Togliamo 150 euro agli insegnanti, sputiamogli in faccia e ricordiamoci di Mario Pedini (P2 Brescia n. 570)

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Dal Parlamento italiano: “Sì, sì, dai… togliamo agli insegnanti 150  euro al mese dal momento che siamo riusciti a non decurtarci di un centesimo le nostre sudatissime prebende”. Se possiamo, come suggerisce un geniale frequentatore del web, sputiamogli anche in faccia, dopo aver strappato le vesti a quelli di loro di sesso femminile che, invece di dedicarsi alle masturbazioni mentali e fisiche di Silvio Berlusconi e dei suoi accoliti, hanno ritenuto che l’insegnamento fosse una soluzione dignitosa per mettere a frutto anni di studio dedicati al latino, greco, letteratura, storia, arte, matematica, chimica. Togliamo i 150 euro al mese e, possibilmente, sputiamo in faccia alle donne, agli uomini (finalmente pari nelle opportunità) che ogni giorno fanno decine di chilometri per recarsi in sedi scolastiche fatiscenti a provare a non lasciare allo sbando “la meglio gioventù” italiana. Quello che dovevo dire sulla Scuola Italiana l’ho “interrato” nel post Kant e la tragedia della scuola italiana.

Posso aggiungere solo che, qualora ci ritrovassimo quella macchietta ignorante di Matteo Renzi come Premier, precipiteremmo dalla padella nella brace. Democristiani sono stati per 50 anni i ministri della Pubblica Istruzione (alcuni inutilmente “colti”), e un ministro “democristiano” (sicuramente ignorante) ci rifilerà il logorroico, vanesio, sindaco di Firenze, ora anche Segretario del PD. A questo punto vi tocca leggere un ulteriore sproloquio liberamente ispirato a quanto, con arguzia unica, ci ricordava, anni addietro, Riccardo Chiaberge nel suo Cervelli d’Italia – Scuola, scienza, cultura: le vere emergenze del Paese. Cominciamo.

Che dire poi di Franca Falcucci, detta “ministra riscaldata”, prima donna a sedere dietro la scrivania che fu di Benedetto Croce? Insegnante di storia e filosofia nei licei, scudiera fedele di Amintore Fanfani, grande integralista e accentratrice, non avrebbe lasciato traccia del suo passaggio se gli immancabili contestatori (leva dell’85) non avessero provveduto a martirizzarla. Gorgheggiavano: “Con la Falcucci / si diventa solo ciucci”… O, più brutalmente: “lo sai che la Falcucci / è alta un metro e mezzo / leviamola di mezzo / leviamola di mezzo”. Lei si vendica come può. Quando le portano le cento cartelle dello scema di riforma delle elementari, elaborato da sessanta esperti,  prende la matita rosso e blu e comincia a tagliare, a correggere: l’aggettivo “mutevole” diventa “progredente”, i mass media vengono italianizzati in “strumenti della comunicazione”, e scompare l’intero paragrafo sui problemi demografici, forse perché parla di sesso. Ma, soprattutto, in tutto il testo il termine “bambino” viene sostituito dall’ottocentesco “fanciullo”. La modernizzazione della scuola comincia dal lessico. E lì si ferma.

Un risultato, però, la signora Falcucci può dire di averlo raggiunto: è riuscita a farci rimpiangere Mario Pedini. Lui quanto meno, per i pochi mesi (tra il marzo ’78 e il gennaio ’79; intanto nelle scuole e nelle università, le Brigate Rosse ed altre formazioni terroristiche, reclutavano decine di giovani ndr) in cui era stato ministro, ci aveva tenuto allegri. Aveva portato, nell’aria mefitica delle nostre scuole, una ventata di genuina comicità. Veniva da Montichiari, in provincia di Brescia, dove aveva insegnato storia nel locale liceo.

Oltre a due lauree (Filisofia e Giurisprudenza) vantava un talento da pianista, degno del conterraneo Arturo Benedetti Michelangeli. Quale miglior curriculum per aspirare alla Pubblica Istruzione, dopo una rapida puntata ai Beni Culturali? Ma la vera vocazione di Pedini era un’altra , che lui stesso ignorava: quella dello showman televisivo.

Una sera va alla trasmissione “Acquario” di Maurizio Costanzo (tessera P2 Roma 626, servo 1°) e si esibisce alla tastiera. Interrogato sulle sue passioni, si definisce “un giramondo” e “un ballerino provetto”, specializzato nei “ritmi africani”. In quel stesso  periodo maturava la tragedia della morte di Aldo Moro! (ndr). Poi, più serio, aggiunge: “La riforma della scuola è un treno, e io ne sono il locomotore, benché non sia ferroviere“. E Mario Marenco, nel suo umorismo surreale, lo chiama “menisco”. Persino Giulio Andreotti, sentendolo sproloquiare in TV, dichiara che i ministri non devono più andare agli show (ndr). Pedini ha anche scritto diversi libri, frutto in buona parte delle esperienze di viaggio fatte negli anni in cui era sottosegretario agli Esteri. Tra  le sue mete preferite, il continente nero, nel quale assicurava di aver lasciato una traccia indelebile presso le popolazioni indigene.

Lo si desume dal memorabile saggio Africa, anni dieci, pubblicato  da una casa editrice bresciana, con prefazione di Emilio Fede (servo 2° ndr) – sì, proprio lui, all’epoca inviato della Rai – il quale testimonia: “Pedini è diventato così popolare presso gli africani che che questi lo chiamano ‘Buana Mario’, che in lingua swaili significa ‘signore’“.Alla sua Africa il ministro è sentimentalmente così legato che non può fare a meno di citarla a ogni piè sospinto. A un lettore del Corriere che gli chiede conto dell’impreparazione dei docenti, risponde: “Ho trovato nella scuola italiana più tribù, ognuna che parla un dialetto diverso, di quante ne ho viste in Africa“. Un giorno va al liceo “Plauto” di Spinaceto, il quartiere-satellite alle porte di Roma, e conforta gli studenti paragonando la loro situazione al Terzo Mondo. Forse per avvalorare questa similitudine, Pedini lascia in eredità un decreto che proroga assegni e contratti ai “precari” (c’erano già? ndr) e stabilizza (che preveggenza? ndr)  i professori incaricati con tre anni di anzianità. Un decisivo contributo alla riqualificazione dei nostro sistema formativo. Si scoprirà più tardi che il suo nome era nella lista della loggia P2 (Brescia tessera 570 ndr): ogni tanto anche il “venerabile” (venditore di materassi ndr) Licio Gelli prendeva qualche abbaglio. A meno che tra i piani della Loggia segreta non rientrasse lo smantellamento della scuola e delle università. Missione – conclude Chiaberge – peraltro, troppo seria per affidarla al professor Pedini da Montichiari. E qui che si sbaglia l’autore del libro: la P2, quello voleva fare (distruggere la Scuola e l’Università) e quello, è riuscita a fare. A prescindere dai frizzi e dai lazzi di Maurizio Costanzo, di Emilio Fede, e dei troppi Pedini. Con la “complicità” di tutti quelli che glielo hanno lasciato fare. Ora, non ci rimane che vedere cosa succede al ritiro dei 150 euro e sperare di assistere alla scena degli esponenti del Governo Letta che, come suggerisce quel geniale internetnauta, “sputano in faccia” ai professori. Soprattutto, quelli precari.

Oreste Grani