Che il vento della complessità mediterranea spazzi via anche i velleitari oligarchi italiani

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“Vedendo da quali politiche occidentali veniamo governati, mi convinco sempre di più che la sola politica estera da fare, per noi, è quella di lavorare per la creazione di una forte alleanza di neutralità mediterranea cui l’Italia è chiamata dalla sua storia e dalla geografia assieme a Cipro, Malta, Croazia e Slovenia integrandosi con Austria e Svizzera.”

Antonio de Martini continua a fornire, disinteressatamente, al popolo della rete, strumenti culturali necessari ad orientarsi nelle complessità del Mediterraneo e del Vicino Oriente.

Amplifico quanto posso i suoi scritti. In queste ore drammatiche, infatti, non ci si deve accontentare delle corrispondenze giornalistiche e, tantomeno, delle superficiali considerazioni dei nostri politici, sempre disinformati. Più leggo la prosa del “Corriere della Collera” e gli spunti storici e geopolitici che evoca, più penso che, da troppi anni, siamo nelle mani di azzeccagarbugli e che è solo la nostra viltà a mantenere in vita questa gentarella arrogante. Ad esempio, pensando all’Italia primario partner commerciale dell’Egitto, mi divertirei a torturare (metaforicamente parlando) la classe dirigente del nostro Paese per avere spiegazioni su quanto sta accadendo e indicazioni di comportamenti futuri. Non ne caverei “un ragno dal buco” perché non ne sanno e non ne capiscono nulla di tutte le drammatiche sequenze.

L’unica speranza è che, come accadde nel periodo 1939-1945, vicende tanto tragiche accelerino la fine del gruppo di oligarchi che si è impadronito del Parlamento italiano.

Oreste Grani

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GOLPE IN EGITTO: OBAMA VERSO L’IMPEACHMENT E GLI ARABI HANNO UN NUOVO NASSER. di Antonio de Martini

Http://corrieredellacollera.com

Finora l’amministrazione Obama ci aveva abituato ad un frenetico attivismo politico e di comunicazione nel Levante e nel Mondo Arabo che mostrava un forte idealismo nei princìpi e un disinvolto pragmatismo nell’azione.

Obama, i princìpi li ha traditi tutti a favore di una strategia di azione rivelatasi completamente fallimentare, al punto che Il Generale Abdel Fatah Al Sissi – ignorando le velate minacce – si è concesso il lusso di respingere tutte le chiamate di Chuck Hagel (segretario alla Difesa) John Kerry (segretario al Dipartimento di stato) e, in un crescendo rossiniano, di Barak Obama.

Facciamo adesso fatica ad abituarci alla sordina che la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato hanno posto ai loro briefing e che tradiscono umiliazione, imbarazzo e nervosismo per la situazione da impeachement in cui il Presidente americano si è cacciato da solo, mi tornano a mente le parole del comunicato della Vittoria, con orgogliosa sicurezza.

Per capire la situazione nell’Egitto di oggi (poi torneremo all’impeachment) bisogna prima spiegare le trame della guerra civile del Libano, di quella attuale di Siria, il cambio della guardia nel Katar, risalire ai dissidi USA – Pakistan e approdare alla questione palestinese ”dove tutto è cominciato” come hanno detto in mondovisione i giovani libanesi alla scorsa cerimonia del giovedì santo.

Mi sforzerò di farlo in meno righe possibili.

Dal XVII secolo in poi gli Stati (l’Inghilterra in Atlantico e gli Arabi del Nord Africa nel Mediterraneo) crearono la guerra di corsa per finalità di geopolitica economica.

Dominare il commercio marittimo senza impegnarsi in guerre ufficiali troppo costose e rischiose, agevolare il proprio commercio ed ostacolare quello altrui.

La distinzione tra corsari e pirati è rimasta la stessa di allora: se si arriva vivi alla pensione si è Corsari, se si finisce male, si è classificati Pirati.

