9° giorno: “Non abbiamo una strategia” (firmato Cossiga)

Schermata 2014-03-26 a 16.12.45

Per anni ho sostenuto quello che, con espressioni definitive, oggi, è all’ordine del giorno: l’Italia non aveva la capacità di gestire una crisi complessa come quella innescata dal terrorismo delle Brigate Rosse e dal rapimento di Aldo Moro. Era la verità anche se tali affermazioni erano difficili da far accettare nella loro crudezza. Immaginatevi se poi, a farle, era il Ministro dell’Interno, Francesco Cossiga. Cossiga nell’immaginario collettivo politico/culturale di quegli anni era scritto con la “K” e non poteva essere (o meglio, non doveva essere ) creduto. Solo chi era dentro al processo investigativo da anni, con animo inutilmente allarmato dalla inefficienza plateale e dalla pochezza culturale dei nostri organici, sapeva in che razza di guaio i paesi nostri competitori e, sostanzialmente, nemici, si preparavano a precipitarci.
Di seguito pubblico un’intervista di Marco Dolcetta all’inutile Steve Pieczenik. Per quello che ormai vale, leggetela con il consiglio “narcisistico” di metterla in relazione con quanto pubblico da anni su la pochezza culturale, etico morale, dei nostri servizi e su quanto, nello specifico ho pubblicato ieri.
A domani.
Oreste Grani

P.S. Dovessimo scoprire che anche oggi la situazione è simile a quella descritta con “onestà”, nel 1978, da Francesco Cossiga, appassionato di gadgettistica tecnologica ma niente più rispetto alla cultura della complessità che sarebbe stato necessario che un ministro di “polizia” avesse in quei frangenti. Ripeto: i francesi e i tedeschi, sostenuti dalle loro rispettive intelligence, infiltrati nelle pseudo massonerie (P2 ed altri cretini organizzati) avevano bollito a puntino il Paese e con esso gli organici preposti alla sua sicurezza. Gli americani, in quegli stessi anni, avevano affidato ad un doppiogiochista, venditore di materassi, le sorti dell’Italia. L’alleanza Usa con Gelli, tutta dentro una logica troppo semplice quale solo gli americani sanno avere, era indirizzata a usare il nostro Paese solo in chiave anti sovietica. Quando i francesi e i tedeschi (DDR) (cioè anche i Russi) hanno sferrato, con abilità colta e raffinata, l’attacco all’Italietta, non solo non abbiamo capito un cazzo di quello che stava succedendo ma, ancora adesso, che siamo ormai nello stomaco degli orchi che ci hanno divorato, cerchiamo di sedurli perché ci facciano almeno sopravvivere nei loro intestini e nei loro retti.

La ronda dei Servizi il giorno di via Fani

di Marco Dolcetta (Il Fatto quotidiano)
Al telefono, Steve Pieczenik ha ricordato la breve ma intensa esperienza del suo soggiorno in Italia nei giorni più caldi del rapimento Moro e della sua morte. “Mi dispiace che sia dovuto morire ma, in realtà, in termini di strategia, la sua morte è stata uno degli elementi chiave per il risultato finale della strategia adottata. Sono uno psichiatra laureato a Harvard, poi chiamato da Henry Kissinger a ricoprire la carica di assistente alla Segreteria di Stato per dare vita a un nuovo organo statale, un Dipartimento per il controllo delle Crisi Internazionali e per il contro-terrorismo”.
Chi vi ha mandato in Italia nelmarzo del 1978?
Mi ha mandato in Italia Ben Reed, all’epoca sottosegretario di Stato che, preciso, mi ha chiesto e non ordinato, per conto del Segretario di Stato Cyrus Vance, di andare in Italia per aiutare il governo italiano a far fronte al terrorismo delle Brigate rosse, al rapimento di Aldo Moro, risposi di sì. Francesco Cossiga, all’epoca ministro dell’Interno, chiese espressamente di me, per avere l’aiuto di qualcuno in stretto rapporto con i piani alti dell’amministrazione statunitense, ma che non fosse legato alla politica, non appartenente alla Cia. né all’esercito.
Quando arrivò in Italia qual erala sua conoscenza delle Brigate Rosse?
Non sapevo niente. Arrivato in Italia, il capo della Cia sul posto aveva ben poco da dirmi, non esistevano rapporti su Moro né sulle Brigate rosse, né sulla P2 o i fascisti, oppure il Sisimi o il Sisde. Quello che ho fatto è stato imparare da Cossiga e da Ferracuti, uno psichiatra, suo consulente. Poi ho saputo che era agente della Cia e piduista. La prima cosa che mi disse Cossiga fu molto chiara: ‘Guarda, non abbiamo capacità per gestire questa crisi, non abbiamo una strategia’. Avevo capito subito che le Br già si erano infiltrate ovunque, nel Parlamento come nel gruppo dei fedelissimi di Cossiga.
Come erano riusciti a infiltrarsi così bene nello Stato italiano e come faceva a saperlo?
Probabilmente non era così difficile. L’ho capito in conseguenza dei fatti avvenuti, dei nostri sospetti e tramite l’aiuto del Vaticano. Tutte le informazioni utili che io e Cossiga abbiamo ricevuto venivano dal loro intelligence, perché quello del governo italiano praticamente non esisteva. Attraverso il sistema dell’intelligence italiana deviata, erano arrivate informazioni a Cossiga come quelle sul mio conto, che sapevano tutto di me, chi ero, di cosa mi occupavo e che dovevo essere eliminato: ho subito capito quanto erano presenti nel Parlamento, negli organismi della sicurezza.
Aveva avuto sentore che i Servizi deviati stessero giocando un ruolo in quella tragica rappresentazione che si stava svolgendo a vari livelli sul caso Moro?
Sì. La prima impressione l’ho avuta quando mi fu detto alla presenza del colonnello Guglielmi, dei Servizi di Sicurezza, presenti sulla piazza e la sua assurda giustificazione da cui risultava che si trovava lì alle 10 del mattino perché era stato invitato a colazione alle 13 in un appartamento accanto a via Fani. Altrettanto paradossale risultava l’ingenuo movimento della moto Honda che da ore, a detta dei testimoni, stava facendo la ronda prima, durante e dopo l’atto terroristico. Sono passati tanti anni e non ricordo più bene i particolari, ma si diede subito per scontato che sia il colonnello sia i motociclisti stessero effettuando un banale controllo del teatro delle operazioni così come è consuetudine in questi casi.

Schermata 2014-03-26 a 16.17.58

Aldo Moro e Henry Kissinger