Partendo da Sergio de Gregorio, passando per Nicolò Pollari e giù giù fino a Pio Pompa, proviamo a capire perché, dopo la morte di Aldo Moro, ci hanno cacciato dal Mediterraneo
Berlusconi offre 200 milioni di euro a chi dovesse dare la prova della sua corruzione nei confronti di quel fiorellino di Sergio de Gregorio. Se non facesse tanto caldo, ci daremmo da fare subito, bisognosi e avidi quali siamo.
Oggi è il 19 luglio 2015 e tutto va bene!
Oreste Grani/Leo Rugens
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxSperavo di incontrare Sergio De Gregorio. Lo conosco dagli anni Settanta, giovanissimi cronisti a Napoli. Avevamo un amico in comune, il grande inviatoGiuseppe Marrazzo. Poi ci siamo persi di vista, storie diverse. Ma è dal 1995 che avevo un domanda da fargli, da quando l’ex senatore comprato da Silvio Berlusconi, inviato del settimanale Oggi, intervistò e pubblicò le fotografie di Tommaso Buscetta in crociera nel Mediterraneo. “Da chi hai avuto la soffiata?”. Ho sempre pensato che fossero stati i servizi segreti e oggi Sergio De Gregorio lo ammette candidamente: “La ebbi probabilmente da qualcuno dei servizi di sicurezza dello Stato che non era d’accordo con quella operazione”.
1995. Stava per cominciare il processo Andreotti ed era partita la campagna di delegittimazione dei collaboratori di giustizia. Tommaso Buscetta è il pentito più importante di Cosa Nostra. Dopo la morte di Giovanni Falcone aveva fatto il nome di Giulio Andreotti e, rileggendo Gli Intoccabili di Peter Gomez e Marco Travaglio, mi torna in mente che il 15 luglio 1995 la Procura di Palermo aveva interrogato don Masino per un’inchiesta minore, che prende il nome da una banca palermitana, la Cram. Qualcuno teme che Buscetta racconti qualcosa anche sul conto di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. “Così in tempo reale scatta quella che i pm del processo Dell’Utri definiranno “la trappola”. Subito dopo l’audizione davanti ai pm siciliani, don Masino parte con la famiglia per una crociera nel Mediterraneo. Viaggia in incognito, con nome e documenti di copertura forniti dalle autorità americane sulla motonave Veracruz. Durante la crociera, viene avvicinato da Sergio De Gregorio. L’ex senatore, all’epoca giornalista, anticipa al telefono in un’intervista al Corriere della Sera di aver incontrato per il settimanale Oggi Tommaso Buscetta e i Buscetta vengono precipitosamente prelevati dai Nocs in alto mare e messi in sicurezza.
Oggi, quando sul terrazzo di casa sua chiedo a Sergio De Gregorio perché il suo contatto dei servizi segreti lo avvisò, circoscrive “la trappola” a un eventuale dissenso negli apparati sulle modalità di quella vacanza: “Non fu una grande idea mandare i Buscetta su una nave da crociera che faceva scalo a Catania, con 700 passeggeri che potevano essere oggetti di un attentato di qualcuno che avesse avvisato i compari di mafia catanesi”. E aggiunge: “Guardi, io scoprii che a bordo della nave c’erano dei signori di Marano (paese del napoletano, ndr) che facevano parte della famiglia Simioli, che erano stati accusati proprio da Buscetta nell’ambito delle indagini sul clan Nuvoletta”. Non è solo Sergio De Gregorio sulla Veracruz. Porta sua moglie e due amici. E’ più facile così “familizzare” con la famiglia Buscetta. Sorridendo De Gregorio mi dice di essere riuscito a far cantare don Masino: “O Sarracino e Guapparia”.
Al processo Dell’Utri, De Gregorio ricorda, invece, che Buscetta parla delle origini mafiose, del patrimonio di Berlusconi e dei rapporti di Dell’Utri con Cosa Nostra. Si scaglia contro l’impegno politico del Cavaliere: “Le pare possibile che uno Stato moderno si affidi a un personaggio le cui fortune provengono dalriciclaggio della mafia?”. Su Oggi non c’è traccia dei riferimenti a Berlusconi e Dell’Utri. Nell’intervista che realizzo per Servizio Pubblico l’ex senatore nega che ci fosse uno scontro dentro i servizi segreti tra quelli che volevano difendere Buscetta e i “filoandreottiani” o i “filoberlusconiani”. Racconta che qualcuno lo avvisò. Chi? “Un anonimo. Giuro, ricevetti una telefonata anonima di un signore che mi disse: guarda che su quella nave c’è Buscetta. Se ci sali a bordo lo trovi. Male che vada, pensai, mi faccio una vacanza”. Ma chi c’era sulla nave a proteggere don Masino? “I servizi segreti israeliani”.
