5° giorno: l’ex ispettore Enrico Rossi e i misteri del caso Moro

Fani_Roma,_16_marzo_1978

Dopo anni di difficile convivenza con dubbi e senso del dovere, da cittadino e servitore dello Stato, l’Ispettore di Polizia, Enrico Rossi, andato finalmente in pensione, ribadisce la sua gravissima affermazione (più volte inutilmente fatta): a Via Fani, in fase operativa, il 16 marzo del 1978, le Brigate Rosse di Mario Moretti e di Valerio Morucci poterono usufruire a loro insaputa, (come, ritengo io, dovrebbe essere in questo tipo di particolare accorgimento e di attenzionamento), di un secondo, o meglio, “doppio livello” (direbbe la specialista di cose complesse Stefania Limiti) messo in campo dai “Servizi Segreti” militari dell’epoca (SISMI). Il doppio livello è una operazione di camuffamento e di deviazione della verità. Il doppio livello non è la fotografia di una mente diabolica che avrebbe deciso, di volta in volta, i destini del nostro Paese. Il doppio livello è un progetto di potere, chiaro e organizzatissimo, il cui esito finale è sempre stato quello di camuffare e coprire con “false bandiere” il  reale corso degli avvenimenti. Dice ancora Stefania Limiti: non un contro potere, ma il potere tout court. Cinico, invisibile, violento. Il comportamento raffinato (doppio livello), secondo Enrico Rossi, sarebbe stato ideato e coordinato da un reparto “riservatissimo” (sezione) che faceva capo al Colonnello Camillo Guglielmi. Il colonnello, individuato negli anni, ha sempre ammesso di essersi trovato realmente nella zona, a quell’ora (nove di mattina) ma per recarsi a pranzo da un amico! Come prenditore per il culo, niente male il sospettato! Il racconto, fatto dal Rossi, rivela (se fosse vero) un complotto di gravità senza limiti. Il dettaglio, ribadito in queste ore, prevede la presenza di una moto Honda, con equipaggio appositamente fatto venire da fuori e composto da due elementi, tra di loro sconosciuti (e questo torna come prudenza!) a via Fani, entrambi militari in forza al SISMI, che aprono il fuoco a interdizione e contrasto di un cittadino che si preparava ad intervenire e che, ad un occhio esperto che fosse li per osservare, sarebbe potuto sembrare in grado di interferire e far saltare tutta l’operazione dell’annientamento della scorta e del sequestro dello statista. Per una operazione che doveva cambiare  la storia del Paese, il doppio livello ci sta. Come la “doppia borsa”  a piazza Fontana e come altri interventi, di rinforzo, perché tutto andasse come doveva andare.

