Nomine di Stato: mentre Grillo si auto mette in difficoltà con citazioni improprie di Primo Levi, Renzi, o chi per lui, sferra l’attacco al cuore dello Stato

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Da mesi, inutilmente, abbiamo provato a richiamare l’attenzione dei “cittadini organizzati” nel Movimento 5 Stelle e della “rete tutta”, sulla “battaglia di primavera” che si sarebbe svolta per compiere lo spregiudicato gioco del posizionamento necessario a dare vita all’orgia finale del saccheggio di quanto rimane (poco!) dei beni collettivi: la nomina dei nuovi boiardi di Stato.

Dopo un felice esordio in politica estera (la missione ad Astana per “proteggere” la signora Shalabayeva, sua figlia e così facendo prefigurando un rapporto strategico con l’esule Ablyazov), i nostri “eroi a cinque stelle”, nell’ora più grave (mentre cioè la partitocrazia di accaparrava le poltrone che contano) si sono fatti distrarre da una questione di cattivo gusto intorno a metafore e analogie con i campi di sterminio e l’opera letteraria di Primo levi. Grillo, che cazzo combini? Hai rimosso che il genovese Giuseppe Mazzini ha potuto chiudere gli occhi protetto dalla famiglia ebrea, Nathan-Rosselli? Hai rimosso l’informazione che i bersaglieri, entrando a Roma, il 20 settembre del 1870, per primo atto di libertà, hanno divelto i cancelli del Ghetto romano? Con chi ti sei consigliato prima di pubblicare una “stronzata” di questa portata? Mi fermo qui, perché, viceversa, dovrei consumare le dita per scrivere del mio non averti capito. Cari “amici per bene” del M5S, torniamo al fatto: vi hanno fatto fessi (forse in modo determinante), anche per l’appuntamento elettorale imminente. L’ennesima manovra propagandistica di Renzi (donne al potere!), vi potrebbe obbligare a distrarvi dal rapporto con gli elettori incentrato sulla “follia” europea. Riprendo il testo del post pubblicato il 25 gennaio 2014 nella sua interezza e aggiungo solo un dettaglio che inaugura la strategia che, Leo Rugens si prepara a mettere in atto: dalla periferia (fatti apparentemente marginali), verso il Centro. Il dettaglio di oggi, riguarda il fratello della signora Luisa Todini, Stefano, da poche ore nominata “Presidente delle Poste italiane”. Quanto di cui è stato indagato e fortemente sospettato il “fratello”, marito dell’attrice Patrizia Pellegrino, sarebbe materia sufficiente, per un qualsiasi comune mortale, per “non” ottenere il NOS di sicurezza. Le frequentazioni e le manovre finanziarie spregiudicate del fratello “ingenuo” sarebbero ostative (vero Dottor Gratteri?) non per interagire col sistema “finanziario” più complesso e diffuso del Paese, ma per “pitturare” l’esterno della facciata di una qualsiasi caserma dell’Arma dei Carabinieri.

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Forse è su questi aspetti della lotta politica (se è una guerra, caro Grillo, è una guerra) che non ci si deve lasciare sorprendere. Ora, per liberarci di questa ondata di termiti (spacciate per nuove e morigerate), dovreste essere capaci di prendere il “Palazzo d’Inverno”. Ma, su questo “terreno” operativo e rivoluzionario, quando migliaia di persone ti aspettavano, intorno al Parlamento, “incazzate nere” (come avevi chiesto che fossero),sapendo che si  giocava la partita “Rodotà”, anche “in piazza”, tu facesti “pippa”, non arrivando. Ora, dopo ieri, all’Italia, per liberarsi della oligarchia partitocratica, rimane solo riuscire a dare, nelle urne, il 51% al Movimento 5 Stelle. Difficile se continui a scegliere le metafore storiche e letterarie, sbagliate.

Oreste Grani

PS Segue il post già dedicato all’argomento.

ALBERTO STATERA – IL VALZER DEI BOIARDI: DALL’ENI A FINMECCANICA LE 100 NOMINE DELLO STATO PADRONE

25 gennaio 2014

Questi cittadini organizzati nel M5S, sono dei veri demoni: non fai a tempo ad esprimere un desiderio che loro si impegnano perché si realizzi. Tu pensi che le “termiti annidate nei consigli d’amministrazione delle banche” devono mettere giù le mani dalla Banca d’Italia e loro, scatenano l’inferno in Parlamento proprio sul tema scottante e sottaciuto dai signori della Partitocrazia e dai loro servi nell’editoria. “Fata Turchina” si mostra anche la tanto vituperata magistratura: tu pensi, da cittadino incazzato, che è ora che il prepotente procacciatore di tessere pro Renzi, costruttore di tutto,  Sindaco di Salerno, De Luca si tolga di mezzo e… vieni subito accontentato.

