Il cyberspazio, la blogosfera sono un “luogo non luogo” guidato da leggi atipiche, quasi indefinibili, in continua evoluzione e, comunque, di difficilissima interpretazione. Questa è la mia banalissima opinione. Dice Luca De Biase, uno che se ne intende certamente più di me, dal momento che studia questa grande trasformazione da quando è in essere, che, ad esempio, nella rete convive un pubblico straordinariamente attivo e buono, con un pubblico cattivo, crudele e distruttivo senza limiti.
Questi mondi non si parlano ma si possono incontrare in rete in ogni momento. I due campi avversi (passatemi l’espressione impropria da uomo nato e cresciuto con l’elettromeccanica e che, solo da adulto, ha scoperto l’elettronica) producono, istante per istante, miliardi di informazioni nelle più diverse forme (parole, foto, filmati, suoni) tutte notizie che irrompono senza una reale verifica sui metodi trasparenti e culturalmente intelligenti di selezione delle stesse e, soprattutto, senza pratiche a dimostrazione della credibilità delle fonti, delle “cose” che girano in modo virale e, a volte incontenibile, nella rete. Milioni di persone entrano in contatto con l’immagine A o con il racconto B, ne subiscono la contaminazione culturale implicita, e la commentano con proprie riflessioni o, più spesso, con dei clic passando ad altri il compito di fermare o meno questa straordinaria “catena di Sant’Antonio”.
A volte i numeri diventano xy, cioè mostruosamente grandi, altre volte kz, cioè minori. Raramente, zero. Il caso che sento il dovere di evidenziare, ad esempio, è in rete da oltre 4 anni. È una storia avvincente, alla Dan Brown più un pizzico di John Le Carrè, vera, anzi “autentica”, secondo la classificazione che Leo Rugens si permette di dare alle “fonti aperte”, e, in oltre 4 anni, si è meritata “zero” commenti. L’autore del blog su cui compare questa “notizia articolata”, affascinante e illuminante, è Franco Bechis, cioè, una persona seria.
Tutti i lettori tacciono. In questa avventura poliziesca, raccontata e documentata in modo ineccepibile, e in cui si ricostruisce la vicenda di due crocifissi “attribuiti” a Michelangelo Buonarroti, c’è uno spaccato del nostro Paese, della tragedia politica in atto e della “fauna criminale” che, quotidianamente, fagocita l’Italia, divorando le sue ricchezze residue, soffocandola con i miasmi delle continue defecazioni, frutto di tanta avidità e incontinenza.
Per questo, ormai, in molti, dentro e fuori i confini, dicono che “siamo nella merda”. Sono attratto dalla storia e da quello “zero spaccato”. Dalla vicenda “Pizza-Camaldo e altri”, che ora leggerete, emergono, inoltre, non pochi dei motivi che hanno reso, urgentissimo, il Grande Cambiamento in Vaticano, a cui assistiamo. È attualità allo stato puro. Grazie all’azione moralizzatrice che Papa Francesco sta attuando, molto di questo continuo voler coinvolgere la Chiesa in affari, anche loschi, per renderli credibili agli occhi dei “polli da spennare”, dovrebbe cessare.
Inoltre, per opera di un’attività investigativa di prevenzione, libera di “pizzicare” a 360°, molti dei millantatori di fantomatiche coperture “in alto loco”, potrebbero essere resi innocui. O adesso, o mai più, come si dice.
Ci scusiamo di questa interferenza professionale ma, da “tifosi” di papa Francesco e da semplici cultori dei ragionamenti che Padre Robert Graham ha lasciato all’Umanità, veramente, pensiamo che sia arrivato il tempo. Come è scritto, saggiamente, nell’antichissimo “Ecclesiaste”.
Anche perché, con Bergoglio ormai Papa, non sono neanche ipotizzabili certi ammiccamenti che, in passato, rendevano, agli occhi dei “gonzi”, i “pizzettari” grandi chef o, le suorine alla Lucia Lacandia, delle sante Caterina da Siena.
È ora, per chi di dovere e può, di agire con la massima fermezza, per inibire, come primo esempio, i facili ingressi, ai troppi che, senza reale motivo, frequentano lo Stato Vaticano, al fine solo di accreditarsi e millantare relazioni e poteri che, grazie al “Grande Gesuita venuto da lontano”, nessuno può ritenere più di avere a disposizione.
