Rivolta armata contro chi non difende l’italianità della Ferrero/Nutella
Gira voce che la Ferrero (Nutella) sia sotto attacco, come sosteniamo dal 21 novembre 2012.
Dio stramaledica i traditori dei residui di italianità. Golosi di tutta Italia, all’OPA , all’OPA. Qualora fallisse il sostegno finanziario (altro che quella sola dell’Alitalia), rimane la strada di una rivolta armata, resa legittima dallo stato di bisogno e di… una cosa troppo buona.
GIÙ LE MANI DALLA NUTELLA
Ho avuto modo di citare l’ambasciatore Fulci nel post del 12.10.12 (L’attendibilità di una fonte è tutto…) in merito a una intricata vicenda di malaffare presso i servizi segreti italiani. Oggi invece, cari lettori, ve lo ripresento per una preoccupazione che, da italiano goloso, incomincio ad avere.
Dopo avere letto che nel 2011 l’ambasciatore è diventato presidente della Ferrero, mi sono chiesto cosa lo avesse spinto ad Alba, fino a che, non mi è caduto l’occhio su una notizia alquanto particolare: “È Nutella Tax. E il mondo protesta” (vedi).
Leggendo l’articolo, come me avrete sobbalzato di fronte a un dato sconcertante: “i francesi rappresentano lo 0,86% della popolazione mondiale, ma il 26% dei consumatori di Nutella” e, ancora più sconcertante, che la Francia abbia aumentato del 300% la tassa sull’olio di palma (vedi il post sul sito di Le Monde).
Vuoi vedere, mi sono detto, che se la Francia tassa l’olio di palma in ragione di una sua presunta nocività innescando una campagna contro la Nutella (un prodotto Ferrero, per chi non lo sapesse) sotto sotto potrebbe celare ben altri appetiti? In fondo, dopo essersi bevuti la Parmalat e altro (leggete l’articolo in fondo al post), perché i francesi non dovrebbero puntare a un vero e proprio colosso mondiale: “i Ferrero che con la loro Nutella, oltre a essere sulla carta i più ricchi d’Italia, sono finiti sulla rivista Forbes alla posizione numero 32 tra i paperoni del mondo con una ricchezza stimata intorno ai 18 miliardi di dollari”.
A prescindere dalla correttezza di questa analisi, rimane il fatto incontrovertibile che un uomo di intelligence, l’ambasciatore Fulci, sia diventato presidente della Ferrero dopo la grave perdita subita dall’azienda con la morte di Pietro Ferrero, l’erede designato dell’impero (vedi articolo). Anzi, come recita un comunicato ufficiale dell’azienda: “Il Consiglio di Amministrazione della ‘Ferrero S.p.A.’ ha nominato oggi quale suo Presidente l’Ambasciatore Francesco Paolo Fulci, dando così copertura all’incarico rimasto vacante a seguito della improvvisa e drammatica scomparsa del compianto dr. Pietro Ferrero. L’Amb. Fulci è attualmente Vice Presidente della Holding del Gruppo nonché Presidente onorario delle Imprese Sociali Ferrero in India ed Africa”.
Mi consento una divagazione osservando che Giovanni Ferrero, fratello di Pietro, preferisca la letteratura all’azienda, il che mi fa pensare che papà Ferrero e gli azionisti non possano non avere tenuto in considerazione questa inclinazione quando hanno offerto all’ambasciatore la presidenza.
In conclusione, trovo azzeccata la scelta di proteggere un bene qual è la Ferrero affidandosi all’esperienza maturata in anni e anni di esperienza internazionale e nel mondo dei melmosi servizi segreti italiani, giacché di squali golosi di Nutella è pieno il mondo.