Il diritto internazionale non ha saputo distinguere meglio, limitandosi ad aggiornare i termini: il Corsaro adesso è un ” insurgent” , mentre il pirata è ” terrorista”.

Visto il successo con cui l’Intelligence Pakistana (ISI) ha saputo influire sul destino Afgano con il sostegno ai Talebani (di fatto una succursale ISI dai tempi dell’occupazione russa), anche lo sceicco del Katar, Ahmed ben Khalifa Al Thani, col suo primo ministro Ahmed ben Jassim, pensarono di dotarsi di questo instrumentum regni e iniziarono a sponsorizzare il partner arabo dei Talebani, Osama Ben Laden, e successivamente, con l’aumento della influenza di Ayman Al Jawahiri (egiziano ed ex FM) anche i Fratelli Mussulmani.

È verosimile che gli USA abbiano dapprima solo monitorato e poi ceduto alla tentazione di utilizzare indirettamente questi avventurieri per risolvere il rompicapo palestinese, ispirati dallo scenario della Patria di sostituzione tentato dagli Israeliani in Libano nel 1982 con l’operazione ” Pace in Galilea” (” spingere” gli sciiti verso il nord per rendere disponibile una fascia di territorio libanese per i palestinesi tra Nakoura, Tiro e Sidone sulla costa e all’interno fino al monte Hermon e quindi evitare di negoziare brandelli di Galilea). Il risultato pratico di questo intervento in Libano, fu la distruzione del catasto delle tre città ad opera degli israeliani, l’arrivo di un paio di centinaia di migliaia di sciiti nei sobborghi di Beirut – non sufficienti però a sfoltire il territorio desiderato- e la nascita del movimento Hezbollah, affermatosi come movimento di resistenza sul territorio.

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IL RUOLO DELL’INTELLIGENCE RUSSA

Fintanto che l’Intelligence russa – in collaborazione con gli algerini da sempre infiltrati negli ambienti irredentistici arabi, libici in specie – non si è presentata, dopo il 20 Aprile al governo USA esibendo le prove – presentate come amichevole tributo anti terrorismo (ineludibile visto il mancato attivismo nel precedente caso dei fratelli ceceni di Boston)- della sistematica collusione tra il governo di Ahmad Ben Khalifa e al Kaida, tutto è andato bene o quasi.

Certo, che in Siria gli USA (e la NATO) stessero a braccetto con al Kaida lo avevano capito tutti, ma poteva apparire come una sorta di CLN in cui per amore della democrazia si accettavano vicini sgraditi. Messo di fronte a prove inconfutabili e non occultabili (copie ad alcuni senatori e al New York Times) il governo Obama ha dovuto scegliere se ammettere, difendendo lo Sceicco del Katar e il suo premier o scaricarli cercando di salvaguardare la continuità del rapporto coi Katari.
Ha scelto la seconda via.

Il nuovo sceicco Tamim al Thani , ha licenziato il premier Jassim, chiuso la rappresentanza dei Talebani a Doha, scacciato il leader di Hamas, Meshaal, in comodo esilio nel Katar e chiuso i rubinetti delle opere caritative verso al Kaida, anche se la TV Al Jazira continua ad attribuire l’appellativo di Sceicco a Ben Laden che sceicco non è mai stato. Tra i tagli ai finanziamenti, quelli ai fratelli mussulmani in Egitto e in Siria.

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LA VARIANTE EGIZIANA

Benché i principali obiettivi della politica araba americana siano tutti legati all’Egitto, (mantenere gli accordi di camp David con Israele, mantenere il controllo del canale di Suez, evitare la nascita nel Sinai di una entità ostile a Israele) la mossa d iregime change in Katar, il Dipartimento di Stato, forse polarizzato dalla trattativa Palestina-Israele, non ha – incredibilmente – calcolato i possibili cambiamenti e ripercussioni che la cessazione degli aiuti ai Fratelli Mussulmani avrebbe comportato negli equilibri interni egiziani e, tra breve, in seno alla Lega Araba.

