolare.

I numeri sono quelli forniti da fonti occidentali e sono probabilmente maggiori. La presenza di truppe straniere contribuisce al frazionamento politico degli oppositori sempre più deboli e demotivati.

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SECONDO: nessun santuario.

Delle tre condizioni strategiche necessarie alla vittoria, la sola temporaneamente realizzata e ora non lo è più, è stata il Santuario libanese fino a che sono riusciti a tenere la cittadina di frontiera di Qusayr.

Ora che l’hanno persa e che i turchi si trovano in difficoltà coi Curdi, col PKK e con la loro gioventù e possono aiutare poco, i ribelli stanno cercando di ristabilire un flusso di comunicazione logistica ( ma non di rifugio) con Israele in zona Kuneitradopo aver spossessato ( è la seconda volta) la guarnigione delle Nazioni Unite che la presidiava, ma le obiezioni israeliane ad uscire così tanto allo scoperto nell’aiuto ai rivoltosi, sono ben fondate e poi Tsahal non è disposto a rendere permeabile la frontiera, specie a fanatici armati.

Ritengo che, come in un’altra occasione, gli israeliani approfitteranno dei combattimenti per cannoneggiare i ribelli, piuttosto che i siriani lealisti che non hanno mai dato fastidio in trenta anni e più.

L’altro snodo strategico, Oteiba, che consentiva ai ribelli di rifornirsi via Giordania, è stato il primo ad essere espugnato dai lealisti in Aprile perché gli americani facevano filtrare armi anticarro in territorio siriano dalla Giordania per quello snodo stradale, verso le provincie di Deraa e di Sueida.

Gli USA hanno trasferito in Giordania una batteria di Patriot ed alcuni F 16, ma ormai la capacità americana di intervenire a difesa di un alleato è considerata aleatoria e gli stessi giordani hanno chiara la visione che dopo una eventuale vittoria dei ribelli l’ondata fanatica, toccherebbe a loro.
Aiutano gli USA a denti stretti e per lo stretto indispensabile per continuare a ricevere gli aiuti, ma tifano per Assad.

I tentativi notturni di attacco dei ribelli siriani contro Hezbollah in Libano per sbloccare Qusayr provocando il ritiro dei libanesi sono falliti ed ogni altro tentativo di sortita è destinato all’insucesso. Anche Hezbollah sa che la fine di Assad coinciderebbe con la loro eliminazione.
I siriani a favore di Assad aumentano di giorno in giorno e il rivolo dei jihadisti “volontari” maghrebini si è prosciugato a seguito delle decisioni legate alla guerra in Mali. ( vedere il post sulla Tunisia dove , oggi, due soldati sono saltati su un IED e altri due sono feriti) , perché gli stipendi incassati finora bastano a campare un paio di anni e perché il governo siriano agevola i rimpatri.

La scelta disperata dei ribelli di aprirsi un varco verso rifornimenti da Israele, li finisce di squalificare agli occhi della opinione araba più radicale ( erano già il fumo negli occhi dei moderati…..) disposta si, ad accettare aiuti israeliani, ma a patto che non si sappia o che sia plausibilmente negabile.
Come nascondere questi aiuti se la frontiera libanese è chiusa, quella turca poco o nulla fruibile e quella giordana ambigua e delatrice?

La frontiera libanese a nord ( nella zona di Tripoli) è di difficile utilizzo a causa della trentennale inimicizia tra le fazioni ( Sunniti-Alawiti) che provoca scontri anche in assenza di guerra in Siria.

L’Irak, a prevalenza sciita non costituisce l’ideale di un santuario e gli USA. Si accontenterebbero del blocco della frontiera per impedire aiuti al governo lealista.
Il governo irakeno ha dichiarato ufficialmente la scorsa settimana che avrebbe impedito anche con la forza ad eventuali aerei israeliani in volo verso l’Iran il sorvolo del proprio territorio e questo chiude la questione del santuario.

