Le Bonino passano e gli Alfano restano
Il 24/2/2014 scrivevo (certamente in modo troppo oscuro e contorto) il post che oggi ribloggo.
Tornerò sul racconto di quegli avvenimenti a cui alludo (fuga di Tony Negri ed altro) perché alla luce delle odierne accuse di Marco ad Emma forse ne vale la pena. Lo farò non appena mi sentirò nel giusto stato d’animo.
Oreste Grani
Gentile Emma Bonino,
oggi, lunedì 24 febbraio 2014, le voglio raccontare una stana storia ma, come tutte quelle che racconto, vera.
Un secolo addietro, accompagnato da un comune amico (A.D.M.), incontrai nei miei uffici di Piazza san Lorenzo in Lucina, il piemontese Giovanni Negri, da poco tempo ex segretario del Partito Radicale. Stimolati dall’incontro e dalle reciproche esperienze, parlammo di politica e, ad un certo punto, atterrammo sul tema del “femminile” (non “quote rosa” come lei, da sempre, dice bene!) e della necessità di far irrompere una variante valoriale, etico morale, che consentisse di sparigliare (mi passi il termine!) gli assetti partitocratici troppo maschili (senza capacità strategica di “prevedere e preservare”, tipico di chi è predisposto, per natura, alla maternità) e di preparare, con le opportune prudenze, una campagna che portasse al vertice dello Stato, una donna. Dopo questo primi pensieri generici, ci rivedemmo in un bell’attico con vista sul Tevere (di proprietà del comune amico) e sviscerammo un percorso che oggi, con amarezza, chiamerò: Why not a woman? Emma for President!
Era nato tutto da un Fax, intitolato appunto, “Why not a Woman-Emma for President (sbiaditissimo documento, che dovrei ancora avere nel mio onesto archivio), in cui , qualche settimana prima, dicevo all’amico che (parafrasando un’espressione di altri e per altra circostanza) non volevo morire “dipietrista”. Eravamo infatti, storicamente, nel periodo successivo al macro fenomeno denominato “mani pulite” e la pochezza (dal punto di vista delle prospettive) del fenomeno giudiziario, ci lasciava perplessi, pur apprezzandone la funzione di stimolo al cambiamento “radicale” (!), ormai necessario. La differenza tra me e l’amico, era solo sul nome di chi dovesse guidare il cambiamento: lui era per antropologa Ida Magli ed io per lei, Emma Bonino. Oggi so che aveva ragione lui, soprattutto alla luce di quanto accade in Europa. Prevalse, nei nostri ragionamenti, “Emma for President”. Poi il “giornalista”, ritengo oggi viticultore, Giovanni Negri sparì e io pensai che avesse considerato quella proposta strategica, non percorribile. Pochi mesi dopo, invece, il Partito Radicale lanciò la campagna che il panorama politico italiano ancora ricorda in occasione delle elezioni per il Parlamento Europeo. Io rimasi con il sospetto che fosse stato, per osmosi “miracolosa”, quel “nostro” progetto a divenire il “vostro” progetto. Sicuramente mi sbagliavo e ancora oggi ritengo quel mio dubbio, paranoico.
I Radicali fecero il pieno (si fa per dire!) con poco più dell’8%. Il “piano” che avrebbe dovuto avere ben altra gestazione, si risolse, come spesso era accaduto in passato, solo in gettito (e che gettito!) per le sempre esauste casse del Partito Radicale. Bisognerebbe chiedere al “tesoriere dell’epoca” quanto fruttò quella mossa. La verità è che quell’8% non servì a niente in mano al tattico Marco Pannella e l’Italia, sta ancora come sta, per colpa di quella asineria presuntuosa di pensare che si potesse scippare un pensiero a qualcuno senza sapere, in realtà, cosa farne. Se non soldi. Veniamo ad oggi.