Sogno o son desto? Questo è il mondo meraviglioso che ho sempre desiderato. Che sta succedendo? Ho sperato che Cota pagasse le sue volgarità di leghista razzista e di dissipatore del denaro pubblico e, subito, viene dichiarato decaduto. Troppa grazia, Sant’Antonio. Ho quasi paura ad esprimere i prossimi desideri vista la rispondenza tra pensiero e immediata soddisfazione. Comunque i miei desideri più forti, da oltre un anno, si indirizzano, verso quello che il solito colto, senza timori reverenziali Alberto Statera oggi chiama, su Repubblica, “Il valzer dei boiardi: dall’Eni a Finmeccanica le 100 nomine dello Stato padrone”.

Da oltre un anno, Leo Rugens, ovviamente con minore autorevolezza di Statera, cerca in tutti i modi di richiamare l’attenzione della rete su quanto, tra poche settimane, accadrà nello spregiudicato gioco del posizionamento necessario a dare vita all’ orgia finale del saccheggio di quanto rimane dei beni collettivi. Poche cose ormai ma, questi, sono decisi a non lasciare nulla. Tutti beni ed eccellenze accumulati con il sudore di milioni di lavoratori italiani, cittadini onesti e di fatto, gli unici che sono stati o si preparano ad essere, “rottamati”. Vediamo ora di che pasta sono fatti “gli eroi a cinque stelle”. Dopo un felice esordio in politica estera, ora si devono attestare nella gola delle Termopili e, legittimati da quanto validamente hanno saputo fare fino ad oggi e, soprattutto da una porzione sufficiente di Italiani che li continuano a stimare e a voler bene, “menare”, “menare” e ancora “menare”, fino a quando i “persiani famelici” non saranno respinti. Ora leggete l’articolo magistrale di Alberto Statera, cogliendo tutti i suggerimenti, impliciti ed espliciti, su Loris Verdini, Matteo Renzi e, soprattutto, Luigi Bisignani. Tutta gente che, da troppi anni, si fa precedere e contornare dall’aurea e “minacciosa” atmosfera, tipica del misterioso mondo dei millantatori pseudo-massonici. Tutta gentarella che campa lautamente, facendo credere, ai gonzi di turno, di essere depositari di chissà quali saperi, poteri e relazioni “rizzomiche” con i “grandi della Terra”. Nessuno di questi è un “massone” perché in Italia non esistono più logge “riconosciute”: le “logge” in Italia sono, di fatto, delle bocciofile (e temo di offendere i lanciatori di “palle”). Non mi risulta che esistano “templi” dove ci si dedichi all’elevazione spirituale. Ritengo, viceversa, che sotto il cielo stellato, ci si facciano solo affari e politica. Cioè, quanto, in loggia, non è lecito fare. Se non fosse così, i frequentatori del potentissimo Tempio dell’Aquila, non consentirebbero la fine storica, civile, culturale, ad esempio, proprio della città terremotata e cannibalizzata da  avidi speculatori e corrotti amministratori. Non mi risulta che così si sia comportato, ad esempio, Ernesto Nathan Rosselli, lui si, “fratello massone” ed ebreo, colto e generoso. Nessuno di questi è “dell’Opus Dei”, perché , a mala pena, la combriccola che si fa ritenere tale, sa quale sia il “camino” che la porta, quando si alza dal letto, fino a dove è solita urinare o defecare. E poi con Papa Francesco che detta la linea mi sembra che ci sia poco da millantare. Nessuno di questi è protetto “dagli Americani”, che hanno ben altre gatte da pelare che farsela con gli italiani (se non quelli a cinque stelle!).

I sussurratori alla Verdini e Bisignani, sono dei banali “cantastorie”, come si è visto quando il “potentissimo” e “inavvicinabile” Borgogni, è stato arrestato: ancora parla. E, ormai…parla da solo. Dei bei tempi andati… in Finmeccanica e negli USA.

Fermiamoci qui. Godetevi Alberto Statera, lui sì “gran maestro” di ironia, di informazioni altamente attendibili e…  senso dello Stato.

