La fine di Priebke non è la fine del problema

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Il 15 maggio 2013 alle 12:06 scrivevo a risposta di un commento del post Le farneticazioni di Riccardo Pacifici su Giuseppe Grillo…:

Caro Carlo,
“laddove cresce il pericolo, cresce anche la salvezza” ci ricorda il filosofo e sociologo Edgar Morin citando il poeta Friedrich Hölderlin.
Pericolo, a mio giudizio, in cui ci hanno precipitato donne e uomini delle oligarchie partitocratiche da troppi anni (prima cioè della nascita del Movimento 5 Stelle) intenti solo a confezionare misfatti e vergogne contro la Repubblica democratica, figlia della lotta vittoriosa contro la dittatura nazifascista. Salvezza che, certamente, non può venire da Gianni Alemanno e i suoi alleati Silvio Berlusconi, Bobo Maroni, Francesco Storace, Ignazio La Russa, come invece, per troppo tempo, Riccardo Pacifici ha ritenuto.
Odio gli sterotipi e i luoghi comuni, i quali mi sanno di anticamera della ricerca del capro espiatrio, e mi scuso per le semplificaizoni che seguono.
La dirigenza dei partiti e dei sindacati, nella forma e sostanza che oggi si è data (non quindi come dovrebbe essere) è complice di chi, adorando le leggi economiche fatali, rende la società sempre meno giusta, sempre più controllata dai nemici della meritorcrazia, sempre più schiava di pochissime mani.
Partiti e sindacati, così come oggi si presentano agli onesti osservatori, sono luoghi organizzati dove il denaro impera e la leadership anziana, scaltara, spesso corrotta, mai frutto di selezione ma sempre di cooptazione, con nessun interesse a cambiare le cose, tutta proiettata a proteggere la propria persona, crea contesti e sistemi di valore che scoraggiano il merito premiando i fedeli ossequiosi e non i migliori.
Tutto questo a prescindere da Giuseppe Grillo e il Movimento 5 Stelle. Movimento che a me sembra composto, nella sua maggioranza, da donne e uomini che, non potendone più di tanta arroganza, si sono organizzati per reagire a questa dittatura.
Quelli che sognano, non vogliono tornare a vecchie ortodossie collettive ma provare a trovare soluzioni tagliate su misura all’esperienza dei singoli. È sempre Morin che parla, prevedendo la nascita di piccole nuove utopie come il microcredito, il telelavoro, l’esodo da metropoli disumane, la cura delle persone anziane. In una frase “il ritorno all’etica”. La cultura materialistica, suggerisce Morin, avrà un declino inesorabile.

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«Abbiamo finalmente l’occasione di ripensare la nostra civiltà prima che sia troppo tardi» ha detto il sociologo in una lunga intervista al Journal du Dimanche. «Per troppo tempo abbiamo creduto che lo sviluppo tecnologico ed economico sarebbe stato la locomotiva della democrazia e del benessere. Oggi bisogna cambiare l’egemonia della quantità in favore della qualità e di beni immateriali come l’amore e la felicità»… «Ci hanno insegnato a pensare per compartimenti fissi, a seconda delle specializzazioni e così manca un metodo per collegare le diverse conoscenze. Non si possono, per esempio, separare le riforme economiche da quelle sociali». «Il nostro futuro si è fermato negli anni Sessanta e Settanta, con la fine delle ideologie». Ma non è il momento di tornare a vecchie ortodossie collettive: bisogna anzi avere una «pensiero complesso» capace di trovare soluzioni tagliate su misura all’esperienza dei singoli. Morin prevede la nascita di piccole, nuove utopie. Come il micro-credito, il telelavoro, l’esodo da metropoli «disumane» verso la campagna, l’incremento dell’agricoltura biologica, la cura delle persone anziane. In una frase: «Il ritorno dell’etica». La cultura materialista, sentenzia il sociologo, avrà un declino inesorabile. Ci vorranno ancora anni, forse decenni. Ma prima o poi sarà sostituita dalla cultura dell’immateriale. «È anche l’unico modo che ci rimane per consentire a tutti di vivere sulla stessa Terra» aggiunge. «Stiamo combattendo la battaglia più difficile: quella per la sopravvivenza dell’umanità». L’anziano pensatore non si cura degli indicatori economici, e fa professione di un ostinato ottimismo. «Impossibile prevedere il nuovo guardando al passato. Un osservatore che fosse capitato sulla Terra quindicimila anni fa non avrebbe potuto immaginare la nostra civiltà industriale. È già successo che ciò che era ritenuto improbabile sia diventato realtà. Succederà ancora» da “La crisi occasione straordinaria ci libererà dal pensiero unico” di Anais Ginori, La Repubblica 29.12.08.

