Lo “Utah Data Center” della NSA e la visita di Barack Obama a Roma

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Se “Attanasio Cavallo Vanesio” Matteo Renzi avesse voluto realmente stupire il mondo politico nostrano ed europeo (su questa pubblica piazza, mi voglio rovinare, e dico… mondiale), avrebbe potuto chiedere, durante l’incontro, con Barack Obama, nel suo fluente inglese, a che punto fosse la costruzione della nuova “nuvola informatica” della NSA, lo “Utah Data Center”.

Ma chi lo consiglia a questo povero ragazzo toscano?
Se Renzi avesse voluto lavorare sul concetto complesso di “discontinuità” e darne una prova agli Italiani stanchi di troppi cantastorie, avrebbe potuto, dimostrando di saperla lunga su tutta la questione Assange, Snowden, Binney, chiedere al collega Barack Obama, di riservargli un trattamento di favore, rispetto al resto del mondo che corre, da mesi, dietro agli sputtanamenti dei vecchi progetti obsoleti della NSA e di dirgli, con la chiarezza che si merita un uomo del fare quale è lui, a che punto sia quella struttura mega-galattica che, nel sostanziale segreto più assoluto, il Governo degli USA, continua a costruire. Anzi per esser precisi ha finito di costruire ed ora lavora per farla funzionare. Che è cosa diversa che averla costruita. Perché di questo si tratta.
Da quando i super calcolatori dello Utah Data Center (quelle macchine si definiscono per la capacità di operare con velocità di calcolo e di trattamento dati in yottabyte e uno yottabyte corrisponde, circa, a 500 quintilioni di pagine di testo UNI a 4) hanno cominciato a lavorare, deve essere successo qualcosa di natura tale da aver consigliato, “il resto del Mondo”, a reagire a questo disegno tecnologico onnicomprensivo, totalizzante e capace di ascoltare, registrare, classificare, rendere omogeneo ogni tipo di trasmissione di dati, ogni tipo di utilizzo di tecnologia elettronica, ogni tipo di relazione tra gli umani viventi sulla faccia della Terra e, se ci fossero abitanti su Marte, tra i marziani. Per aiutare il lettore medio di Leo Rugens a capire di cosa si tratta, 500 quintilioni si scrive 500.000.000.000.000.000.000.

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Nel mondo, da quando la contro-informazione statunitense ha cominciato a segnalare, soprattutto attraverso le dichiarazioni altamente attendibili di quel vero genio della cripto-matematica applicata all’automatizzazione della rete a fini di (passatemi la semplificazione) spionaggio globale che è William Binney, il fatto che il Progetto Stellar Wind, è andato avanti, a prescindere da tutto e da tutti (Binney ha passato quaranta anni della sua lunga vita – ne ha oggi settanta – prima come Capo e Fondatore del Signals Intelligence Automation Reserch Center e, poi come alto dirigente della NSA) sono scattati tutti gli allarmi possibili. Con altri, ovviamente, ma è soprattutto Binney l’uomo che non ha ritenuto giusto continuare a tacere su questo procedere, a qualunque costo (e questa è la mia modestissima opinione), verso il nulla. Le cifre che si sono spese e che si continueranno a stanziare, in dollari, per “sapere tutto” (cioè, come ho detto, “nulla”) sono difficilmente calcolabili e dimostrabili. Sono, forse, tutto il debito americano con lo Stato Cinese.
Torniamo allo Utah Data Center. Il centro, da qualche mese, ha cominciato ad essere alimentato con le informazioni provenienti dai satelliti, dalle postazioni di ascolto internazionali e dalle “stanze” che il Governo USA si è fatto riservare all’interno di ogni azienda di telecomunicazioni. Negli Stati Uniti e in altri paesi dove funzioni anche un solo telefono, un computer, i GPS, i televisori interattivi, nulla sfugge. Cioè, amici americani, tutto. In questa overdose crescente di informazioni di cui disponete continuate a non saper trovare la chiave della complessità e del vostro declino. Ovunque un calcolo binario (0,1; 0,1), sia in corso, la NSA cerca di coglierne il significato. E, così facendo, si impicca sempre di più ad una Torre di Babele che proprio perché è un luogo di cultura possibile, li respinge, con crescente ostilità, ogni momento di più, lasciandoli (temo) addirittura fuori del portone di accesso. Altro che decifrare i codici. Se non ci fosse Obama che alle popolazioni di mezzo mondo piace, assisteremmo ad un’altra ondata di fobia anti americana da far impallidire quella prodotta dalla guerra in Viet-Nam. Ma Barack Obama tra due anni, passa la mano e allora il guaio si farà grosso. In questo preciso momento un annusatore prima e una sonda poi (centesimi di secondi di differenza tra i due comportamenti elettronici) ha applicato anche a me, che ho digitato il nome Utah Data Center, il criterio di “assorbimento” dentro il data mining e, da questo momento, non mi lascerà più. Senza un mandato, e senza, cosa ancor più grave, un reale motivo. Soprattutto se, nella terra dei Mormoni, a Bluffdale, Utah, segneranno chi di voi leggerà questo post. E dal quel momento cercheranno di sapere, in modo stellare e onnicomprensivo, chi siete e perché “non vi fate i cazzi vostri” come, saggiamente, consiglia l’esilarante onorevole Crozza/Razzi

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Se avete capito come la penso, state certi che tornerò sull’argomento “Utah Data Center” e le sue inutili, nevrotiche relazioni costanti e permanenti con casa mia, casa vostra, tutti i satelliti che “navigano” nello spazio; con la Base dell’Aeronautica militare di Bucley, Colorado-Usa; con Fort Gordon, Augusta, Georgia; con la Base militare di Lackland, San Antonio; con la NSA alle Hawaii, Ohau; con Oak Ridge, nel Tennessee; con il Quartier Generale della NSA a Fort Meade, nel Maryland; infine, con il Pentagono. Tutto questo casino, per scoprire che, al sottoscritto, Barack Obama piace da prima di essere eletto, la prima volta, Presidente degli Stati Uniti d’America. A me Obama piace da quando era un semplice senatore e non si alzò, unico nel Senato americano, all’arrivo di quel delinquente di Silvio Berlusconi. Mi piace da quando, unico, in quella occasione, non applaudì le “cazzate” dello psiconano. Anzi, il giovane senatore, rimase a braccia conserte, seduto ed attento ad osservare chi tra i colleghi si divertiva tanto alle battute del buffone lombardo. Scoprii quel giorno, senza il supporto tecnologico della NSA, che l’Italia colta, l’Italia che per prima ama i suoi monumenti, il suo Colosseo, la sua Storia millenaria, avrebbe avuto, un giorno, un amico e un sincero ammiratore in Barack Obama qualora fosse diventato Presidente degli Stati Uniti d’America. L’analisi la feci basandomi sull’esame, fotogramma per fotogramma, del comportamento, spontaneo, del futuro Presidente degli Stati Uniti. E non mi sbagliai. E senza spendere quattrini dello Stato. All’Italia e a Roma, sua Capitale, Barack Obama porta rispetto e ammirazione per lo straordinario patrimonio culturale, laico e religioso che “possiede” e che gli riconosce. Non perché sia mai stato amico di Berlusconi. Né, tantomeno, per le “mossette” accattivanti di “Attanasio Cavallo Vanesio” Matteo Renzi.
Leo Rugens

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