Come? “Il Mossad doveva garantire la tranquillità della famiglia Buscetta”. E lei come fece a eludere la sorveglianza di uno dei più potenti apparati di sicurezza del mondo? “Io fui inseguito dagli agenti israeliani che ebbero il sentore, tra 700 persone tenute d’occhio,che io stessi realizzando foto e intervista perché stavo sempre con Buscetta. I rullini della macchina fotografica li nascondevo smontando i soffitti delle cabine. Scattai centinaia di foto. Chiamai la redazione del mio giornale e in previsione dello scalo a Rodi fecero partire un fotografo al quale consegnai i rullini. Due giorni prima di approdare a Catania rilasciai l’intervista alCorriere della Sera. Arrivarono i Nocs con gli elicotteri e Niccolò Pollari, che poi, negli anni successivi, ho stimato come amico, mi confessò che era stato lui a doversi prendere la responsabilità di coordinare quel blitz mandando le motovedette della Guardia di finanza fuori dalle acque territoriali italiane per scortare Buscetta e portarlo via”. Non so se quel servizio giornalistico contribuì o meno alla campagna di delegittimazione dei pentiti. Ricordo che quando vidi quelle fotografie pubblicate pensai subito che avrebbero potuto mettere a repentaglio la vita di Buscetta e dei suoi familiari, anche se erano un po’ mascherati. De Gregorio non si sente responsabile: “Io feci lo scoop, ero un cacciatore di scoop”. Qualche tempo dopo, penso che fosse nel 1996, io e Michele Santoroincontrammo a Roma Tommaso Buscetta. Gli chiedemmo come avesse reagito a quell’intervista pubblicata su Oggi. “Il giornalista si presentò come amico. Gli chiesi di aspettare di pubblicarla. Che l’avrei incontrato un’altra volta”.
da Il Fatto Quotidiano del 28 settembre 2013
Illuminante ma non esaustivo. A mio avviso, per cogliere, fino in fondo, il valore di questa onesta e intelligente ricostruzione, “La macchina del tempo” in dotazione a Leo Rugens vi deve accompagnare fino al novembre del 2002 negli uffici del SISMI di via Nazionale, diretti da mister “accuscì“, alias Pio Pompa. In quella posizione gerarchica niente male e pagata dignitosamente, lo strateghino del dossieraggio calunnioso, ci è arrivato entrando, da civile, nel servizio a base di prevalente reclutamento miltare, per chiamata fiduciaria, nel 2001 con contratto di consulenza. Gli importi e modalità amministrative furono discusse direttamente con il vertice del Servizio. Sarà il direttore del SISMI, Gen. Nicolò Pollari, con scelta, ancora una volta, discrezionale, che nel 2004 lo assumerà a tempo indeterminato “per chiamata diretta”. Dal 2001, nell’ufficio di via Nazionale, Pio Pompa non ha mai fatto un cazzo di funzionale alla Strategia di sicurezza nazionale. Ha solo, in modo approssimativo (come i suoi evidenti limiti intellettuali gli consentivano di fare) “ritagliato e incollato” dei “si dice” e nulla più. Faceva disinformazione calunniosa, se proprio in qualche modo vogliamo classificare le attività del culo di piombo, Pompa. Nulla che avesse un senso strategico per la salvaguardia degli interessi della Repubblica Italiana. Nulla che riguardasse i compiti istituzionali dei Servizi Segreti. Ne lo avrebbe potuto fare perché, Pio Pompa non aveva nessun addestramento specifico e tantomeno doti innate intellettuali da analista di realtà complesse. Anzi, per lui, esistevano solo cose “complicate”, perché di complessità e della necessaria conoscenza della transdisciplinarità per interpretarla, non sapeva nulla. Non era neanche uno “sbirro dal buon fiuto“. Era solo un “attaccatore di asini dove il padrone vuole“, funzionale al tentativo, mai realmente riuscito, di parare il culo del padrone Berlusconi.
Nel novembre del 2002 troviamo, appunto, mister “accuscì” indaffaratissimo a lanciare l’allarme “dell’avvio di un’ulteriore iniziativa mediatico-giudiziaria in pregiudizio del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dell’onorevole Dell’Utri”. Avete capito? Un ufficio del Sismi diramava questi allarmi. Bisognava impegnare il Servizio per proteggere due criminali. Per forza che in quelle stesse ore perdevamo posizioni di ascolto, reperimento di informazioni, analisi in tutto il Mediterraneo dove operavano agguerriti Servizi Segreti di paesi interessati (vedi Francia) a scalzarci dalle nostre posizioni geopolitiche e, oso dire, relazioni culturali. Siamo rimasti col culo per terra, passo dopo passo, in Tunisia, Algeria, Libia, Egitto, Libano, Siria. Tutto è stato sacrificato al dio Berlusconi.