Così facendo, i responsabili della Sicurezza vaticana e dell’Intelligence che deve pensare a proteggere Papa Francesco, darebbero, a nostro sommesso avviso, una mano a chi, nel resto del Mondo e in particolare in Italia, deve sradicare una cultura che ha spinto, troppi e per troppi anni, a fare i propri interessi, piuttosto che quelli della Chiesa e dei credenti.
Certamente, ad esempio, presso la residenza di monsignor Francesco Camaldo, in una bellissima abitazione protetta dall’extraterritorialità, devono essere avvenute cose e ci devono essere state frequentazioni, non consone con quanto Cristo, quando si è lasciato crocifiggere, si augurava che avvenissero sulla Terra, nel Suo nome e del Suo martirio.
Lunga vita a Papa Francesco, amico della Verità, della frugalità e degli ultimi.
Cari e pazienti lettori di Leo Rugens, inoltratevi in questa vicenda affascinante e fatene l’uso “intelligente” che ci auguriamo.
Nel post precedente ho raccontato in un articolo la storia dei due Crocifissi di Michelangelo, quello la cui attribuzione probabilmente è falsa, ed è stato comprato dallo Stato italiano. E quello autentico che invece è passato nelle mani del Vaticano, della massoneria, della ndrangheta e della P2 e forse oggi si trova negli Stati Uniti. Adesso metto a disposizione parte del materiale giudiziario da cui sono partito per raccontare la storia. Che emerge la prima volta da un interrogatorio di monsignor Francesco Camaldo del 17 febbraio 2006. Eccone il testo a puntate… Di Tolla è l’appuntato che interroga, Camaldo è il cerimoniere del Papa che risponde…
TRASCRIZIONE DI UNA AUDIOCASSETTA CONTENENTE LE SOMMARIE INFORMAZIONI RESE DA CAMALDO FRANCESCO IL GIORNO 17 FEBBRAIO 2006
Di Tolla L’anno 2006, il giorno 17 del mese di febbraio, alle ore 16.00, in Roma, presso gli Uffici dell’Ispettorato P.S. del Vaticano, dinanzi ai sottoscritti Ufficiali Agenti di P.G., ispettore capo Pasquale Di Tolla, in servizio presso la Squadra di P.G. della Polizia Stradale di Potenza, assistente Rocco Taddei, agente Michele De Felice, in servizio presso l’Ufficio in intestazione, è presente Camaldo Francesco, il quale richieste le generalità, previo ammonimento delle conseguenze penali cui si espone chi si rifiuta dí darle o le dà false, risponde: “Sono e mi chiamo…”?
Camaldo — Francesco Camaldo.
Di Tolla — Nato a Lagonegro…
Camaldo Sono nato a Lagonegro il 24 ottobre 1952.
e…
Camaldo — Risiedo a Roma, Piazza San Giovanni in Laterano, 4.
Di Tolla Il signor Camaldo Francesco, sentito in merito ai suoi rapporti con Pizza Massimo, è avvertito che è obbligato a rispondere secondo verità in ordine ai fatti sui quali vengono richieste le informazioni. Allora, signor Camaldo, lei conosce il signor Pizza Massimo?
Camaldo Sì, lo conosco. Dobbiamo andare… per essere precisi, vado un pochino indietro nel tempo. lo sono amico di un avvocato che si chiama Andrea, che si doveva sposare con questa ragazzetta che si chiamava Cristiana. Cristiana era la figlia del proprietario del ristorante “Matriciano” qui a Roma. E allora, alcune volte sono andato al ristorante per andare a cena con questi ragazzi, per preparare il matrimonio. Il papà di Cristiana, Alberto, che si fermava sempre così, a cenare o a pranzare con noi, stava vicino a me, mi era molto… mi è molto devoto, un giorno mi disse: “Ti devo far conoscere il dottor Giuseppe Pizza, che è un grande studioso di cose della Chiesa. Guardi, Monsignore, è proprio una cosa… lui è bravissimo, conosce tutto, il Vaticano… Mi piacerebbe che lei lo incontrasse”. E io ho detto: “Va bene, quando sarà… un giorno che capito lo incontrerò”. In uno di questi incontri… in uno di questi pranzi che abbiamo fatto lì per la preparazione del matrimonio, un giorno c’era anche questo dottor Giuseppe Pizza. Io l’ho conosciuto, un’ottima impressione, diciamo, un grande personaggio, di una cultura spaventosa, spaventosa. Lui possiede decine di migliaia di volumi, sapeva del Vaticano cose che possiamo sapere noi che siamo agli addetti ai lavori, ma la gente di fuori… io… inimmaginabile. Insomma, abbiamo fatto conoscenza con questo signor Pizza Giuseppe. Tanto che io l’ho fatto conoscere anche ad altri amici miei di ufficio, sia sacerdoti che laici, che lavoravano con me, l’ho messo in contatto, perché era un piacere sentirlo parlare. Durante questo periodo, adesso gli anni… posso dire, cinque—sei anni fa, forse, cinque—sette anni fa così, io ho conosciuto anche un altro signore che era sua eccellenza ambasciatore Ugolini, che era Ambasciatore di San Marino nella Repubblica Araba in Giordania.
