SIAMO INDEBITATI FINO AL COLLO: OVVERO COME, MILIARDO DOPO MILIARDO, L’ITALIA HA PERSO LA SOVRANITÀ Nazionale per colpa di troppi “bidet a conca e a tre fori”
Centesimo dopo centesimo, si fanno i milioni, dice la saggezza amministrativa. Di cosa è fatta l’attuale “insormontabile” montagna del deficit dello Stato se non di “centesimo dopo centesimo”? E, aggiungo io, di “bidet a conca a tre fori” (apprezzate il francesismo?) pagati con le Casse dello Stato, ascrivendo questa spesa a “necessità indifferibili di sicurezza nazionale”. E se le necessità (accessori per pulirsi il culo ed altro) di cui sopra, assommano a miliardi, quando (fine anni ottanta) il denaro costava agli italiani il18%, capite chi ha fatto i debiti, chi si è rinfrescato gli orifizi (usufruendo di tre schizzi!?) e chi, ora, “cicala dissipatrice”, deve pagare il conto. Veniamo all’episodio dello spreco, tenendo a mente che si tratta di uno dei mille, diecimila, centomila casi. Vi riporto (per i più giovani soprattutto) al quindicennio 1981/1996 momento in cui (mani pulite ed altro), si dice che cambia il volto della Repubblica italiana. Al vertice dei servizi segreti civili si sono alternati, in quel breve periodo (“15 anni” sono da considerare “un breve periodo” per un settore strategico come la sicurezza dello Stato), ben sette capi. Per tre anni, dal 1981 al 1984, al comando c’è l’ex Alto commissario per la lotta alla mafia, Emanuele De Francesco; un mandato di altri tre anni toccherà all’ex capo della Polizia di Stato Vincenzo Parisi (1984-1987) che precede la sciagurata gestione del quadriennio di Riccardo Malpica, travolto dagli scandali ortofrutticoli dei Broccoletti, Finocchi ed altri, “zarina” Matilde Paola Martucci, compresa. Dal 1991 al 1996 saranno quattro i direttori generali (Alessandro Voci, Angelo Finocchiaro, Domenico Salazar e Gaetano Marino). Capite bene che, al discredito degli scandali e dei comportamenti delle mezze cartucce che si aggiravano arroganti nelle sedi preposte ad analizzare scenari e minacce per la comunità, si poteva, con questo folle giro di valzer, aggiungere solo instabilità e continui polveroni, disarmando definitivamente la Repubblica.
Viceversa,in quello stesso periodo, furono armati e messi in sicurezza, ad esempio, i cessi di casa di Ciriaco De Mita, sia a Roma che a Nusco. Per compiacere l’ex segretario della Dc e già primo ministro, vennero spesi con i fondi riservati del Sisde, oltre un miliardo e mezzo di lire. “Centesimo dopo centesimo” dicevamo: travertino, foglie di marmo battentato, marmi “bianco tassos”, “grigio chiaro”, “grigio scuro”, due grandi caminetti a parete completi di accessori con pesanti parafiamma (forse qui avevano ragione gli edili dell’arch. Adolfo Salabè, perché se i giovani e ingenui terroristi dell’epoca avessero immaginato cose del genere forse non “alzavano il tiro”, come erano soliti dire ma prendevano meglio la mira), cotto mediterraneo (oltre 25 milioni dell’epoca), e ottagoni (ma cosa sono gli ottagoni?) color bianco cielo, 44 milioni di mosaico artistico di San Miniato, una vasca lavatoio, sedili per water e cassetta wc. Dulcis in fundo, i mitici “bidet a conca a tre fori”. Ho sempre pensato, scatenando la fantasia professionale, che si trattasse di un marchingegno ideato dal indimenticabile Q di 007, generosamente fatto pervenire dai colleghi dell’MI6, per preservare/spiare gli orifizi della famiglia De Mita. Poi mi sono ricordato che nel Regno Unito si usano poco i bidet e allora la questione è tornata da dove era venuta: sprechi, vanità di politici arroganti e dissipatori del denaro pubblico, “tangenti” dai fornitori, sistematica “edificazione”, mattone dopo mattone, del “debito pubblico”.
Il resto sono solo …canzonette.
Ricordatevi questa allusione perché, appena posso, vi strappo un altro amaro sorriso, su quella volta che “si spesero i soldi dei fondi riservati del Servizio per proteggere il risultato del Festival di Sanremo da interferenze destabilizzanti la convivenza civile”. Storia vera anzi, autentica, come questa del bidet.
Oreste Grani
Post scriptum. Dimenticavo di dire che la ditta appaltatrice dei lavori fatti per conto del Sisde, a Nusco, provincia di Avellino, è risultata, a suo tempo, usare degli automezzi targati GE… Dopo approfondite indagini, una fonte fiduciaria (pagata 18 milioni di lire, con giustificativo a firma singola del Gen. A.C.) fece risalire la proprietà di tali mezzi a Grillo Giuseppe, nato a Genova e svolgente attività di copertura “quale attore comico girovago”. Secondo voi, questa informativa risultò, ad una attenta verifica amministrativa, vera, falsa o, autentica? O sono io che vi sto rifilando delle bubbole?
Meditate gente, meditate.
La “disinformazione” può essere realmente “in agguato” come, con opportuna preoccupazione e prudenza, denuncia il cittadino deputato del M5S, Riccardo Fraccaro. Se avesse ragione su tali sospetti, sarebbe cosa gravissima se il vizietto, già di Pio Pompa e compagni (Farina ed altri) pescati a confezionare dossier e pressioni psicologiche, avesse contagiato qualcuno pagato con gli ultimi soldi rimasti nelle casse dello Stato. Ma, come a volte è stato possibile, una risata terrà a bada gli impuniti mestatori che ora volessero convincere gli Italiani che è tutta colpa dei “grillini”. E di quel guru mestatore di Casaleggio.
Post scriptum al post scriptum. La messa a punto di questi ragionamenti sul vero, sul falso e sull’autentico (fate uno sforzo e cogliete dove scherzo e dove dico sul serio) li devo al maestro insuperabile che è Umberto Eco. Senza dimenticare però i fondatori e animatori del settimanale Il Male. Colgo l’occasione per ricordare, alla rete, la figura eclettica dell’ingegnere informatico Piero Lo Sardo, figlio scavezzacollo, di una famiglia di ammiragli, generali dell’Arma, dirigenti dello Stato. Quel Sud di qualità (i Lo Sardo sono meridionali) di cui il Paese sente il bisogno, tutte persone dalla storia irreprensibile (ad esempio, l’attuale Presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri in congedo, gen. Libero Lo Sardo). Piero Lo Sardo (detto ZUT), apparentemente, era diverso dalla sua famiglia ma nessuno come lui oggi, potrebbe “mettere mano”, letterariamente, alla fine della Quinta Repubblica italiana denunciando, con ironia e fermezza “patriottica”, una classe dirigente di incapaci e malfattori.