A proposito di guerre civili, storie non conoscibili e, imminenti, chiamate di correità in Parlamento

totò 

“Una storia non conoscibile” 

“Giovanni Pellegrino non è uno storico. E nemmeno un politico di professione. È un avvocato. Un bravo avvocato di Lecce che il caso catapultò in Parlamento quando meno se l’aspettava. Nel 1987 era stato candidato al Senato come indipendente nella lista del Pci, ma senza alcuna speranza di ottenere il seggio. Arrivò a Palazzo Madama soltanto tre anni dopo. Per «successione ereditaria», come lui stesso ama dire con amara ironia: si era liberato un posto, dopo la prematura scomparsa di due senatori comunisti di Taranto. Diventò senatore il 12 dicembre 1990, anniversario di piazza Fontana. Se i numeri racchiudono dei significati, in quella data c’era il suo destino.

Tra i banchi del Senato, colpì subito per la sua tendenza, del tutto innaturale per un politico, a dar ragione all’avversario, quando riteneva che ne avesse da vendere, e ad ammettere i propri torti, quando era convinto di non essere nel giusto. Fu così, grazie alle sue doti di equilibrio, che nel 1992 si trovò alla presidenza della Giunta per le autorizzazioni a procedere, una sorta di tribunale del Senato che decideva se un magistrato poteva o meno inquisire un parlamentare. Furono soprattutto i democristiani a volerlo alla presidenza: intorno al Palazzo cominciava già a stringersi l’assedio di Mani pulite, e un uomo come lui dava garanzie di imparzialità.

La stessa ragione per la quale, due anni più tardi, subito dopo le elezioni politiche del 1994, gli fu affidata la guida della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi e sul terrorismo. Dopo il crollo del Muro, il Paese era ancora più diviso da due contrapposte letture delle vicende del passato. Il bipolarismo abborracciato, che aveva sostituito il sistema proporzionale dopo quasi mezzo secolo di democrazia bloccata, non aveva certo aiutato a ricomporre le due Italie. Un esponente della sinistra stimato dalla destra, come Giovanni Pellegrino, avrebbe potuto aiutare a chiudere i conti aperti attraverso la costruzione di una memoria condivisa.

Degli undici anni vissuti in Senato (nel 2001 non volle più ricandidarsi, ne ha trascorsi nove a indagare sulle vicende più oscure della storia italiana. Prima, ha avuto fra le mani molti dei processi di “tangentopoli” e per fatti di mafia, a cominciare da quello a Giulio Andreotti. Poi, ha studiato migliaia e migliaia di pagine (atti giudiziari e documenti d’archivio) sulle trame che hanno insanguinato il Paese nel decennio terribile aperto con la strage di piazza Fontana (1969) e chiuso con l’assassinio di Aldo Moro (l978), ha ascoltato imputati e testimoni, ha raccolto le confidenze di politici, magistrati, militari, uomini dei servizi segreti.

Presiedendo la Giunta, ha assistito al crollo della prima Repubblica e ha visto nascere l’era di Silvio Berlusconi. Guidando la Commissione stragi, ha capito perché era successo. C’era un filo rosso che percorreva l’intera vicenda italiana del dopoguerra. E Pellegrino, godendo di un punto di vista del tutto privilegiato, ha potuto rintracciarlo prima di qualsiasi storico e con maggiore libertà di qualsiasi politico di professione.

È il filo di uno scontro che parte: già dalla Resistenza, e che divide non solo i fascisti dagli antifascisti, ma anche, nel fronte partigiano, i comunisti dagli anticomunisti. Quel filo si dipana poi lungo gli anni della guerra fredda, creando all’interno dei due opposti schieramenti zone di ottuso estremismo, il terreno di coltura delle velleità golpiste da un lato, e rivoluzionarie dall’altro, delle stragi “nere” e del terrorismo “rosso”. Sono due estremismi speculari e opposti, che si combattono senza esclusione di colpi, ma che spesso convergono tatticamente in nome di un obiettivo comune: impedire qualsiasi forma di dialogo fra i due schieramenti. Il punto più alto dello scontro si tocca proprio nel decennio 1969-78, quando nasce, matura e si conclude drammaticamente la stagione del compromesso storico tra Dc e Pci, ispirata da Aldo Moro ed Enrico Berlinguer per adeguare l’equilibrio del sistema alle spinte provenienti dalla società.

