C’è un rizoma tra la storia del music hall e quella della Massoneria inglese
Oggi mi va di dire la mia sulla musica e su cosa ritengo sappiano gli italiani del suo rapporto con la Massoneria.
Ad esempio, pochissimi sanno a chi si deve l’invenzione del Music Hall, il suo sviluppo culturale, la sua funzione sociale, il suo divenire impresa. Intanto pubblico il testo di una conferenza ben dedicata a questo argomento. Altra volta, se sarete buoni e se la rete mi dirà che avete trovato interessante l’argomento, passeremo alla musica come enigma, come armonia, come crogiolo esoterico di credenze magiche egizie, persiane, gnostiche cristiane.
Proveremo a trovare, negli spartiti, le tracce degli astrologi caldei, dei gimnosofisti indiani, di Pitagora, di Platone, di Plotino e della sua studiosa e interprete Ipazia d’Alessandria. Come vedete, sempre lì vado a parare.
Oreste Grani
I Massoni e lo splendente mondo del Music Hall
October 3, 2008
di Danila Bellino, Roma
I principi della rettitudine, della grande opera massonica e l’atmosfera piena di canzoni e di alcool del West End londinese. “Vi erano sovente stretti legami tra i pub, l’industria del teatro in genere e i massoni; le logge londinesi si riunivano in sale private presso locande e taverne, dove i soci si fermavano a cenare al termine delle riunioni”, ha spiegato Diane Clements, direttrice della biblioteca e del museo della Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
La sua conferenza dal titolo La massoneria e l’impresa del music hall, è stata ospitata all’interno degli storici saloni della biblioteca del Grande Oriente d’Italia, che ha inaugurato così un ciclo di incontri internazionali di studio. E’ un mondo pioneristico quello dei music hall, che segue il ritmo accelerato della rivoluzione industriale e può vantare i suoi eroi, “Charles Morton, era un cameriere, che poi diventò locandiere aprendo un locale nel 1852, in cui si guardava lo spettacolo, si beveva e si mangiavano patate arrostite”, ha raccontato la Clements, “fu uno dei più importanti ‘osti impresari’ come si chiamavano allora quelli che gestivano i music hall, ed è dimostrata dai registri la sua appartenenza alla loggia di Bedford”. Questi locali fin dall’inizio si presentarono come alternativi ai teatri classici, per la possibilità offerta ai clienti di bere e mangiare serviti a un tavolo mentre gli artisti si esibivano. Ma per riuscire ad affermarsi bisognava giocare su alcuni punti: “elementi fondamentali del successo erano la promozione personale dell’oste impresario, il lusso del locale, gli artisti e la mescita di vino, dunque erano necessari ingenti capitali per la fase di avvio” ha chiarito la storica inglese, “il finanziamento era un affare assolutamente privato e informale, basato sull’esistenza di un capitalismo da gentleman, che consentiva agli uomini di raccogliere fondi o trovarsi garanti fra i conoscenti, appartenenti a club, società, confraternite e organizzazioni, come appunto la massoneria, in cui si ritrovano legati insieme debitori e creditori”. La voce più importante, “era lo smercio di alcol, perché gli incassi del bar costituivano una quota sostanziosa dei proventi”, ha assicurato la Clements, “il che induce a credere che le affiliazioni alle logge favorissero il contatto con i commercianti, in grado di offrire credito al consumo”. Significativo, secondo la storica, che il quotidiano The Era, del 1838, “un giornale per rivenditori di alcolici, si trasformò e dichiarò di essere dedicato agli amanti del teatro, del musical, dello sport, ai rivenditori di alcolici, alle famiglie e ai massoni; ospitava infatti nelle sue pagine i resoconti delle riunioni delle logge”. Per cercare di comprendere questa atmosfera di divertimento, musica, bicchieri, bisogna pensare che, ha detto la bionda signora, “la presenza delle logge in questi locali del West End, comportava il passaggio di alcune idee massoniche negli spettacoli, attraverso le canzoni e altri tipi di intrattenimento, un esempio ne è la popolare canzone Act on the square, boys!, che incita ad avere un comportamento retto, leale e giusto e in un verso dice: fratelli tutti, e anche massoni, facciamo la nostra parte di bene”. Ad ampliare la visione sul contesto storico inglese, Lucio Villari, professore di Storia contemporanea all’Università La Sapienza, secondo cui “nei primi anni dell’800, superata la prima parte della rivoluzione industriale, gli inglesi credono di poter veramente costruire un società nuova, della libertà e della felicità, in cui l’elemento del loisir, del divertimento per le classi medie e popolari, è fondamentale”. La forte presenza dell’alcol è spiegata dallo storico come, “una conseguenza della cultura dello stordimento che ha caratterizzato gli inglesi, e che si può trovare anche in un certo tipo di intrattenimento leggero, ma aveva anche altri aspetti, meno affascinanti, pochi sanno infatti che in molte famiglie operaie, dove lavoravano in fabbrica moglie e marito, i bambini venivano letteralmente drogati con uno sciroppo di laudano misto ad oppio. Non potendo affidarli a nessuno, i genitori erano costretti a stordirli, anche se questa pratica era criticata dai dottori, che cominciavano a rilevarne le conseguenze negative sullo sviluppo dei piccoli”. Ma, per comprendere a fondo il complesso intrecciarsi di alcol, desiderio di divertimento, di stordimento, bisogna anche ricordare, secondo il professore, che “i music hall erano dei crogioli di idee, alcune con aspirazioni socialiste, anche di un socialismo spontaneistico, che hanno influenzato grandi artisti, come Charlie Chaplin, i cui genitori infatti erano artisti dei music hall di Londra”.