Questo anche l’ho conosciuto tramite il cardinale Angelini, il Cardinale e l’ambasciatore Galassi, che è il Decano del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, che è l’Ambasciatore di San Marino presso la Santa Sede. E questo uomo è anche un uomo di una profondissima cultura scientifica ed ecclesiastica, proprio un gentiluomo di altri tempi, con grande garbo, una estrema signorilità. Conosciuto lui, ho conosciuto anche il suo segretario, che fungeva un po’ da segretario, così, nei confronti dell’Ambasciatore, questo dottor Angelo Boccardelli, che era uno scultore, un pittore.
Abbiamo fatto con lui una mostra alla Gregoriana di quadri di questo Boccardelli con le icone coptiche che l’ambasciatore Ugolini si era portato dall’Egitto: una cosa che ha avuto una risonanza veramente
eccezionale, perché era una cosa molto bella. Bene, questi due personaggi, Ugolini… l’ambasciatore Ugolini è… era, perché purtroppo è morto, adesso, un mese fa, poi lo dirò. L’ambasciatore Ugolini era il
proprietario di una cosa a livello di eccezione… di un Crocifisso di Michelangelo, l’unico Crocifisso in legno fatto da Michelangelo. Questo era una… E allora Padre Pfeiffer, questo grande studioso di Michelangelo e di arte della Gregoriana, questo padre gesuita, ha fatto una pubblicazione su questo Crocifisso e… insomma, è una cosa veramente eccezionale. E allora… è autentico, abbiamo fatto questa
pubblicazione scientifica al riguardo. L’idea di Ugolini, in un primo tempo, era quella di regalare il Crocifisso al Santo Padre. Prenderlo, darlo al Santo Padre e metterlo ai Musei Vaticani. In una stanza unica
mettere al centro questo Crocifisso, che è alto 35 centimetri, così, di legno, che ha la scritta: “Michelangelo” scritta dietro nei capelli, l’unica cosa firmata da Michelangelo, in una stanza tutta nera, con le luci.
Abbiamo preso contatti con il professor Buranelli, Direttore dei Musei, e insomma le cose sembravano che andavano così. Quindi è passato un anno, un anno e mezzo, roba di questo genere, sempre in questo modo. Un giorno Giuseppe Pizza mi invita al “Matriciano” a pranzo, perché lui andava quasi tutti i giorni a mangiare là, insieme anche a questi altri sacerdoti, amici della Congregazione, e insieme ad Ugolini. Quindi la prima volta che io ho conosciuto Massimo Pizza è stata in questa occasione, chiamato dal fratello per fare conoscenza con me e parlare un po’ del Crocifisso.
