Ubiquità, ovvero la dimensione necessaria di un’Intelligence culturale

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Vediamo se riesco a dare un senso ulteriore a quanto postato l’8 marzo, rispetto al risultato raggiunto del posizionamento, dei nostri post, nei maggiori motori di ricerca, al 1° posto sul tema che più mi sta a cuore, attinente il reclutamento, la selezione e la formazione del personale da destinare ad attività relative alla sicurezza dello Stato.
Da oggi proverò a spiegare, ai nostri pochi (ma come fanno a essere pochi se i post sono “primi”?), lettori, intelligenti e affezionati, la non casualità e il valore strategico di un tale risultato viste, oltretutto, le condizioni di assoluta frugalità in cui, da anni, noi di Leo Rugens abbiamo deciso (dovuto?) operare. Su questo discorso della frugalità (decisa o dovuta) sarà opportuno, quanto prima, dedicare un post. O più di uno.
Intanto, per la prima volta nella mia vita, mi permetto di “spernacchiare”, pubblicamente tutti i soloni che, negli anni, hanno ritenuto di impartirmi lezioni di concretezza invitandomi a scendere a patti con un “sano” realismo. Chi volesse continuare a leggere le mie considerazioni abbia prima l’accortezza (e la prudenza) di rileggere la frase che accompagna, in home page, lo pseudonimo Leo Rugens: “Che si spenga, per sempre, la semenza degli uomini con i piedi per terra“.
Capito? Oggi, amici cari, come vi è dato di leggere, tira aria brutta. Anzi, soffia il vento.

Riprendiamo il percorso e le premesse alla affermazione della non casualità del risultato. I brani che riporto sono tratti (come altre volte ho già inutilmente dichiarato), da documenti che, negli anni, sono stati scritti in stretta collaborazione con straordinari intellettuali tutti da me reclutati, selezionati e, in alcuni casi formati, con criteri, oltre che di natura fiduciaria, anche rispondenti al cambiamento dei paradigmi culturali che la mia teoria comporta. In particolare “Ubiquità, ovvero la dimensione necessaria di un’Intelligence culturale“, è stato partorito in stretto rapporto con la “pluridottorata” E.B. che continuo a proteggere indicandola con le sole iniziali (come ho mille e mille altre volte già detto) per un eccesso di sensibilità e accortezza che lei continua a non voler interpretare opportunamente. Ma, siccome la responsabilità della operazione denominata “Strategia di Sicurezza Nazionale“, è mia, nel bene e nel male, fino a quando non apre formalmente la Scuola d’Intelligence (vero punto di arrivo di tanti anni di sacrifici e vicissitudini vissute, da alcuni e non da tutti), si fa… come dico io.

Tutti i materiali prodotti, tutte le idee messe a punto (ovviamente attinenti la Strategia di Sicurezza Nazionale) in questi anni, compreso le interviste fatte, a Genova, a suo tempo, all’attuale Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, sono di patrimonio esclusivo della Repubblica italiana e detti materiali vanno utilizzati esclusivamente negli interessi della “collettività”. Che cosa sia, per Leo Rugens, l’interesse della collettività, è facilmente deducibile da una attenta lettura di quanto è scritto in questo blog da quando ha iniziato la sua pubblicazione. Punto e basta. Il resto è …noia.

Il 1° dicembre 2005 scrivevamo, sotto il titolo “Ubiquità, ovvero la dimensione necessaria di un’Intelligence culturale” il brano che riproduco per accompagnare il lettore nel “labirinto” di ciò che è vero, falso o, meglio, autentico e soprattutto, come dicevo in esordio, non casuale: «“Intelligenza” e “sicurezza” sono sempre più concetti correlati, al punto da essere considerati sinonimi. Se, infatti, gli antropologi definiscono l’intelligenza come la caratteristica principale degli esseri umani, che consente loro di sopperire alle “carenze biologiche” – cioè, all’assenza di caratteri specifici funzionali alla sopravvivenza, intesa come garanzia di esistenza nella difesa dagli attacchi esterni e nello sviluppo delle potenzialità bio-psico-fisiche –, il termine è anche usato in un’accezione particolare, come funzione dello Stato, di reperimento e raccolta di informazioni, a garanzia della sopravvivenza e dello sviluppo dell’entità statuale, e quindi finalizzata, appunto, alla sicurezza, all’auto-conservazione. Come il modo di intendere l’intelligenza come facoltà individuale si è modificato nel tempo, adattandosi ai sistemi di vita e di pensiero che si sono affermati nel corso della storia e delle sue trasformazioni, così anche il modo di intendere l’intelligence si è modificato e, soprattutto, necessita di essere modificato, per adeguarsi alle nuove condizioni di esistenza, nazionale, internazionale e planetaria. Il termine “intelligenza” significava, all’origine, una generica capacità umana di “leggere tra le righe”, cioè, di andare al di là dell’osservazione per raccogliere informazioni e formulare un giudizio sul mondo e sulla vita, “comprendere la realtà interpretandola”. Secondo le nuove teorie psicologiche (H. Gardner), sono identificabili ben sette dimensioni dell’intelligenza individuale: linguistica (ampiezza e profondità di vocabolario, flessibilità nel trasferire concetti da un registro linguistico ad un altro), spaziale (attenzione percettiva, memoria visiva, orientamento), musicale (padronanza del significato psicologico nelle differenze di tono, volume, armonie e disarmonie vocali), cinestesica (coordinamento dei movimenti, relazioni dinamiche), personale (profondità di riflessione, auto-consapevolezza e consapevolezza del mondo interiore dell’altro), naturale (logico-intuitiva, capacità di analisi e di sintesi, comprensione dei dettagli e dell’insieme e della relazione tra le parti e il tutto), esistenziale (capacità di astrazione, di visioni globali, sistemiche e universali). Sono tutte dimensioni che devono appartenere anche all’intelligenza dello Stato, appunto, all’intelligence.