La CIA, è stata forse distratta dall’impegno alla cancellazione di ogni traccia di trascorsa collaborazione con Al Kaida; la NSA a spiegare perché aveva intercettato chiunque nel mondo violando la legge alcuni milioni di volte e James Clapper direttore della Intelligence Community tutto preso a scansare l’arresto per aver mentito al Congresso.
Fatto sta che il colpo è giunto inatteso e troppo tardi ci si è accorti che:

a) il destino aveva cambiato cavallo

b) non esisteva un piano B

c) le informazioni dei russi e degli algerini portavano altre prove e notizie nascoste al Congresso, incluso il fatto che l’ambasciatore Chris Stevens fu violentato e ucciso a Benghazi, benché l’ intelligence avesse preavvertito dell’attacco pianificato per l’11 settembre.

d) impadronendosi del potere, il generale Al Sissi era venuto in possesso di un vero e proprio preliminare di vendita tra governo USA e Fratelli Mussulmani concernente la cessione ad Hamas di quasi il 40% del territorio del Sinai alla frontiera con Israele con l’evidente funzione di ” Patria di sostituzione” per i Palestinesi, in vista del negoziato di Washington.

Capito che questo preliminare di vendita – costo otto miliardi di dollari già segretamente sborsati – significava la fine politica per lui e per Abu Mazen (tra le carte il piano per il suo arresto e lo scioglimento del Comitato Militare) Abdel Fattah Al Sissi, dando prova di rapidità e di una dignità nazionale inattesa,

ha rotto i rapporti con l’Amministrazione Obama spedendo il documento al Congresso degli Stati Uniti;
ordinato (alla polizia, non all’esercito) di sgombrare la marmaglia, bloccato la TV Al Jazira;
presidiato il canale di Suez comunicando il normale funzionamento;
cessato le spedizioni punitive contro i beduini del Sinai fatte, presumo, con il solito scopo di “fare posto” per i nuovi arrivi in programma.

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LA VARIANTE AMERICANA

Adesso, Obama è perseguitato dallo scorso maggio dall’ottantenne senatore anziano repubblicano dell’Oklahoma James Inhofe che non cessa di chiedere una mozione di l’impeachment (prima per la guerra alla Libia senza autorizzazione del Senato, poi per i gravi fatti di Benghazi, ora anche per la vicenda egiziana che va intersecandosi pericolosamente) riscuotendo crescente successo tra i colleghi repubblicani – che tra l’altro, pretendono la restituzione immediata degli otto miliardi non autorizzati dal comitato senatoriale sulla intelligence – e dal membro della camera dei rappresentanti della Florida Ted Yoho che ha anche depositato il 26 giugno scorso un disegno di legge che proibisce di fornire qualsivoglia forma di aiuto agli insurgents siriani.
Un certo numero di senatori è furente per le frequenti rotture coi Pakistani che si avvicinano sempre più ai cinque di Shanghai e si allontanano dalla alleanza con gli USA.

Mentre per l’attacco alla Libia la Casa Bianca è riuscita a svicolare, ora i contestatori, cresciuti di numero e determinazione, hanno ottenuto la creazione di una commissione di inchiesta del Congresso sui fatti di Benghazi e un’audizione di Obama alla Commissione Esteri del Senato.

Il presidente ha ammesso i rapporti coi Salafiti, con la Fratellanza e con Hamas, spiegandoli con la dichiarazione che essi “hanno operato nell’interesse degli Stati Uniti e di Israele”.
immagino la contentezza degli interessati.
Se si accetta questa versione dei fatti, non si capisce il frettoloso cambio della guardia in Katar, spiegabile invece se per interrompere questa tanto fruttuosa collaborazione che nel rozzo linguaggio dei cow boys chiamano tradimento.

Non ci si può alleare con gli attaccanti delle torri gemelle.

Identica imputazione rivolta a Morsi per il preliminare di vendita (cessione segreta ad Hamas di suolo patrio previa privata remunerazione a un partito, altro che democrazia.) e che in Egitto prevede la pena di morte.