Perché Berlusconi fosse il padrone di Nicolò Pollari e quindi di Pio Pompa è uno dei tanti misteri che aspettano spiegazioni alla caduta di questo regime partitocratico. Nicolò Pollari è un uomo colto e competente. Pio Pompa è una mezza cartuccia ed è sembrato essere una minaccia per le istituzioni democratiche, per la pochezza del quadro generale in cui operava. A conferma di questa affermazione, impegnativa e definitiva, ricordo a chi mi leggesse che, il “diabolico” Pio Pompa aveva frequentato, negli anni successivi all’omicidio, la coppia delle assassine del povero Maurizio Gucci, “sparato” il 27 marzo 1995.
Mister “accuscì” frequentava Patrizia Reggiani Martinelli e Pina Auriemma, rispettivamente nel ruolo di moglie e amica cartomante del povero Gucci, senza mai aver sentore dell’ordito criminale che legava le due signore. Il fine investigatore, il sottile tessitore di trame carsiche, il cazzutissimo fustigatore di toghe bolsceviche, incontrava le assassine negli uffici della “Tellus multimediale srl “, a Corso Vittorio angolo Piazza Sant’Andrea della Valle, per organizzare un import export di spaghetti e sughi di pomodoro sotto il brand di garanzia, “Gucci”. Marchio appena ereditato dall’assassina. Vi basta?
Da quanto emerge dal racconto di Sergio de Gregorio, è chiaro che invece di guadagnarsi il pane ragionando di Strategia di Sicurezza Nazionale come a partire dal 2002 un numero crescente di Stati industriali avanzati fanno elaborando un documento governativo che possiede le seguenti caratteristiche essenziali e che definisce il concetto di “sicurezza nazionale” (inteso in maniera ampia e multidimensionale), identifica gli interessi strategici vitali del sistema-paese e il suo ruolo nel sistema internazionale; delinea i connotati dell’attuale global security environment (il quadro globale dei rischi per la sicurezza); individua i rischi e le minacce a medio-lungo termine con i quali il Paese deve confrontarsi, indicando un loro ordine di importanza e priorità; indica gli indirizzi politico-strategici di risposta a tali sfide e gli strumenti operativi più idonei, sotto il profilo sia della tutela degli interessi nazionali sia della prevenzione e gestione di eventuali crisi o emergenze.
In quegli stessi anni i nostri analisti hanno altro da fare che individuare risorse imprenditoriali capaci di sviluppare ricchezza, occupazione, visione strategica nelle aree della:
- Politica della Difesa
- Sicurezza Interna dello Stato e Ordine Pubblico
- Sicurezza Economica – Finanziaria
- Sicurezza Energetica
- Cyber – Security
- Protezione delle Infrastrutture Critiche
- Ricerca Scientifica e Tecnologica
- Sicurezza Ambientale
- Sicurezza Sanitaria
Da questi racconti illuminanti di Sergio De Gregorio ed altri, abbiamo conferma che per anni lo “stipendificio” dei servizi è stato sostanzialmente impegnato perché gli interessi del Cavaliere fossero protetti, prima di ogni altro obiettivo necessario alla serena convivenza civile degli Italiani. Sergio De Gregorio prima, Pio Pompa poi, e infine, tutti quelli necessari e sufficienti, mobilitati su un solo obiettivo: difendere quel sant’uomo di Berlusconi dagli attacchi delle toghe rosse. L’importante era che il manovratore non fosse disturbato nel saccheggio del Paese e della Verità. Collaboratori di giustizia e magistrati ligi al proprio dovere, dovevano essere contrastati con la denigrazione sistematica e con il piccolo cabotaggio delle falsità costruite e sparse per avvelenare l’aria in modo che nulla fosse credibile se non le promesse vanagloriose del giocatore di dadi truccati, Berlusconi Silvio.
La politica estera? Ci avrebbe pensato l’uomo fidato che Berlusconi teneva inamovibile all’ENI, Paolo Scaroni. Tanto quella del petrolio era la politica estera che gli interessava. Quella delle tangenti sul greggio e su quanto riuscivano, fottendoli, a far pagare, in eccesso, agli italiani. Ma il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi e dopo tutti gli inutili tentativi di alterare la realtà dei fatti usando il denaro pubblico della cassa dei Servizi Segreti, il cazzaro di Arcore è caduto per quattro puttane e i loro “telefonini birichini”. GAME OVER
A Paolo Scaroni ci penseranno Giuseppe Grillo e i cittadini deputati organizzati nel MoVimento 5 Stelle.
Oreste Grani
L’ha ribloggato su Leo Rugens.
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