Un ricordo di Gennaro Egidio, l’indagatore del caso Gregori–Orlandi
L’avvocato Gennaro Egidio ebbe una sola debolezza: la passione recondita e un po’ ingenua per la politica partitica. Senza averne bisogno, infatti, si candidò come Democratico Cristiano in occasione di un’elezione comunale a Roma. Non fu eletto, raccogliendo poche centinaia di voti quando, in quello stesso periodo, i Giulio Andreotti o i Vittorio Sbardella prendevano centinaia di migliaia di preferenze. Non capii mai la sua scelta. L’uomo dalla stretta di mano erculea – un vero maestro di karate e di difesa personale – era stato narciso e debole. Le sue cravatte, le sue camicie (spesso a righe con colori vivaci e con colletto bianco), i suoi gemelli, i suoi cappelli a larga tesa (spesso “Borsellino” autentici), i suoi trench Aquascutum, mi divertivano e lo ammiravo per il coraggio un po’ esibizionista che mostrava nell’indossare quei capi di vestiario. Era un mito per me, da sempre io, un uomo in grigio e low profile.
Un giorno, a freddo, durante le nostre conversazioni, mi parlò di un dattiloscritto di 620 pagine Uni A4 che era pervenuto alla base/studio di via Archimede 59. Il titolo, Giano bifronte, diceva tutto e niente. Il testo era raccolto in una busta, un plico in verità, che riportava l’indirizzo di via Archimede 59, senza mittente. Aveva sicuramente viaggiato per posta. Mi chiese di leggerlo e di ragionare con lui sul valore letterario dell’opera e sui contenuti.
Non avevo e non ho autostima sufficiente per ritenermi all’altezza di un tale compito. Usai una metodologia che consiglio: contattare, con approccio transdisciplinare, chi ne sappia più di noi stessi. Così feci. Per primo chiesi all’intelligentissimo toscano Mario Cecchi Gori se quel racconto tenesse dal punto di vista narrativo, e se, secondo lui, fosse una storia da film o qualcosa di simile. Lo incontrai in uno studio in via Barnaba Oriani pieno di copioni e segni pittorici e fotografici della sua vera passione: il calcio e la Fiorentina. Un vero signore con me. Mi fu prezioso. Poi scelsi di consultare uno specialista di gialli e di noir, quale mi risultava essere G.G. In realtà mi aveva incuriosito che tra gli invitati alle tavole rotonde tenute durante il festival che organizzava, si trovassero agenti della CIA e del KGB ancora in servizio o da poco in pensione. Lui, onestamente, girò la questione a I.B; con mio grande dispiacere non riuscii mai a incontrarla.
Da questi personaggi sostanzialmente volevo sapere se quel testo fosse una biografia, un’autobiografia o un messaggio criptato che arrivava da oltrecortina.
Il resto è storia della Guerra fredda.
Ho introdotto così l’elemento caratterizzante il rapporto fra me e Gennaro Edigio: lui riteneva che io potessi interpretare le complessità geopolitiche e di sicurezza internazionale implicite nel lungo dattiloscritto.
La trama ipotizzava la fine dell’impero sovietico a opera di una struttura di intelligence interna, invisibile e sconosciuta a tutti i controspionaggi del mondo.
Questi ragionamenti, ovviamente, accadevano e anticipavano di molti anni la caduta del Muro.
L’abile Gennaro Egidio, come compresi dopo la sua morte, sapeva che dal 1979 mi esercitavo a un’ipotesi di scenaristica geopolitica: se cade il Muro di Berlino… Questo, ritengo, gli fu sufficiente per affidarmi Giano.
Tutto qui, questo era il mio rapporto con Gennaro Egidio: un rapporto culturale, disinteressato, senza mercimonio o scambio di favori, da patrioti come siamo stati entrambi.
Dicono che sia un modesto elaboratore di un tipo di intelligence che per semplicità chiamerò culturale. Veda lei se vale la pena di incontrarmi. Prima le chiedo di avere la pazienza di sciropparsi tutti i post del blog. A sessantasei anni, mi annoio a ripetere le cose e preferisco incontrare persone che abbiano già dedicato lettura ai frammenti di narrazione della parte dolorosa della mia vita.