Il modo di intendere le strutture di intelligenza/sicurezza pubblica, i “servizi segreti”, l’Intelligence, per rispondere alle finalità per cui esistono e operano, non possono non evolvere adeguandosi al nuovo modo di intendere l’intelligenza in senso stretto e il mondo in generale. Occorre, cioè, ripensare una “cultura dell’Intelligence” adeguata ai nostri tempi e alla nostra realtà. In particolare, in Italia manca un dibattito sufficientemente articolato intorno ai nuovi concetti di intelligenza e sicurezza. Tale carenza ha provocato una condizione di pericolo per il nostro Paese nella crisi internazionale e mondiale che è seguita alla fine della guerra fredda, con la rottura degli equilibri politici ed economici e i mescolamenti culturali, caotici e imprevedibili, che sono seguiti ai grandi esodi e alle nuove scoperte tecnologiche, soprattutto nella comunicazione. Tra le definizioni più diffuse di Intelligence vi è quella di “attività di reperimento, raccolta e collegamento di informazioni utili a prendere decisioni per la sicurezza del Paese”. Le informazioni e il controllo delle informazioni rappresentano, quindi, l’area critica della sicurezza. L’azione di Intelligence si svolge, dunque, secondo tre linee principali: l’acquisizione di informazioni dall’esterno, la difesa delle informazioni critiche per la propria sicurezza nei confronti dell’esterno, il controllo delle informazioni al proprio interno. La questione che si pone è: quali sono le informazioni che occorre acquisire, difendere e controllare? Chi lo decide? In che modo opera? La risposta alla prima domanda rappresenta l’elemento di criticità intorno al quale ruota tutta la riflessione sull’adeguamento delle strutture di Intelligence.

La rivoluzione tecnologica e i processi di globalizzazione, culturale e non soltanto economica, che hanno caratterizzato l’ingresso nel terzo millennio, impongono un nuovo ripensamento dell’Intelligence come funzione e struttura, profilando una nuova e più complessa risposta alla domanda, già posta: quali sono le informazioni che occorre acquisire, difendere e controllare? L’intelligenza individuale viene intesa come la capacità personale di adattarsi ai nuovi contesti culturali e alle rapide trasformazioni dei sistemi di vita. Una capacità che presuppone l’integrazione di diverse abilità, cioè, l’applicazione di tutte le dimensioni dell’intelligenza. Così, l’Intelligence riorganizzata in chiave culturale consiste nella capacità di integrare diverse scienze e metodologie per comporre una mappatura altamente complessa e significativa di informazioni su più dimensioni: personale (psicologica-motivazionale, culturale, politica, economica, comportamentale), ambientale (contesto familiare, sociale, culturale, politico, religioso, economico), internazionale (compreso l’aspetto tecnologico, finanziario, commerciale, etnico, linguistico, militare). Si tratta, cioè, di formare una professionalità che raccoglie, controlla e mette in relazione secondo rapporti significativi informazioni di diversa natura e di varia fonte, utili a formulare decisioni, previsioni e soluzioni, attraverso il supporto metodologico delle più recenti tecnologie informatiche. Ciò implica, evidentemente, una scelta accurata degli “investigatori”, o meglio, delle persone “intelligenti” che facciano della pratica dell’intelligenza un lavoro, una professione, un servizio. La riorganizzazione dell’Intelligence prevede uno studio accurato delle caratteristiche richieste alle risorse umane da selezionare per svolgere l’incarico e la missione strategica di preservare la sicurezza dello Stato, e i processi di formazione e di attività da mettere in moto, controllare e costantemente adeguare al contesto, per non trovarsi sorpresi da situazioni ignote, impreviste e ingestibili.»

Continua.
Oreste Grani