Abbiamo parlato di questo Crocifisso, lui si è entusiasmato del Crocifisso, Giuseppe Pizza era ancora più entusiasmato, finché l’Ambasciatore, di buon grado, ha detto: “Va bene, ve lo faccio vedere”, perché lui era molto geloso di questo, perché ce l’aveva in una cassetta di sicurezza, doveva andarlo a prendere, lo doveva portare, eccetera. E quindi andiamo a casa di questo Ambasciatore, all’EUR, proprio verso…
verso Ostia, da quelle parti lì, una sera a cena e lui ci porta questo… ci fa vedere questo Crocifisso. Io sono andato lì tre, quattro volte, ho trovato Generali dei Carabinieri, Generali della Finanza… perché Ugolini era conosciutissimo e conosceva moltissime persone, sempre per far vedere questo Crocifisso… anche Arcivescovi, Vescovi, perché era una cosa molto bella. Il desiderio poi dell’Ambasciatore, ad un certo punto… quindi già, diciamo, che dopo questo episodio sarà passato un anno, un anno e mezzo almeno, lui ebbe l’idea, il desiderio di creare un centro di studi a Roma a livello internazionale. Cioè dice… lui voleva creare un centro di studi laico, al di fuori della religione, per abbracciare tutti i popoli, diciamo, più o meno una cosa del genere. Ma l’Ambasciatore, che pure aveva disponibilità economiche, non era al livello di poter comprare una struttura e di poterla mantenere. Allora decise… dice: “Allora, io vendo il mio Crocifisso”. Naturalmente la vendita del Crocifisso era una vendita… perché non era un valore venale, che si poteva dire: “Questo vale un milione o cento milioni”, cioè questo era un pezzo unico. Lui l’aveva fatto già anche valutare, penso… non so, in Danimarca, non so dove, ma insomma era una decina di miliardi, in buona sostanza, questa cosa qua. Allora decise di vendere il Crocifisso per reperire il danaro necessario per comprare la villa dove fare il centro e per cominciare a fare questo centro. Individuò una villa a Frascati. Questa villa era la vecchia villa di Carlo Ponti, che lì a Frascati chiamano tutti quanti… tutti chiamano Carlo Ponti. Io sono andato una volta, una volta sola, a vedere questo, una cosa tanto grande che io dissi pure all’Ambasciatore, dico “Eccellenza, ma non è… ma questa non è cosa, cioè è una cosa troppo grande. Non so, soltanto per comprarla… poi per mantenerla, per agire…”. Lui aveva tante amicizie, l’Ambasciatore, nel campo ecclesiastico, per esempio, anche con don Picchi. Dice: “Ma don Picchi ha detto che mi manda i ragazzi tossicodipendenti che si devono redimere, che possono venire là a lavorare, facciamo una sorta di scambio: io offro la casa e loro offrono il lavoro”. Insomma, a livello di idea poteva essere anche una cosa molto bella, a livello poi di concretizzare questa cosa diventava un po’ difficile. Allora, individuata la villa, per comprare… Poi andammo a Città della Pieve, nella villa di Giuseppe Pizza, per avere una idea in vista della ristrutturazione della villa di Frascati. Giuseppe Pizza a Città della Pieve ha una grande villa, una villa settecentesca che lui aveva rimesso tutta quanta a posto, con il giardino, una cosa molto tecnologica…
Di Tolla — Questo Giuseppe Pizza, chiedo scusa, è il fratello di Massimo?
Camaldo — Il fratello grande di Massimo. Il fratello grande di Massimo.
Di Tolla — Quello che sta in politica.
Camaldo — Quello che sta in politica. Stava, non so se sta più. Sta ancora?
Di Tolla — Sì, sì, sì.
Camaldo — Ah, questo qua.
Di Tolla — No, giusto per capire chi è.
Camaldo — Ah, sì. Il primo fratello, penso che… non so, ma penso che sia il fratello più grande, credo. Non lo so…
Di Tolla — Ha altri tre fratelli, però non sappiamo, in ordine, chi è più grande e chi è più piccolo.
Camaldo — Ah, altri tre? Cioè…
Di Tolla — Sì.
Camaldo — Adesso io conosco altri due. Adesso dirò.
Taddei — Sono i quattro in totale.
Camaldo —membri della famiglia: il dottor Lino Pizza, che… lui ancora viene, ogni tanto mi telefona, passa a salutarmi, a livello proprio di conoscenza, al quale io non ho detto niente di tutte queste storie del fratello, cioè di questo che poi dirò, a lui non ho detto mai niente. Un altro fratello, che presumo si chiamasse o si chiami Antonio, ma non so con sicurezza, che è un medico geriatra…
Taddei Luigi.