Il doppio livello è un meccanismo di “sicurezza” operativo dei “servizi” di quasi tutto il mondo e in largo  uso proprio in quegli anni. Tenete conto che, ad esempio, l’Operazione Ogro, cioè l’eliminazione del Capo del Governo franchista Carrero Blanco, sembrò essere esclusiva azione dei terroristi dell’ETA ma in realtà questi erano infiltrati e favoriti dai servizi segreti spagnoli. Gli stessi che dovevano proteggere il Capo del Governo fanno in modo che non possa salvarsi. Ci può stare quindi che in realtà Camillo Guglielmi sia stato il responsabile del buon fine dell’operazione “sequestro Moro”. Quello che non capisco, è come possa essere accaduto che un ufficiale con un cognome come quello (Guglielmi) fosse stato scelto per dirigere il coordinamento di una operazione tanto delicata come quella prevista in via Fani. Dico questo perché un personaggio di altissimo livello, nell’ambiguo mondo dell’eversione italiana, con lo stesso cognome, esisteva da alcuni anni, ed era operativo a Roma. Il presunto terrorista risultava informato dettagliatamente sulle attività della costituenda “Colonna romana delle B.R.”, perché, lui stesso, aveva trattato a lungo con i reclutatori (Mario Moretti ed altri) per decidere se entrare a far parte o meno dell’organizzazione brigatista. Lui, Guglielmo Guglielmi, detto il medico o “baffone”, era il capo indiscusso delle Unità Combattenti Comuniste e in quanto tale era, nella semiclandestinità in cui viveva, “certamente” conosciuto e attenzionato dai Servizi, dalla Digos, dai Carabinieri, dalla Guardia di Finanza, dalla Forestale, dai Vigili Urbani e dal club Topolino. A meno che le regole più elementari di prudenza (tutto era possibile nell’Italia in mano a Gelli il Materassaio) non fossero saltate o peggio non fossero mai state rispettate, difficilmente si sarebbe scelto, nei “servizi”, un ufficiale con lo stesso cognome di uno dei massimi responsabili di quella terra di mezzo dove già si concertavano ambigui obiettivi e comportamenti “double cross”. Guglielmo Guglielmi non ha fatto un solo giorno di carcere e, al momento opportuno, si è eclissato in centro america. Di tanti ufficiali a disposizione a mio giudizio, se ne sarebbe dovuto scegliere un altro, con altro cognome, piuttosto che generare involontari fraintendimenti. A meno che, il colonnello Guglielmi non ci dica che era “familiare” stretto di Guglielmo Guglielmi, questa storia non tiene. Non tiene solo per questo dettaglio investigativo (lo stesso cognome) su cui, per eccesso di serietà attribuita agli ambienti della nostra sicurezza, mi potrei sbagliare. Tutto il resto, a cominciare da Valerio Morucci e il Colonello Antonio Cornacchia (tessera P2) per troppi anni in buoni rapporti investigatore/criminale, passando per Giorgio Conforto, organico, senza ombra di dubbio, del KGB, padre di Giuliana, titolare dell’appartamento (viale Giulio Cesare 56) dove vengono scovati Adriana Faranda e lo stesso Morucci, tutto il sospetto avanzato da Rossi ci può stare.

moro

Anche perché, uno dei due in sella alla moto, pieno di rimorsi per i colleghi lasciati uccidere e, forse, impressionato dalla punizione divina del cancro che lo aveva colpito, negli ultimi anni di vita, in punto di morte ha confessato di essere stato lui a sparare in via Fani perché non ci fossero imprevisti e a copertura dei brigatisti. Forse è ora che, chi di dovere, a cominciare dal Capo dello Stato che è anche stato Ministro dell’Interno, invece di pensare a quei delinquenti populisti del M5S guidati da quell’agente doppio, triplo di Giuseppe Grillo, apra gli armadi e ci dica come è andata quel 16 marzo 1978. Una cosa alla volta ma, cominciamo subito! Prima che le inchieste giornalistiche su chi manovra Matteo Renzi e su quale Servizio Segreto Estero lo filo-dirige, ci confondano la mente. Prima diteci perché le ferite del corpo di Aldo Moro sono state “premurosamente” tamponate dai suoi carnefici con dei fazzolettini di carta macabramente arrotolati dentro ai “buchi” dei proiettili se non perché è stato ucciso vicino a via Caetani, tanto vicino da poter essere rintracciato il luogo dell’esecuzione grazie ad un “corto” percorso a ritroso rintracciato attraverso le gocce di sangue che potevano filtrare dalla R4. Poi diteci, bene e in modo esaustivo, chi sia (è ancora vivo) Guglielmo Guglielmi (UCC) e chi sia stato quando era in servizio e di cosa si  interessava, alla data degli avvenimenti (basta aprire gli archivi e riscontrare un po’ di  firme apposte), Camillo Guglielmi (SISMI). In tanto per sapere come fa uno a credere che si possa credere che, per maniacale puntualità, ci si reca ad un appuntamento, a pranzo, alle nove di mattina. Dopo ma, subito dopo, prima che diventi l’ennesimo segreto della “notte della Repubblica”, diteci chi cazzo è e per quale intelligence estera lavora o ha lavorato, consapevolmente o meno, Marco Carrai. Perché vi informo che pure un cretino quale sono io capisce che Marco Carrai potrebbe aver conosciuto, molto bene, ambienti internazionali spagnoli o mediterranei che fanno tutto meno che “beneficenza”, prima di divenire l’amico del cuore di Matteo Renzi, Capo del Governo Italiano e quindi Capo delle Agenzie di intelligence AISI/AISE.

Troppo delicato il caso per farlo risolvere all’intelligentissimo Maurizio Crozza. Prima però, ci chiarite cosa sostiene, a spada tratta, l’onesto servitore dello Stato, Enrico Rossi?

Leo Rugens