Lei è arrivata, all’appuntamento con lo strategico incarico alla politica estera, consumata e… sola (lo era dal primo giorno), circondata da figure che non l’hanno saputa, né proteggere “intelligentemente” (ma volevano farlo?), né consigliarla, come noi di Leo Rugens ci eravamo permessi di fare, a tempo debito (Ministro Bonino vada via di lì prima che sia troppo tardi) e cioè di far cadere lei, il Governo. L’occasione l’ha avuta, sia nel caso Ablyazov sia nella complessa vicenda Marò. Alla fine, i suoi compagni di partitocrazia hanno ritenuto che lei fosse troppo pericolosa con quel suo aver denunciato comportamenti tattici del Governo Letta ristretti ad una visione “sotto” le sei ore. In particolare, l’hanno ritenuta troppo onesta quando svelò le responsabilità di Angelino Alfano nel “sordido” caso Shalabayeva. Gli archivi di Stato, quando saranno aperti, mi daranno ragione e Lei, quel giorno (augurandole di essere ancora viva), saprà perché e con che finalità, antichi ammiratori “radicali”, durante la crisi Shalabayeva, avevano tentato di metterla sull’avviso, dalle pagine di Leo Rugens (E se Ablyazov tornasse in Kazakistan “facendo pace” con il Presidente Nazarbayev?).
Quel passo diplomatico e “intelligente” era funzionale a mettere in moto un meccanismo di difesa di una figura (Lei) di cui l’Italia, ciclicamente, ha avuto bisogno e che, alla fine, per asinerie presuntuose o per tradimento di alcuni, non e mai riuscita ad usufruire. Perché, vediamo di capirci, prima viene la Repubblica e poi il Partito Radicale. Anche questa volta, a suo discapito e del Paese, è prevalso l’interesse tattico suggerito dalla visione di Marco Pannella. Che, lo ripeto, è sempre stato solo un tattico come, Franco Roccella che lo conosceva molto bene, un giorno mi spiegò. Se volevate, come radicali, fare gli interessi della Repubblica, prima bisognava impedire, in ogni modo, che gli “Alfano e i La Russa” si salvassero. Così come bisognava impedire, in ogni modo, al prof. Antonio Negri di fuggire e non pensare ai rimborsi che la sua elezione nel Partito Radicale facevano, da quel momento in poi, maturare. Due piccioni con una fava (comprata, oltretutto, con i soldi dei contribuenti): liberarsi dello scomodo eletto che voleva (a torto o a ragione ) discutere di politica, in modo complesso e gestire, da quel momento in poi, il valore, nel tempo, che quell’elezione determinava grazie all’orrida legge, dedicata alla partitocrazia e al suo sostentamento. Per non parlare degli (ad esempio) ottanta milioni di lire che la l’intervista fatta da Enzo Biagi a Negri latitante a Parigi, vi fruttò. So quello che dico e me ne assumo (come al solito) la responsabilità. Così come vi mantenne, con i suoi voti, nei vostri inutili tatticismi, la candidatura dell’agente del KGB Ilona Staller, detta Cicciolina. Soldi “indiretti” da un agente del KGB e campagna a sostegno della liberazione del dissidente fisico Andrey Shakarov, perseguitato dal KGB. Non male! Ogni voto, preso a qualunque prezzo (ma lei ha mai saputo che Gandhi sosteneva che , nella lotta politica, i mezzi devono anticipare il Fine?) si è sempre tradotto in rendita finanziaria strategica da dare in ostaggio alle banche come, sicuramente, ricordano i tesorieri del Partito Radicale fino al “condannato” (uno per tutti) “Danilo” Quinto. Chi le scrive fece di tutto (fino al venerdì sera precedente quel sabato del vostro agire “opportunisticamente” contro la Repubblica) perché “voi” non riusciste a far scappare Tony Negri che, bisogna dirlo, senza la sua di complicità, quella di Francesco Rutelli e di Roberto Cicciomessere, non sarebbe mai arrivato, via mare, in Francia e, il lunedì mattina, come da me organizzato, Negri avrebbe affrontato il voto del Parlamento sovrano. Non l’ho fatto scappare io Negri ma voi radicali. Sempre la Francia, signora ex Ministra degli Esteri. Sempre gli scaltri cugini francesi: nel caso “Ablyazov” come nel caso “Tony Negri”.
Se dovesse esserci qualche punto oscuro nella mia prosa (oltre gli evidenti limiti culturali e letterari), sono a sua disposizione. Basta scrivere a…
Leo Rugens
L’ha ribloggato su Leo Rugens.
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