Camaldo Luigi, forse. Ah, allora Luigi. Non lo sapevo. No, pensavo che si chiamasse… Io l’ho visto una volta soltanto questo Luigi, un geriatra…
E poi ho visto una volta la mamma, perché sono venuti da me, a San Giovanni, alla Cappella Corsini, per fare la Prima Comunione della figlia di Massimo, che doveva fare la Prima Comunione, si era preparata
all’Istituto di… non so dove andava a scuola, c’erano stati dei problemi, forse la mamma, la vecchia nonna, non poteva andare, che era stata un po’ così, stava male, eccetera eccetera, mi chiese se potevano fare la Prima Comunione là e noi abbiamo fatto questa Comunione. Quindi, io Luigi, la mamma, l’ho vista la prima ed unica volta lì a casa, durante questa… questa Prima Comunione. Devo dire… devo dire che anche… perché c’era mio padre allora, credo prima di morire, mio padre, mia mamma, mio fratello piccolo… cioè abbiamo avuto l’impressione che fossero persone dabbene, persone degne di rispetto, perché si sono comportati degnissimamente. Cioè poi… manifestavano anche esternamente cioè dei sentimenti buoni nei confronti di questa vecchia mamma, che era come se fosse scesa la Madonna in mezzo a loro, tutti quanti così… al momento della Comunione tutti si sono fatti la Comunione, hanno partecipato alla messa, hanno risposto alla messa… cioè queste cose qua. Allora, questo per… diciamo, questa parte della famiglia. Il rapporto ancora Ugolini—Pizza Massimo: ad un certo punto, quando loro si sono conosciuti, io non è che mi sono ritirato indietro, ma io ho mille cose da fare, come ho detto prima, sono sempre indaffarato, sono sempre occupato, loro due si vedevano spesso, Ugolini e Pizza, si chiamavano ogni mese, ogni mese e mezzo, ogni… “Monsignore, tutto quanto bene, tutto quanto a posto, stiamo procedendo in quella cosa”.
Ugolini qualche volta veniva… veniva di più, però io gli ho detto sempre, dico: “Eccellenza, lei non mi deve raccontare tutte queste storie, perché io non ne capisco, non voglio entrarci. Queste sono cose che vi
dovete vedere voi”. Perché lì subito sorse… ancora adesso io non ho capito bene, per cercare di districare l’imbrogliata questione dell’acquisto della villa, perché per grossi problemi esistenti… perché questa villa comprata da Ugolini, cioè che Ugolini voleva comprare questa villa, mi pare che forse c’erano delle… come si dice…
Di Tolla — Dei problemi di…
De Felice — Di ipoteca.
Camaldo — Di ipoteche, di… Eh, sì, ipoteche… forse questa, la figlia di Ponti, che adesso non mi ricordo come si chiamava, questa qua forse aveva fatto delle ipoteche e non l’avevo detto, aveva preso soldi… insomma, c’erano dei problemi.
Di Tolla — Quanto costava questa villa?
Camaldo — Ah, non lo so.
Di Tolla — Non lo sa?
Camaldo — No.
Di Tolla — Quindi c’erano questi problemi.
Camaldo — Sicuramente c’erano dei problemi. Problemi anche grossi, perché una volta Ugolini mi disse, dice: “Eh, meno male — dice — Monsignore che lei, così… che ci siamo conosciuti, che abbiamo conosciuto anche Massimo Pizza e Giuseppe, perché loro mi possono aiutare a districarmi in questa cosa, perché è un problema molto grosso”. Ma io in questo istante ancora se dovessi dire quali erano i problemi effettivi… io non li so.
Di Tolla — Ho capito. C’erano dei problemi, però lei non ne è a conoscenza.
Camaldo — Non sono a conoscenza.
Di Tolla — E i fratelli Pizza come potevano risolvere questo problema?
Camaldo — Pizza Massimo era come se.:.
Di Tolla — Si è presentato come avvocato, come generale…
Camaldo — No.
Di Tolla — Come appartenente ai Servizi Segreti… che diceva?
Camaldo — Lui era uno che aveva una grande… quello che, secondo me… non tanto che si è presentato con me, ma quando si è presentato con Ugolini, che lui era un uomo d’affari, che aveva una grande disponibilità di danaro.
Di Tolla — D’affari, con grandi risorse economiche? Non ha mai detto che faceva parte dei Servizi Segreti, era appartenente ai Carabinieri…
Camaldo — No, una volta mi disse che c’erano… che c’era… che conosceva forse, ma però adesso questo non saprei… non saprei dire bene, non saprei…
Di Tolla — Va bene, vada avanti.
Camaldo — Eh.
Di Tolla — Quindi poi che cosa è successo?
Camaldo — Allora, ad un certo momento…
Di Tolla — Sì.