La Giordania aiutò almeno due volte i fratelli mussulmani nelle periodiche insurrezioni conclusesi con la distruzione della città di Hama e oltre dodicimila morti mentre gli USA si limitarono a fotografare dal satellite e la promessa di re Hussein di non ingerenza ( dopo aver detto pubblicamente che era stato ingannato da elementi che avevano dichiarato finalità religiose rivelatesi poi unicamente politiche) è difficilmente rinnegabile in toto.
Inoltre la Giordania dichiara di ospitare ottocentomila profughi e di essere assorbita da questo sforzo. Le ripetute affermazioni di fonte occidentale di stareaddestrando diecimila uomini reclutati tra i profughi, non hanno trovato conferme nei fatti e – diciamocelo – se avessero voluto battersi, non se la sarebbero battuta.

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TERZO: Atteggiamento deciso dell’occidente.

Tutti vogliono fare un intervento ” umanitario” con le truppe americane con il classico ” armiamoci e partite” . In realtà Obama – premio nobel per la pace – può condurre una guerra ( due) ereditata, ma non farne una di iniziativa sua e la scelta del nuovo ambasciatore all’ONU ( che partecipa al Consiglio dei ministri) nella persona di Samantha Powers ( la stessa che in campagna elettorale definì Hilary Clinton ” un mostro”) in questo senso è una garanzia.

Francia e Inghilterra tuonano contro Assad, ma chiariscono che parteciperebbero solo a una alleanza ampia che comprendesse gli USA ed altri.

L’Arabia Saudita è in piena crisi di interregno con il re novantenne e malaticcio che si è ritirato a morire nella sua villa preferita in Marocco ( forse è già morto ma aspettano a comunicarlo) lasciando la delega al crown prince il fratello quasi coetaneo Salmanaffetto da demenza senile mentre il figlio preferito cerca di guadagnare consensi di famiglia per essere in pole position al momento della scelta del nuovo re.

Il Quatar può continuare a pagare – forse anche qualche pilota – ma poco di più.

La voce del Vaticano che preme per una soluzione politica, completa la disgregazione del fronte occidentale e fa pentire gli USA di aver tramato per le dimissioni del Papa tedesco.

La posizione cattolica e ortodossa ( un miliardo e mezzo di persone) impedisce alla opinione pubblica occidentale di sostenere politicamente una eventuale azione militare mascherata da intervento umanitario.
Quel che ha scatenato l’offensiva congiunta cristiana per la pace è stata anche l’offerta delle ambasciate canadese, australiana, americana e neozelandese di visti di ingresso a durata indeterminata ai cristiani d’Oriente. Un incentivo avvelenato.

La volta scorsa ( guerra 1975-1990) ai libanesi il visto offerto era per cinque anni.
Questa volta gli USA cercano la soluzione finale per svuotare la terrasanta dai cristiani, ma ancora una volta sono stati fermati sulla via di Damasco.

GLI USA E LE OPZIONI DI OBAMA : tre opzioni di guerra e nessuna politica?

Le opzioni interventiste a disposizione di Obama sono le stesse di due anni fa:
a) un intervento diretto assieme agli alleati con sbarco in territorio turco ( baia di Adana e porto di Alessandretta). Questa opzione prevede ” boots on the ground” ossia truppe USA in azione diretta ed è da escludersi.
b) bombardamento con missili dal mare e dal cielo tipo ” attacco a Bagdad 1991″ . Lascerebbe le cose come stanno con un alto numero di morti e pochi militari colpiti e rischierebbe di portare in combattimento coi lealisti i militari sunniti che Assad non impiega nei combattimenti per timore di defezioni o casi di coscienza.
c) Rifornimento abbondante di armi moderne ai ribelli. Prima avevano molte persone e poche armi. Con questa opzione tardiva, avrebbero molte armi e meno persone.

La presa in considerazione dell’opzione ” soluzione politica” offerta dai russi, a parte le considerazioni geopolitiche che inducono all’accordo con Putin, mostra che hanno capito di aver imboccato un vicolo cieco e che cercano una via di uscita onorevole accontentandosi di lasciare dietro di se un paese messo a ferro e fuoco

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