Leo Rugens

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Eni, Enel, Poste, Finmeccanica

RICOMINCIA IL VALZER DEI BOIARDI: LE 100 NOMINE DELLO STATO-PADRONE

Alberto Statera

25 gennaio 2014

I Boiardi, grandi aristocratici feudali, sopravvissero in Romania fino agli anni Venti del Novecento, mentre Al Capone-Scarface prendeva il comando del sindacato del crimine a Chicago. I nostri, quei personaggi immarcescibili che si alternano come nella porta girevole di un grand hotel alla guida di grandi imprese pubbliche o semipubbliche e di incomparabili centri di potere para- politici, hanno svoltato senza danni la terza generazione dal dopoguerra e si apprestano a festeggiare il potere intangibile nel nuovo secolo e nel nuovo millennio. Cinquanta? Cento? O, scendendo per li rami dei più doviziosi castelli merlati del potere, addirittura il doppio? Nessuno, neanche il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni che dovrebbe essere il loro principe regnante, sa con esattezza quanti siano, anche perché non sono ben definiti i confini dei feudi che controllano. Quel che è certo è che una coorte di anziani plurimilionari nati nel secondo dopoguerra (quando non nel primo) si appresta a garantirsi una quarta età da magnati feudali nelle grandi imprese e negli enti pubblici. Ma anche in posizioni da favola private o semi-private per accedere alle quali occorre il benigno viatico del principe, la politica che nulla fa e quasi tutto può.

MANOVRE DI PRIMAVERA

La grande campagna-nomine dovrebbe scattare in primavera, ma le manovre stavolta sono più complesse e sono già cominciate alacremente, perché mai l’humus politico in cui si svolgono è stato così stravolto. Enrico Letta regna (?) e la vecchia scuola democristiana è una garanzia, ma Matteo Renzi governa. O almeno questa èla prima impressione che ha dato. Che farà il fiorentino nei grandi feudi? Lui giura che vuol tenersi fuori, come ha detto di aver fatto quando si è posto il problema dell’assetto del Monte dei Paschi di Siena. Ma pochi ci credono. E infatti l’allerta è generale: apparati di pubbliche relazioni, uffici pubblicità, società probabili o improbabili di cacciatori di teste, lobbisti sparsi e faccendieri vari sono tutti al lavoro ventre a terra per sostenere i loro feudatari di riferimento. E, per prima cosa, si tratta di capire come muoverà la nuova armata del giovane fiorentino. Di certo, non lascerà il pallino nelle mani del pisano di palazzo Chigi, avvezzo a quel mondo e ben introdotto nei circoli «networked», di cui lo zio Gianni Letta è tuttora il dominus, anche se un po’ in disarmo. Sarà scavalcato anche sulle nomine dall’altro fiorentino Denis Verdini, che con Matteo Renzi ha un’antica consuetudine, una consuetudine che risale a ben prima della sua elezione a sindaco di Firenze, che l’ex banchiere-macellaio seguì con occhio talmente affettuoso da contrapporgli alle elezioni un avversario quantomeno improbabile?

FIGURINE COSTOSE

L’album degli aspiranti top manager a vita non può che aprirsi con Paolo Scaroni, classe 1946, 67 anni compiuti il 28 novembre scorso (ultimo stipendio conosciuto come amministratore delegato dell’Eni 6,52 milioni di euro) e con Fulvio Conti, classe 1947, 66 anni compiuti in ottobre (ultimo stipendio conosciuto come amministratore delegato dell’Enel 3,948 milioni di euro). Mentre la stragrande maggioranza degli italiani in viaggio verso i settanta è in panchina a giocare con i nipotini e a incazzarsi con Letta e Saccomanni che gli bloccano l’adeguamento delle principesche pensioni, i due anziani stanno lavorando con ottime chances per ottenere il quarto mandato e assicurarsi così una quarta età da ricchi epotenti. Ma quanti dei pensionati che si trastullano con i nipotini, pur professionisti di vaglia, possono dire come Scaroni di essere totalmente intrinseci al pluripregiudicato piduista Luigi Bisignani? Il quale dell’arte delle nomine pubbliche ha fatto un mestiere e distribuisce persino dispense per spiegare come si fa ad ottenerle? «Il segreto — ha spiegato in un recente libro, la cui pubblicazione ne ha fatto un piccolo eroe delle comparsate nella compagnia di giro dei salotti televisivi — è questo: avere l’idea e l’uomo giusto. Poi bisogna far girare il nome in una ristretta cerchia di persone, ognuna delle quali deve farlo suo e riproporlo in una specie di passaparola, ma molto selezionato ». Sì, «ciao core!» direbbero a Roma, dove tutti sanno che per accedere a quei posti bisogna mettere a disposizione fedeltà, favori di ogni genere, ulteriori nomine nelle società controllate, consulenze e tanti soldi. Dicono che l’anziano Scaroni, inseguito da un paio d’inchieste di corruzione dopo la condanna ai tempi di Tangentopoli, stavolta si accontenterebbe di fare il presidente invece dell’amministratore delegato dell’Eni, più o meno il primo grande gruppo industriale italiano. Ma le sue ambizioni sono rimontate dopo l’incrociarsi d’amorosi sensi con Matteo Renzi l’altro giorno nel solito marchettificio Rai di Bruno Vespa. Gli avversari del neosegretario ne hanno inventate di tutti i colori dopo quella performance, ma ben poco credibili, come una presunta affiliazione del papà del Matteo alla massoneria fiorentina, che lo collegherebbe al network scaronian-bisignano. Balle. Renzi non è affatto stupido e sa benissimo che in caso di riconferma di Scaroni e di Conti, non solo Enrico Letta, ma anche lui il Rottamatore, dovrebbe spiegare qualche cosetta. Per esempio perché non si è battuto per rispettare la buona prassi di corporate governance che prevede che i presidenti e gli amministratori delegati non superinomai i tre mandati per consentire l’innovazione e magari quando occorre — e occorre spesso — la pulizia dei bilanci. Da noi, nel pubblico come nel privato, si preferisce la gerontofilia limitando il turn over alla ristretta oligarchia di chi è molto «networked», ha buona relazioni in ogni direzione ed è sperimentato per la sua fedeltà, che spesso andrebbe chiamata connivenza. Non a caso, gli ultrasessantacinquenni ai vertici della classe dirigente italiana sono cresciuti in pochi anni dal 25,2 al 39,3 per cento del totale. E infatti gli Scaroni e i Massimo Sarmi – classe 1948, da dieci anni alle Poste e attuale candidato a tutto dopo che ha deciso di proporsi non più come postino ma come aviatore, ennesimo «salvatore» dell’Alitalia –, o, per restare nei cieli, i Vito Riggio, classe 1947, ex deputato diccì confermato per la quarta volta alla presidenza dell’Ente per l’aviazione civile, non sono che nonni. Mentre i bisnonni — vedi Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti — popolano le grandi banche, governate da quella che Tito Boeri ha battezzato «gerobancrazia».

