1964: arrestato Felice Ippolito, una cappa di piombo scese sulla ricerca scientifica italiana. Gli scienziati si “presero una paura” che ancora non passa
Il 5 ottobre 2013, sotto le forme narrative di quello che abbiamo chiamato, “LO STRANO CASO DEL FISICO PRECARIO GIUSEPPE “BEPPO” OCCHIALINI“, alludemmo ad ambienti che, pur essendo, ormai, il “niente” come direbbe la cittadina senatrice eletta al Parlamento nelle file del M5S Paola Taverna (LETTERA APERTA ALLA CITTADINA PAOLA TAVERNA, ELETTA AL SENATO DELLA REPUBBLICA), vogliono mantenere il controllo assoluto della residua vita della “sbrindellata” Italia.
Oggi proseguiamo il racconto di accadimenti dolorosi, ancora oscuri nelle loro dinamiche profonde, ma necessari a comprendere i motivi della attuale “sudditanza” geo politica italiana. Non sovranità, in particolare, evidente in quella che ci ostiniamo a chiamare, “assenza di una strategia di sicurezza nazionale”.
Dopo aver ricordato, ai nostri dodici affezionati e intelligenti lettori, la figura del grande fisico Occhialini, oggi “La Macchina del tempo”, di nostra invenzione ed esclusivo possesso, ci porta all’epoca dell’arresto dell’ing. Felice Ippolito. Era il Marzo del 1964, e i professionisti della disinformazione a base di “…è tutta una bufala, è un truffatore, non è neanche professore”, non potendo, questa volta, liquidare la questione nello stesso modo, dissero che Felice Ippolito era un “peculatore per distrazione” cioè, un “ladro di Stato”. Felice Ippolito era il segretario generale del CNEN, il Comitato per l’energia nucleare. Dal 1953 aveva guidato, in Italia, le ricerche sull’uranio e fatto costruire, con i soldi della Banca Mondiale, la prima centrale atomica al Garigliano.
Non entriamo nel merito del dibattito in essere (nucleare si, nucleare no!), che non ci compete. Evochiamo, banalmente, un caso di “intelligence culturale”, d’epoca e d’autore, che “qualcuno” portò a termine e che, ancora, lascia l’Italia, “canna al vento”.
Di cosa era accusato Ippolito? La lista era lunghissima come, con dolorosa e ironica prosa, ricorda Riccardo Chiaberge, già giornalista del Corriere della sera: sessantasei reati, quaranta capi di imputazione. Peculato i soldi spesi per il centro di Ispra in seguito all’accordo con l’Euratom, firmato dal Governo italiano; peculato l’aver fatto viaggiare il suo autista in carrozza letto; peculato i fondi depositati presso la Banca nazionale del Lavoro; peculato perfino aver disposto, senza le dovute procedure, gli stipendi e gli anticipi sulle liquidazioni ai dipendenti del Cnen. Le accuse cadranno una ad una, nel corso del processo, tranne due (gravissime!): l’aver usato la “campagnola” dell’ente che presiedeva, per 15 giorni, in montagna, un’estate e, udite…udite, aver distribuito “cartelle di finta pelle ai giornalisti alla conferenza stampa di inaugurazione di Ispra”.
Ippolito si fa quasi due anni di galera, sei mesi a Regina Coeli, poi un lungo soggiorno in clinica (non per alleviare l’ingiusta detenzione) ma perché una disgraziata operazione ad un’orecchio fatta durante la drammatica vicenda, gli procurerà la sordità. Poi, da sordo, lo rischiaffano in galera, per altri otto mesi, al “modernissimo” carcere di Rebibbia.
Persona squisita, di grande preparazione scientifica e, come cominciate a capire, innamorato della scienza e delle sue potenzialità, negli anni successivi a quella “oscurantistica” persecuzione, ci rideva su, raccontando: “In carcere mi sono molto divertito. È stata un’esperienza umana straordinaria. Là dentro sì che esercitavo quel predominio assoluto che “loro” mi accusavano di detenere al Cnen. Il direttore del carcere veniva a consigliarsi con me su ogni cosa”. Il “Caso Ippolito” fu un processo all’Italia moderna. O, come diceva, in quello stesso periodo, Indro Montanelli: “In Italia era impossibile rendere compatibile la capacità decisionale di un uomo intelligente come Ippolito con uno Stato che …non è arrivato agli stenografi e fa redigere i verbali da scriba col pennino innestato sull’asta e tuffato nel calamaio”.
L’arresto, eseguito da una pattuglia di carabinieri comandata da un giovane tenente, Antonio Varisco, che sarebbe stato ucciso nel ’79 dalle Brigate Rosse, con movente ancora tutto da chiarire, era stato ordinato dal Procuratore capo di Roma, Luigi Giannantonio (una specie di Di Pietro dell’epoca), che si era messo in testa di moralizzare la vita pubblica. Ma la vera anima nera dell’accusa fu il PM Romolo Pietroni, che, udite …udite, più tardi venne opportunamente espulso dalla Magistratura per… collusione con la Mafia.