Ritengo che i vent’anni già concessi agli Alemanno, Berlusconi, La Russa, Maroni, Storace, siano stati troppi.
Preferisco rischiare con le donne e gli uomini, per ora onesti, del M5S.
A voi Gianni Alemanno
Oreste Grani

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Questo è quanto. Questo è, a mio giudizio, un modo opportuno di non dimenticare, elaborando sempre indicazioni e suggerimenti per i tempi che verranno. Sempre per non dimenticare, ricordo, oggi 16 ottobre, quanto, drammaticamente, solo pochi mesi addietro, Riccardo Pacifici incitava a fare, per sottrarsi ai pericoli che la comunità ebraica avrebbe corso dopo la vittoria del MoVimento 5 Stelle: “Scappate, scappate, prima che sia troppo tardi“. In quella occasione e a commento di quelle che, nella nostra semplicità, chiamammo “farneticazioni di Riccardo Pacifici”, riportammo un giudizio, lapidario e senza appello, di Roberto Della Seta sulle scelte politiche di Pacifici, per anni nettamente schierato a favore di Gianni Alemanno e del suo ambiente politico di riferimento, Alleanza nazionale prima e, Pdl dopo: “Caro Pacifici io sono ebreo e in Italia sto benone. E Grillo è certo meno fascista del tuo amico Alemanno“. Per riassumere: non si è legittimati a lanciare appelli allarmistici se si è ritenuto, per troppo tempo e con “ricordi alterni”, che Alemanno, alla guida di Roma Capitale, fosse la garanzia di una vita serena e prospera per la Comunità Ebraica. Il grezzo e limitato culturalmente Gianni Alemanno non sarebbe mai potuto essere un emulo dell’onesto e lungimirante, Ernesto Nathan. Onestà e lungimiranza che non sono certo state le peculiarità dell’agire amministrativo di Alemanno, Mancini e company come, grazie ai racconti dettagliati di Edoardo D’Incà Levis, sta emergendo. Senza correttezza amministrativa, non ci sono le condizioni di un clima culturale di dialogo e di tolleranza, unica condizione, come insegna la Storia, perché si possa parlare di sicurezza e rispetto della comunità ebraica. Senza cultura, siamo tutti perduti. Non solo gli ebrei. Chi è amico dei nemici della cultura, non è amico di “Ipazia”, delle biblioteche, del patrimonio inalienabile che nei secoli meglio, nei millenni, gli ebrei, tra mille sofferenze e “invidiose” persecuzioni, hanno donato all’Umanità. Ad una famiglia di ebrei, i Rosselli-Nathan, gli Italiani devono la protezione affettuosa, fino all’ultimo giorno della sua vita terrena,di Giuseppe Mazzini.
Non tutte le vite pesano uguali. Non tutte le morti ci addolorano nella stessa maniera. Lunga vita al ricordo dell’esempio dei Rosselli-Nathan a tutela dell’esule, in Patria, Giuseppe Mazzini. Eterna memoria dell’agire criminale dei Kappler, degli Hass, dei Pribke.

Oreste Grani

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