L’interruzione traumatica di quella fase, in seguito all’assassinio di Moro, apre la strada a una crisi non solo dei rapporti fra i partiti, ma delle stesse regole costituzionali. Va in frantumi il patto democratico su cui si era fondata la prima Repubblica dopo il 25 aprile 1945 e che aveva consentito al sistema di sopravvivere durante: la guerra fredda.

Dopo il crollo del Muro, lo scontro fra le due Italie si riaccende, con fiammate inimmaginabili fino a quel momento. Dagli armadi della prima Repubblica affiorano improvvisamente gli scheletri di un passato rimosso per quasi mezzo secolo, i miasmi di una storia sempre occultata perché non conoscibile per l’opinione pubblica. Il conflitto si trasforma in un feroce regolamento di conti. La sinistra post-comunista cavalca con spregiudicatezza le inchieste della magistratura che azzerano l’intero ceto politico di governo. Per il fronte anticomunista è un golpe. E per riequilibrare il potere giudiziario della sinistra, nasce quello mediatico della destra: Silvio Berlusconi.

Ecco, il filo rimosso di una storia malata. Pellegrino lo ha rintracciato e ricostruito mettendo insieme i tanti pezzi scoperti durante il suo viaggio a ritroso nelle vicende di mezzo secolo. Ma come sempre accade agli uomini del dialogo in un contesto di odio (qualunque ne sia l’origine, politico-ideologica, etnica o religiosa) o agli investigatori in un contesto di omertà, anche lui non ha avuto vita facile. Ogni volta che toccava qualche tasto che non andava toccato, finiva sotto il fuoco o degli avversari o degli amici, a volte sotto il tiro incrociato di entrambi. È accaduto spesso durante i suoi nove anni di indagini. Si è ripetuto quando ha provato a raccontare la sua esperienza alla guida della Commissione stragi in un libro-intervista (Segreto di Stato), pubblicato da Einaudi nel 2000. E con ogni probabilità, accadrà anche questa volta, dopo l’uscita della Guerra civile.

La storia che racconta Pellegrino, per molti aspetti, è ancora oggi non conoscibile. E soprattutto, è una storia ancora in corso. Quella di una transizione infinita che impedisce al sistema della guerra fredda di trasformarsi finalmente in una democrazia dell’alternanza e alle due Italie di diventare una nazione.”

Giovanni Fasanella

 Totò pazzariello

Questo non è un tardivo spot pubblicitario al libro “Guerra civile” di Giovanni Fasanella e Giovanni Pellegrino, edizioni Bur 2005, ma il modesto suggerimento (a mia volta ricevuto dall’amico Mimì) di una (ri)lettura preziosa che, in queste ore, rivolgo agli attenti lettori di Leo Rugens.

È un invito alla vigilanza perché espressioni forti come “guerra civile” non passino, in bocca e per bocca di signore al botox e nel linguaggio comune, come se fossero un bicchiere d’acqua fresca. A proposito di guerre civili e dell’imminente discorso di Silvio Berlusconi al Parlamento riporto il ragionamento politico comparso oggi sul blog del M5S: “se io delinquente, voi miei servi”. E consigliamo noi, “complici”. Così parlerà Berlusconi al Senato secondo Giuseppe Grillo:

Craxi spiegò in Parlamento che se rubava lui, rubavano tutti. Nessuno si alzò in piedi per contestarlo. Silenzio assenso? C’è ora una larga attesa, figlia delle larghe intese, sul discorso che un pregiudicato, amico fraterno, non a caso, di Bottino, farà alle Camere riunite. Di per sé è già un evento che Berlusconi si faccia vedere in aula dato il suo assenteismo cronico emulato solo dal suo avvocato parlamentare, il noto Ghedini. La giustificazione (vera) è che sono affezionati frequentatori dei tribunali della Repubblica, inseparabili. Posso permettermi qualche suggerimento all’evasore fiscale per le parole di commiato ai parlamentari? Due cose così per arricchire la concione che terrà dal suo banco.

