Ariel Sharon e il silenzio complice

 

 

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Nell’ora in cui il tentativo estremo di tenere in vita Ariel Sharon si è naturalmente interrotto, sento il bisogno di dire la mia su una figura tanto complessa e controversa. Lo faccio nella speranza di offrire parole di pace e maltempo stesso, serve di verità.

Le considerazioni e suggerimenti che seguono sono state pronunciate, alcuni anni addietro, dal rabbino, noto e rispettato, David Hartman: “Il sollevamento dei palestinesi ci ha fatto prendere coscienza del loro sentimento nazionale. O noi riconosciamo questa aspirazione fondamentale, o creiamo una società in cui regnino la forza e l’imposizione, il che impedirà qualsiasi ripresa. Per duemila anni abbiamo ritenuto assolutamente inimmaginabile che una nazione ebraica potesse essere indotta a umiliare un altro popolo. La repressione dei palestinesi senza patria farà di noi degli stranieri sulla nostra stessa terra. Solo una realtà politica palestinese che permetta loro di diventare cittadini responsabili potrà respingere la volontà di affermazione violenta che è oggi di molti palestinesi. È un circolo vizioso da infrangere; se continuiamo a voler mantenere il controllo su di loro, distruggeremo noi stessi. La collera e l’amarezza, retaggi del passato, non devono più paralizzarci e impedirci di prendere le iniziative indispensabili. La ferma risoluzione di farla finita con i conflitti che ci oppongono ai palestinesi, sarà la forma migliore di espressione del rispetto che abbiamo per la nostra stessa tradizione”.

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Non ero nella mente di Ariel Sharon da vivo e quindi non so dire perché non abbia mai ritenuto di dover agire politicamente e militarmente tenendo conto di queste sagge considerazioni. Spero solo che, palestinesi e israeliani, stanchi di tanto offendersi, invece ne abbiano il dovuto rispetto, allontanando, per sempre, lo spettro del ricordo di mille volte in cui un ebreo è stato ucciso da un palestinese e viceversa. Soprattutto per “risolvere”, per sempre, il ricordo degli osceni massacri perpetuati dai cristiani falangisti, a Tall El Zaatar sin dal 22 giugno del 1976 per finire a Sabra e Chatila il 16 settembre 1982, con Ariel Sharon silente e quindi, come il popolo di Israele sa, complice. Per amore della verità, nelle ore successive al massacro di Sabra e Chatila, centinaia di migliaia di Israeliani scesero in piazza per gridare il loro dissenso al silenzio di Sharon. Da ora, solo una pace, onesta e duratura, dissolverà, nel tempo, le cupe ombre sulla figura del politico israeliano oggi deceduto.

Leo Rugens