Camaldo — Quindi qui stiamo parlando di un anno, un anno e mezzo di tempo di questa cosa, eh, almeno. Ad un certo momento, io ho cercato di memori… di tornare indietro con la memoria, sarà stato a maggio di due anni fa, penso. Perché io ho fatto il calcolo, l’anno scorso, con tutto quello che è successo con il Papa, io non ho visto né l’uno e né l’altro, quindi è stato sicuramente prima. A maggio di due anni fa, ci sarà stata una rottura dei rapporti fra i due.
Di Tolla — Fra il Pizza e l’Ugolini?
Camaldo — Fra Pizza e Ugolini. E Ugolini mi telefonò e venne da me, disperato, dicendo che lui aveva dato soldi a Pizza, che questi soldi dovevano servire per risolvere i problemi, penso del… dell’acquisto di questa casa, però io adesso come e quando non lo so, ma questo sicuro, non restituiti.
Lui aveva delle difficoltà enormi, aveva problemi gravissimi, il mondo disperato, proprio disperato.
Di Tolla — Quanti soldi aveva dato al Pizza?
Camaldo — 380.000 euro. Questo lo so precisissimo. E vi spiego perché. Allora, lui aveva dato in danaro a Pizza 380.000 euro. Allora io dissi all’Ambasciatore: “Caro Ambasciatore, adesso…”… perché lui era
proprio disperato, voleva fare tutte le cose di questo mondo, voleva… fare… come si dice, denunce sopra denunce, eccetera. Dico: “Guardi, io le voglio bene…”. Lui era molto afflitto, lui era molto già avanti con gli anni e un po’… insomma, in salute non stava bene, come poi purtroppo si è risolto. Io dico: “Guardi, io posso aiutarla in questo momento suo…”.
Queste sono cose che una persona può fare una volta nella vita, io lo posso fare una volta nella vita. Cioè io ho… io ho un giro dove ho tanti amici, tante persone che mi vogliono bene. Io sono stato tanti anni
segretario del cardinale Poletti, sono venti anni… ventidue anni che sono Cerimoniere… cioè ho tante amicizie, tante persone buone che mi vogliono bene. Allora, dico: “Senta, io posso fare così. Io posso, penso di potere… — e poi di fatto l’ho fatto — penso di poter chiamare un po’ di amici e se lei mi lascia un tempo utile…”. Avevo chiesto un anno, ma poi si è risolto in meno. “Se lei mi lascia un anno di tempo, io posso venirle incontro. E quel danaro che le doveva dare Massimo Pizza io glielo rimetto… glielo metto insieme io un po’ alla volta, in modo che lei possa risolvere questi suoi problemi, si tranquillizzi la vita…”, perché lui era tesissimo, molto nervoso, molto teso. “Si tranquillizzi la vita e termini ogni rapporto con Massimo Pizza”. Così è stato.
Vi BASTA? Continuiamo … se resistete!

Un piccolo crocifisso di legno, lungo appena 42 centimetri, datato intorno all’anno 1500. Perfetto. Può essere iscritto dentro un cerchio e il centro del cerchio è l’ombelico del Cristo. L’ha scolpito Michelangelo Buonarroti. Un piccolo crocifisso. Anzi due piccoli crocifissi. In apparenza identici. Ma solo in uno dei due quell’ombelico è il centro di quel cerchio. Di uno di quei crocifissi si sa quasi tutto. Apparve una decina di anni fa nelle mani di un noto antiquario torinese, Giancarlo Gallino, che sosteneva di averlo acquistato da una misteriosa famiglia fiorentina. Lo fece valutare, molti autorevoli critici attribuirono l’opera a Michelangelo. Furono talmente convincenti che quando Sandro Bondi divenne ministro dei Beni culturali mise un’opzione per l’opera. E poi l’acquistò, per 3,2 milioni di euro anche se l’unica tranche pagata subito all’antiquario torinese fu l’anticipo da un milione di euro. La scoperta di quel crocifisso entusiasmò tutti. Gianfranco Fini volle esporlo subito alla Camera dei deputati nella sala della Regina. Lo videro migliaia di visitatori. Anche famosi critici, che osservatolo bene iniziarono ad avanzare dubbi sempre più consistenti: Michelangelo non c’entrava, quel crocifisso forse era un falso. Al massimo- disse uno- poteva valere 300 mila euro. Lo Stato si era preso un gran bidone. Sono bastate le voci, ed ecco scendere in campo le procure: quella di Roma, quella di Torino. E anche la Corte dei Conti, inchiesta per danno erariale nei confronti di Bondi. Quel che tutti però non sapevano è che il crocifisso di Michelangelo esistesse davvero. Scolpito quando lui aveva poco più di venti anni, ma la mano del maestro era già quella nota. E che in ogni caso, veri o falsi i crocifissi spuntati fuori quasi in contemporanea fossero due.