Oreste Grani
La Repubblica 21.3.11
L’offensiva dei colossi stranieri sulle grandi firme del tricolore WALTER GALBIATI
La Barilla che va in Francia e compra Harry’s o in Svezia la Wasa. La Luxottica di Leonardo Del Vecchio che da Agordo si espande nel mondo fino a comprare gli americani RayBan, gli occhiali dei divi. Oppure i Ferrero che con la loro Nutella, oltre a essere sulla carta i più ricchi d’Italia, sono finiti sulla rivista Forbes alla posizione numero 32 tra i paperoni del mondo con una ricchezza stimata intorno ai 18 miliardi di dollari. Gli eroi nazionali dell’industria non mancano, ma per ogni nostra azienda che si impone all’estero almeno due o tre marchi nazionali finiscono nelle mani delle holding straniere. Vuoi per la scarsa politica industriale dei nostri governi, vuoi per il campanilismo per il quale l’imprenditore, senza eredi capaci di portare avanti il nome dell’azienda, piuttosto che vendere al rivale di sempre preferisce che la società cambi bandiera o che finisca in mano ai fondi di investimento, una sorta di traghetto che nel giro di pochi anni in genere consegna quegli stessi marchi alla prima multinazionale intenzionata a comprarli. L’ultima pepita d’oro finita al di là delle Alpi è Bulgari. La famiglia (i fratelli Paolo e Nicola Bulgari e Francesco Trapani) ha ceduto il suo 50 per cento ai campioni francesi di Lvmh, un aggregato del lusso, un colosso mondiale da oltre 20 miliardi di euro di ricavi (+19 per cento sul 2009), che opera dai vini ai gioielli dalla pelletteria ai vestiti. In cambio del controllo dell’azienda i Bulgari riceveranno azioni Lvmh per un valore di circa 2 miliardi di euro. «Non era nostra intenzione vendere la società, era nostra intenzione passare dal controllo di un business mediopiccolo alla partecipazione e gestione di un business più grande», hanno dichiarato i venditori, ma di fatto la loro partecipazione pari al 3,5 per cento sempre che lo mantengano nel tempo, non è nulla a confronto del 47 per cento con il quale Bernard Arnault fa il bello e il cattivo tempo in Lvmh. Del resto la campagna italiana del gruppo francese è in atto da tempo tanto che tra i marchi nostrani vi sono già Emilio Pucci, Acqua di Parma e Fendi, la cui acquisizione è avvenuta nel 2001 dopo che il gruppo non è riuscito a ottenere il controllo della fiorentina Gucci, attualmente nelle mani di Ppr, storico rivale di Lvmh. Qui è l’imprenditore François Henri Pinault ad aver creato una conglomerata da 14,6 miliardi di ricavi che oltre al lusso opera nella distribuzione con la Fnac e nel retail con la Puma. Nelle sue mani, Bottega Veneta, famosa per le sue borse intrecciate e le scarpe del marchio Sergio Rossi, nato in Italia negli anni ’60. Le mire dei francesi ora potrebbero allungarsi anche sulla Edison, una delle più importanti società energetiche italiane, già partecipata attraverso di Edf, e da qui a qualche anno su Alitalia, nel cui capitale sono presenti con la compagnia di bandiera Air France. Ma è nel campo dell’alimentare, senza escludere la grande distribuzione presa d’assalto da Carrefour e da Auchan, che il peso dei galletti d’oltralpe sta diventando sempre più rilevante. La francese Lactalis ha creato la succursale Italia solo nel 2007, ma riunisce al suo interno l’intera Galbani (acquisita nel 2006) e le altre società italiane già parte del gruppo francese con i marchi Invernizzi, Cademartori, Locatelli e Président. Ora è leader assoluto nel mercato dei prodotti lattierocaseari in Italia e tra i principali attori nel mercato dei salumi. La Cirio del dopo Cragnotti invece ha conservato la sua identità nazionale grazie a Conserve Italia, mentre la Parmalat, attualmente una public company guidata da Enrico Bondi, è nelle mire dei fondi nazionali, della stessa Lactalis e della svizzera Nestlé. Perché i marchi italiani non fanno gola solo ai francesi. La multinazionale del latte in polvere ha iniziato la sua diversificazione entrando in Italia già nel dopoguerra con l’acquisto della Maggi, la società nota per i dadi e l’omonimo brodo. La grande espansione è culminata tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta, quando nel suo portafoglio sono finiti marchi, come la Buitoni e la Sanpellegrino. E la Buitoni, venduta agli svizzeri dalla Cir, portava in dote un altro brand del calibro della Perugina. Nel 1993 poi Nestlè ha rilevato anche Italgel presente nel mercato del frozen con gelati Motta, l’Antica Gelateria del corso e la Valle degli Orti. Anche gli spagnoli hanno fatto la loro bella campagna acquisti nel Belpaese, soprattutto nel campo degli oli d’oliva. Nel 2005 tre fondi (Bs Private Equity, Arca Impresa Gestioni e Mps Venture) hanno venduto per oltre 130 milioni di euro la Carapelli Firenze alla spagnola Sos Cuetara, quotata alla Borsa di Madrid e uno dei maggiori gruppi alimentari in Spagna proprio nell’olio. Il gruppo conta su un fatturato di un miliardo di euro e in Italia è già presente con l’olio Sasso, rilevato nel 2004. Alla volta della penisola iberica è partita anche la Star, la società italiana leader nei dadi da brodo, acquistata dalla multinazionale spagnola Agrolimen per integrarla con le attività di Gallina Blanca. A vendere la famiglia Fossati, che ha reinvestito parte del ricavato in Telecom Italia. Da ultimo, anche i brasiliani si sono tolti qualche soddisfazione. La Jbs, leader mondiale nella produzione di proteine animali, dopo aver fallito, per ora, l’assalto alla Cremonini, ha completato l’acquisizione (già possedeva il 70 per cento) della bresaola Rigamonti, uno dei gioielli della Valtellina.