Ma no! Ma va là, cosa insinua, questo millantatore, mestatore nel torbido, di Leo Rugens?
Alla fine di una requisitoria roboante, il signore para-mafioso, chiede ventun anni di galera. Il tribunale si accontenta di undici, che poi verranno ridotti a cinque, in appello. Ma intanto del potente, colto, scientificamente preparato segretario del Cnen, non rimaneva che la pallida ombra, un uomo sconfitto e umiliato che non sarà mai più in grado di nuocere. A chi? Certamente agli industriali elettrici, ai petrolieri delle “sette sorelle”, agli avversari, sin da allora, di una necessaria Strategia di sicurezza nazionale. Nel termine “nazionale” c’è il segreto della vicenda e del movente dell’uomo colluso con la Mafia. Organizzazione che, a quella data (1964), non si può immaginare già così sofisticata nell’agire politico, da decidere, in autonomia, di attaccare, tramite Romolo Pietroni e il “candido”, inconsapevole, irreprensibile Luigi Giannantonio, gli interessi nazionali energetici, legati ad una scelta complessa come era quella nucleare. La regia fu di altri e, passo dopo passo, a cerchi concentrici, cercheremo di scoprire chi fosse la mente di tanta strategia raffinata. Certamente il “raffinato” non fu Giuseppe Saragat, leader di quella “socialdemocrazia” ,”cortina fumogena” di tanti episodi destabilizzanti la nostra fragile Italia, che fece solo l’alticcio suggeritore, a chi di dovere.
L’ ex-ministro di Giustizia, Giacinto Bosco, accettò la parte di “utile idiota” e sussurrò a Giandomenico una operazione “Mani pulite”, ante litteram. Felice Ippolito, da vivo, ebbe una “inutile” soddisfazione: finirono tutti nel fango e arrestati, coinvolti nello “scandalo dei petroli” del fine anni settanta, i suoi nemici più attivi quali, il presidente dell’Unione Petrolifera, Vincenzo Cazzaniga e, soprattutto, quel Vittorio De Biase, amministratore della Edison, che, brindando all’arresto di Ippolito, pare avesse dichiarato: “Finalmente abbiamo messo in galera quell’Ippolito. Ci è costato cinquanta milioni (1964!), ma ne valeva la pena”; alludendo alla campagna stampa orchestrata dai giornali sensibili alle pressioni confindustriali.
Ma intanto, i cretini organizzati, burattini in mano a chi non voleva che l’Italia post-fascista divenisse una nazione sovrana, erano riusciti nel loro intento che era quello di affondare, in un groviglio bituminoso (come direbbero a Siena), la ricerca scientifica italiana .Tutto qui. Dopo il processo Ippolito, una cappa di piombo scese sui laboratori italiani. Gli scienziati italiani si “presero paura”. Il presidente dell’epoca del CNR, Vincenzo Caglioti, non firmò più una carta, “manco morto”. I meccanismi burocratici si incepparono del tutto. E il legittimo desiderio di una via italiana alla ricerca avanzata, si spense. Per sempre.
Questa fu una tipica azione di quella che chiamiamo “intelligence culturale”, devastante quasi come le bombe di piazza Fontana, sui treni nelle gallerie, alla stazione di Bologna, o i missili francesi nel cielo di Ustica.
Meditate gente, meditate.
Leo Rugens
p.s.: Nel 1964, Giuseppe Grillo, giovanissimo redattore del Secolo XIX di Genova, con un atteggiamento servile, anti italiano, al soldo della reazione in agguato, partecipava a questa campagna contro l’innocente Felice Ippolito. Ve lo giuro, ve lo giuro, ve lo giuro. E mi potete credere.
O no?
Oreste Grani
Felice Ippolito era anche in un gruppo di ricerca genetica (che fece una brutta fine) insieme ad Aldo Cimmino, che Enrico Garaci rivendica come suo maestro. Entrambi, Cimmino ed Ippolito, sono citati nella nota 20 a pag 10 in questo testo che ricostruisce la vicenda di questo avanzato centro di ricerca “abortito”.
https://diazilla.com/doc/716186/la-prima-sostanziale-novit-del-riordino-cnr-nel
È un fatto che Ippolito farà una triste fine, mentre Cimmino una bella carriera che lo porterà alla presidenza del Consiglio Superiore di Sanità (1976-81), proprio come Garaci (presidente Istituto Superiore di Sanità per una scandalosa quindicina di anni e poi, dopo una voragine nel bilancio, al Consiglio Superiore di Sanità), che otterrà il “contentino” della presidenza del CNR dopo essersi candidato a sindaco di Roma (era il candidato di Belzebù) alla fine degli anni 80.
Eh sì! Meditate, gente, meditate…
"Mi piace""Mi piace"