Il duo Obama Kerry mira a guadagnare tempo come un Berlusconi qualsiasi.
Vuole riuscire a “chiudere” in qualche modo il negoziato Palestina-Israele in corso a Washington per ingraziarsi la pubblica opinione mondiale, dopo aver offerto la testa di Hillary Clinton e spera di rabbonire Al Sissi evitando di applicare le sanzioni di legge.
Non pensa che anche Abu Mazen e Netanyahu, per docili che siano resi dal dollaro, abbiano qualche mina nella scarpa.

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LA VARIANTE ISRAELIANA.

Delicata la situazione di Israele con Tzipi Livni bloccata a Washington da un negoziato ormai svuotato, col negoziatore palestinese Saeb Harakat che non fatico a immaginare imbufalito per il giochino di Hamas e del territorio del Sinai (“allora non si parla più di due popoli e due stati, ma di due popoli e tre stati” sarebbe da dire).

Per consentire nel frattempo agli americani di escogitare qualcosa, Israele ha autorizzato – sulla carta – mille nuovi insediamenti nei territori e questo ha consentito ai palestinesi di Fatah una battuta di arresto senza rompere il tavolo negoziale e senza perdere la faccia.

Questa atmosfera kafkiana in cui tutti sono ormai d’accordo su tutto, ma “si sono violate regole” e se ne teme la conseguenza quindi non si procede, ricorda l’incriminazione di Cicerone per aver soffocato non solo la Congiura di Catilina, ma anche i senatori Lentulo e Cetego senza le garanzie processuali previste per i cittadini romani.
La Repubblica incassò l’eliminazione di Catilina e poi decapitò Cicerone.

Si sta perdendo una preziosa occasione e, al risveglio, Israele si troverà di fronte a un altro interlocutore: il nuovo Faraone, il solo a poter oggi decidere la guerra e, coi siriani, la pace.

Il nuovo Faraone tira diritto nella ”normalizzazione” perché sa che può in due giorni ottenere dalla Russia e/o dalla Cina il triplo di quel che eventualmente perderebbe dagli USA e perché , tra altri duemila morti potrà – in assenza di altre reazioni – arbitrare la pace di Israele con Fatah e Hamas e probabilmente anche un’altra conferenza di pace promessa da Kerry: quella sulla Siria.
La sede sarà della Nuova Lega Araba, depurata della influenza Katari e con il nuovo re saudita ridimensionato nel ruolo.
Nel secolo scorso – pardon, nel XIX Sec – il suo antenato per molto meno fu impiccato dal Kedivè d’Egitto Mohammed Ali.

Israele sa che non c’è guerra senza l’Egitto e non c’è pace senza la Siria.piani di circondare Israele di stati cuscinetto sono falliti uno dopo l’altro: Giordania (1970), Libano (1982) Siria (2010) Sinai (2013).
Adesso Netanyahu e Peres possono cercare di ricominciare il gioco dalla casella della Giordania (spostando gli Hascemiti alla Mecca e liquidando la famiglia Saud), oppure sedendosi al tavolo col nuovo leader del Mondo Arabo, approfittando del fatto che l’ordine regna al Cairo e senza americani tra i coglioni.

Immagino qualche lettore deluso per la mancata lacrima sui circa 2000 morti (e i prossimi duemila) che verrà a costare la dichiarazione di indipendenza degli egiziani.
Ebbene, se questo fosse il prezzo per affrancare l’Italia dalla dipendenza, direi che è un prezzo che andrebbe pagato.
Vedendo da quali politiche occidentali veniamo governati, mi convinco sempre di più che la sola politica estera da fare, per noi, è quella di lavorare per la creazione di una forte alleanza di neutralità mediterranea cui l’Italia è chiamata dalla sua storia e dalla geografia assieme a Cipro, Malta, Croazia e Slovenia integrandosi con Austria e Svizzera.
Costerebbe meno, sarebbe militarmente più forte ed efficace, ripulirebbe il mediterraneo senza ripudiare drammaticamente il passato.