L’altro crocifisso di Michelangelo, forse quello buono, emerge misteriosamente da uno dei faldoni più sperduti dell’inchiesta sulla cricca degli appalti pubblici appena depositato a Perugia. Emerge perché legato a quel crocifisso c’è un bonifico da 180 mila euro partito da un conto corrente dello Ior e disposto da Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e personaggio centrale dell’inchiesta sulla cricca. Il bonifico interessa oggi a Perugia, ma tutta la storia del secondo crocifisso si è dipanata lungo quattro anni almeno e ha attraversato senza che si rendessero conto della storia alla Dan Brown che ne emergeva di fronte a più di una procura, e soprattutto alla procura che più o meno è incappata davanti a ogni mistero di Italia in questi anni: quella di potenza, all’epoca del pm John Woodcock.
Tutto nacque nel lontano febbraio 2006, quando in seguito ad anomali spostamenti di denaro sui conti correnti vaticani, la gendarmeria della Santa Sede e il posto di polizia vaticano convocano per avere chiarimenti un monsignore di non seconda importanza in Curia: Francesco Camaldo, decano dei cerimonieri della Santa Sede. E’ dalla sua bocca che i poliziotti apprendono una storia che ha dell’incredibile. Camaldo racconta che qualche anno prima stava facendo un corso di preparazione al matrimonio alla figlia del proprietario di un notissimo ristorante romano, il Matriciano e naturalmente al suo futuro sposo, un avvocato. Tra una lezione e l’altra capitava che papà ristoratore invitasse il monsignore a fermarsi a cena nel locale. E a quel tavolo Camaldo fece conoscenze interessanti. Prima di tutte quella di Giuseppe Pizza, attuale sottosegretario all’Università, a che a monsignore apparve uomo di grandissima cultura. Poi quella di Giacomo Maria Ugolini, ambasciatore della Repubblica di San Marino presso la Repubblica araba di Egitto e il regno hascemita di Giordania. Mangia che ti mangia, le conoscenze si rafforzano, diventano quasi amicizie. Un giorno l’ambasciatore Ugolini preso da un trasporto di generosità annuncia a monsignor Camaldo: “ho un bene prezioso con me, un Cristo crocifisso scolpito da Michelangelo. Lo ebbi anni fa dal sua Beatitudine Maximus Quinto, patriarca greco-melkita-cattolico di Gerusalemme. Vorrei donarlo al Papa”. Monsignor Camaldo si emozionò, ancora di più quando seppe che la paternità michelangiolesca era stata controfirmata da uno dei massimi esperti vaticani del Buonarrotti: il gesuita Heinrich Pfeiffer, professore della Gregoriana. La preziosa opera d’arte fu anche mostrata a monsignor Camaldo e a Giuseppe Pizza, tirato fuori da un caveau all’Eur in cui era custodito. Ma il dono non arrivò. Perché l’ambasciatore Ugolini ci ripensò. Tornò da Camaldo e disse: “vorrei tanto costruire una fondazione per l’incontro fra le religioni. Ho visto anche una villa vicino a Marino che mi sembra il posto adatto. Costa cara. E io non ho beni, se non quel crocifisso. Mi serve per reperire i fondi necessari”. La villa era appartenuta a Sofia Loren e Carlo Ponti, e fu lasciata alla figlia di quest’ultimo, Guendalina, un tempo socia e compagna di Valerio Veltroni, fratello di Walter, sindaco di Roma. Iniziarono le trattative, ma c’era un problema: Guendalina ebbe problemi finanziari e coprì di ipoteche quella villa. Bisognava toglierle. Se ne parlò fra amici come sempre a pranzo al Matriciano. Saltò su Giuseppe Pizza e disse: io ho la soluzione. Un fratello, Massimo, bravissimo a sbrogliare matasse di questo genere. E Massimo Pizza, misterioso personaggio che una volta si spaccia per agente del Sismi, un’altra per diplomatico somalo, altra ancora per generale dei carabinieri, scese in campo e sbrogliò la matassa da par suo. Tanto è che- lo raccontò monsignor Camaldo in numerosi interrogatori cui fu sottoposto in giro per l’Italia, ora raccolti nel faldone perugino- un giorno