 

LA PRIMA VOLTA DI RENZI

Rispetto alla flemma apparente di Enrico Letta, Matteo Renzi si muove come una specie di furetto. L’altra sera, dopo una giornata massacrante, si è portato a casa un centinaio di schede di boiardi, boiardini e aspiranti tali o candidati alle promozioni. E a letto si è drizzato sul cuscino quando ha scoperto — guarda un po’ — che decine di loro, hanno stipendi stratosferici, a dispetto del decreto di Saccomanni (che fine ha fatto?) che pone un tetto pari al trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione, cioè 302.937 euro lordi. Sono escluse — i posti più al sole tra i posti al sole — le controllate del Tesoro quotate in borsa, come Eni, Enel, Terna, Snam e Finmeccanica. Haia, haia, la Finmeccanica, che ha prodotto insieme per lustri armamenti e scandali dei più incredibili. I buchi degli scandali sono stati tappati da Alessandro Pansa, nominato amministratore delegato, e da Gianni De Gennaro, ex capo della polizia, presidente. Ci ha messo l’occhio anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano perché l’azienda sta molto a cuore agli americani. E il rinnovodelle cariche, in primavera, sarà forse — Renzi lo sappia — la madre di tutte le nomine. Ha spiegato Bisignani, che si autodefinisce «stimolatore di intelligenze » (sic) che quella è una battaglia «a stelle e strisce», che viene da lontano, da quando De Gennaro, vicino all’Fbi, si scontrava con Nicolò Pollari, più vicino alla Cia. Non è detto che nel prossimo maggio De Gennaro resterà ancora lì, ma mentre per lui il Quirinale prepara destini ancor più luminosi, il destino di Alessandro Pansa naviga nel regno dell’incertezza. Infatti, nel frattempo è atterrato in Finmeccanica un pezzo da novanta. Si tratta dell’ammiraglio Giampaolo Di Paola, ex ministro della Difesa nel governo Monti, messo a capo del comitato per le strategie internazionali. Non sarà lui il vero candidato alla presidenza della holding? E non ci sarà un bel premio per Franco Bernabè, antico consulente di Francesco Cossiga per i Servizi segreti? Per Francesco Caio? O — perché no? — per l’amministratore delegato di Fincantieri privatizzanda Giuseppe Bono?

DAL QUIRINALE

Renzi e Letta si preparino a camminare sulle uova, nel dossier Finmeccanica, che è già più che aperto nei tavoli che contano, oltre che nelle Procure. Tra l’altro c’è una notiziola passata inosservata, ma non proprio ininfluente: pochi giorni fa è entrato in Finmeccanica un nuovo boiardino: Giuseppe Caldarola, classe 1946, giornalista in pensione, ex vicedirettore di Rinascita, su cui scriveva Giorgio Napolitano, ex direttore dell’Unità e deputato per due legislature. Chissà se Renzi, che di peli sulla lingua sembra averne pochi, chiederà a qualche «stimolatore di intelligenze»: «Ma che c’azzecca?». Magari si sentirà rispondere con Vilfredo Pareto: «È la circolazione delle élite, bellezza».