“Cari, carissimi (quanto mi siete costati) parlamentari, se oggi sono qui è per mandarvi a fanculo. Certo, non è un linguaggio che mi appartiene, io, abituato alle cene eleganti, però esprime dal cuore quello che penso di voi. Se io sono un delinquente voi siete i servi di questo delinquente, i suoi soci in affari, i suoi dipendenti. Mi rivolgo soprattutto ai banchi della sinistra che mi è stata vicina in tutti questi anni con l’approvazione delle leggi vergogna, dell’indulto, dello Scudo Fiscale. Quanti bei ricordi assieme. E la scorpacciata del Monte dei Paschi? Indimenticabile. E ora vi voltate dall’altra parte, compreso Enrico Letta che spese parole di miele per me invitando a votarmi al posto del M5S (in verità le spese anche per Andreotti e per Monti, è un ragazzo volubile…). Lui che deve tutto a suo zio che a sua volta deve tutto a me. Se io sono colpevole, voi siete colpevoli di avermi tollerato, coperto, aiutato in ogni modo sapendo perfettamente chi ero. Non mi sono mai nascosto, al contrario di voi. Finocchiaro, D’Alema, Violante dove siete? Non potete lasciarmi solo. Potrei essere indotto, più dalla rabbia che dalla disperazione, a rivelare la storia di questi vent’anni agli italiani intontiti dalle televisioni che voi graziosamente mi avete regalato. Senza di me voi non sareste mai esistiti. Senza di voi, che avete ignorato per me qualunque conflitto di interessi, io non sarei mai esistito o forse avrei accompagnato il mio sodale a Hammamet. Siamo legati come gemelli dalla nascita. E ora mi lasciate solo, ai domiciliari o ai servizi sociali per una semplice frode fiscale? A fanculo, dovete andare. Io non sono certo peggio di voi. I padroni, anche i più ributtanti, sono sempre migliori dei loro servi!”.

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Aggiungiamo noi: non portò bene ad Aldo Moro intimare la non processabilità della DC; non portò bene la chiamata di correità che provò a fare Bettino Craxi per fermare la deriva del suo destino verso l’esilio; e come dice un detto popolare, non c’è il due senza il tre, l’associarsi a delinquere con il resto della partitocrazia non porterà bene al giocatore di dadi truccati.

In queste ore i berlusconiani, sentendo il pericolo implicito in una resa dei conti con gli italiani incazzati mutuano, da quanto accade di tragico in Egitto e in Siria, espressioni quali “insorgere” e “guerra civile”. Ora, sulla falsa riga di queste pagliacciate, passeranno a mettere in scena la pantomima di uno scontro dopo aver confermato, di comune accordo con gli odiati comunisti, Franco Bassanini alla guida della Cassa Depositi e Prestiti e alle Ferrovie la salamandra Mauro Moretti. Gli oligarchi, finti di destra e di sinistra, ritengono così di essersi assicurati altri anni di consociativismo per attingere ai residui “contanti e appaltoni”. TAV in Val di Susa compresa.

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Ora possono tirar fuori i “tric e trac“, i “putipù o caccavella o crocrò o cupa cupa“, gli “scetavajasse” per far credere a quel residuo 30% degli italiani che ancora li votano (sommati i voti, in numeri assoluti, di PD e PDL, di questo si tratta) che intorno al destino della mummia Silvio Berlusconi si gioca la salvezza della Patria. Solo per questo tentativo estremo di inganno del popolo sovrano, andrebbero fucilati.

Intanto godiamoci, si fa per dire, gli effetti devastanti dei dossieraggi incrociati alla Pompa/Pollari e Gelli/Bisignani che gli avanspettacolisti sono pronti a recitare o a blaterare come ventriloqui.

La loro è una patacca di guerra civile e la minacciano senza pudore mentre, quelle vere, con morti a migliaia e sofferenze per milioni di esseri umani, sono in atto in Siria e in Egitto.

Questi farneticanti cocainomani e simulacri di esseri viventi ricostruiti plasticamente, aggrappati ai loro poteri residui, non hanno fantasia sufficiente per usare altre espressioni (insorgere, accendere la miccia) per annunciare i loro “tiraggi di capelli”. Ma anche Rugantino, il bullo romano ottocentesco, alla fine, una coltellata se la prese.

Oreste Grani

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