l’ambasciatore Ugolini andò in lacrime dall’amico alto prelato: “sono rovinato. Quel Pizza mi ha chiesto 380 mila euro in contanti per s brogliare la vicenda. Ed è sparito con i soldi. Vorrei morire”. Camaldo si commuove e dopo qualche settimana arriva con una busta da UgoliniCamaldo dona una somma così importante a un ambasciatore da poco conosciuto? Camaldo resiste ai primi interrogatori: “carità di amici che non sanno cosa ho fatto delle loro somme”. Poi rivela: “me li ha donati un amico solo, Angelo Balducci”. Vero. Ma Balducci, interrogato dimostra anche con le carte in mano che il prestito a monsignor Camaldo era di 230 mila euro, di cui 180 mila di bonifico Ior su Ior. E gli altri 150 mila? Camaldo crolla al terzo interrogatorio: “li ho presi senza che lui lo sapesse a mio padre. I risparmi di una vita dopo 40 anni di insegnamento”. Tutti i risparmi di famiglia regalati all’ambasciatore insieme a un debito grosso come una casa con Balducci? Perché? Il cerimoniere del Papa non sa dare una risposta. Solo il suo buon cuore cristiano. Anche Balducci non sa dare una risposta. L’ambasciatore Ugolini ancora meno: muore prima dell’interrogatorio.
Tutti i suoi beni, tutti i suoi debiti e perfino la fondazione che nel frattempo era stata creata a villa Ponti, e con essa il Cristo di Michelangelo, finiscono nelle mani del segretario di Ugolini, un poeta di scarse fortune : Angelo Boccardelli. Grazie a monsignor Camaldo viene combinato un incontro con monsignor Rino Fisichella, portando la preziosa opera d’arte. L’idea è quella di presentarla ufficialmente ai musei Vaticani in un convegno pubblico di grande clamore. Ma al convegno non arriva nessuno: Boccardelli non ha i soldi per gestire fondazione ed eredità Ugolini. Vende tutto, meno il Cristo di Michelangelo, a tale Cosimo Di Virgiglio. Sulle prime gli fa vedere il Cristo, spiegandogli della presentazione in Vaticano. Ma poi non si fida. E non sbaglia. Di Virgiglio viene arrestato con l’accusa di associazione mafiosa e si scopre che è legato alla n’drangheta. Ma sorpresa: si pente. E viene arrestato anche Boccardelli. Ma il crocifisso scompare. Dove è ? Il pentito della n’drangheta sostiene che Boccardelli lo aveva chiuso in un caveau di San Marino. Ma non salta fuori. Tutti i prelati coinvolti non ne sanno nulla. Il fratello di Pizza entra ed esce dalle inchieste. Viene perfino intercettato mentre con un’amica pensano di dare in pasto parte di questa storia a un conte grande amico del pm di Palermo Antonio Ingroia, perché di Camaldo e della cricca sarebbero amici autorevoli militari che “Ingroia non vede l’ora di incularsi”. Ma del crocifisso nessuno sa nulla. Finchè l’anno scorso non viene fatto sapere alla Dda di Reggio Calabria che il vero Crocifisso di Michelangelo (lo proverebbero gli expertise vaticani fatti in vista della presentazione ufficiale poi sfumata) è nelle mani del presidente del Rotary club di New York: Giorgio Hugo Balestrieri, ex P2, ex ufficiale della marina militare italiana, ex amico di Ugolini che si scopre essere uno dei più autorevoli gran maestri della massoneria sanmarinese. Ha le foto, le fa arrivare: il Cristo ce l’ha lui. In un caveau di una grande banca americana. Fino a dicembre scorso. Quando viene presentata una denuncia: il Cristo non c’è più. E’ di nuovo sparito. E con esso tutti i soldi di questa vicenda. Che fin qui ha spogliato il capo dei cerimonieri vaticani, suo papà, Angelo Balducci, il ministero dei beni culturali, la n’drangheta, i fratelli Pizza, le banche sanmarinesi. E non si capisce bene chi ha arricchito. Ma il vero Cristo di Michelangelo ha preso il volo. E chissà verso quali lidi. Un mistero assai più inquietante della intera storia della cricca.
L’ha ribloggato su Leo Rugense ha commentato:
ADORO AVER AVUTO RAGIONE!
ORESTE GRANI
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