Il “25 aprile”, in Leo Rugens, si onora continuando a cercare la verità e dando la caccia ai nemici della Repubblica, comunque si manifestino
Il 10 settembre 2012 intitolavamo un post: “29°/ La calunnia. Signor Presidente Giorgio Napolitano, con il dovuto rispetto, è ora di rimuovere alcuni “segreti di Stato”, e fare luce su…“. A noi che, dopo di allora, abbiamo scritto altri 1300 articoli, quel 10 settembre 2012 ci sembra una data lontana e al tempo stesso, un testimonianza incontestabile del nostro agire. Il pezzo era dedicato ad un grande del giornalismo investigativo, Giuseppe D’Avanzo che, temiamo, in troppi stiano dimenticando. Rileggere le sue e le nostre parole di allora, in materia di una doverosa rimozione dei segreti di stato, alla luce di quanto le autorità competenti stanno, in questi giorni, annunciando, ci ripaga di tutte le solitudini e delle violenze subite, “nei vicoli ciechi”, in cui, i vigliacchi/e e traditori della Repubblica, aggredendoci, il 14 febbraio 2012, ritenevano di averci lasciato. Vili aggressioni, diffamazioni personali finalizzate ad azzerare e infangare decenni di stile di vita “frugale”. Un’esistenza tutta dedicata al servizio dell’interesse del Paese. L’aggressione di cui sono stato fatto oggetto, fu attuata dagli stessi/e che, evidentemente, aveva costruito la “misura attiva” destinata, nei loro intenti, ad estrometterci dal “grande gioco”. Loro rivelandosi nemici dell’Italia come noi, viceversa, ne siamo fedeli servitori. Orgogliosi di esserlo. Abbiamo scritto, più volte, che non avendo avuto, i traditori della Repubblica e della verità, la capacità di infliggerci la “stoccata finale”, il branco dei leoni e delle leonesse, non solo ruggisce ancora ma ha ripreso la costruzione di quella alternativa culturale necessaria a rifondare il mondo dell’Intelligence italiano. I fatti che sempre di più accadono e i cambi di rotta “degli altri”, ci confermano, nei nostri intendimenti. Le leonesse e i leoni sopravvissuti, sono determinati a fare in modo che il frutto del loro agire – un trentennio di pensiero e di sacrifici – rimanga patrimonio (per quello che vale) della Repubblica Italiana. Respingiamo, ancora una volta, senza eccezione alcuna, rivendicazioni di una qualunque forma di “maternità o paternità” intellettuale su quanto è stato elaborato in questi anni convulsi: ciò che è stato prodotto, nelle strutture, nate e finalizzate a “incubare” il progetto denominato “Intelligence Culturale”, è esclusivo appannaggio, a nostro insindacabile giudizio, della collettività nazionale. E noi ne siamo i custodi. Fino a quando respireremo.
Cortesemente, amici lettori, leggetevi o, rileggetevi, il pezzo di Giuseppe D’Avanzo e le nostre considerazioni, su la materia (il segreto di stato), attuale come non mai. Lui e noi, queste cose, le scrivevamo tanto, tanto, tempo fa. Il resto (le “Laura Caserta”, le “Dorina Bianchi”, le scelte di campo fatte per “intessere amicizie opportunistiche dell’ultima ora”, le calunnie profferite o “consentite” agli estranei e ai nemici di Ipazia) è “noia” e come tale verrà risolto.
Leo Rugens
29°/LA CALUNNIA – SIGNOR PRESIDENTE GIORGIO NAPOLITANO, CON IL DOVUTO RISPETTO, È ORA DI RIMUOVERE ALCUNI “SEGRETI DI STATO”, E FARE LUCE SU…
Giuseppe D’Avanzo è morto e molte delle questioni che gli stavano a cuore, sono rimaste irrisolte. Una di quelle a lui più care, nell’ambito del “segreto di Stato”, riguarda la questione dei comportamenti che Nicolò Pollari si era potuto, per troppi anni, permettere.
Prima di mandare in rete la seconda puntata della presentazione della Scuola di Intelligence ripubblico, come omaggio ad un grande giornalista, un articolo che mi colpì per la forza con cui l’”investigatore” e il cittadino D’Avanzo chiedeva conto di come fosse possibile che un funzionario dello Stato minacciasse sconvolgenti rivelazioni e nessuno, in modo bipartisan, lo affrontasse. In più, in quel pezzo di bravura, D’Avanzo puntò il dito contro Sergio De Gregorio che abbiamo, dopo pochi giorni, visto chi fosse e quali ambienti rappresentasse.
Godetevi la prosa di D’Avanzo.
“Pollari vorrebbe “chiarire” ma può dire la verità al processo di Milano, alla procura di Roma, al Copaco. I parlamentari delIa commissione d’inchiesta sarebbero alla mercé delle versioni di comodo.
La Grande Spia tenta l’ultimo ricatto. Lo scontro esce dai “sotterranei”
di GIUSEPPE D’AVANZO
ROMA – Nicolò Pollari, appena ieri lo spione più amato dalla politica italiana, si dice “pronto a raccontare i misteri d’Italia dagli anni Ottanta ad oggi, nonostante l’atmosfera di regime”. Non si accontenta delle stanze chiuse della commissione di controllo sui servizi segreti (Copaco). Sono troppo protette, dice, e i commissari vincolati alla riservatezza per quel che ascoltano e accertano. Insomma, da quelle stanze lo spione non può parlare “ai cittadini”, come si è messo in testa di fare.
Manco fosse un caudillo e non un funzionario dello Stato che, potentissimo agente segreto, ha lavorato nel “regime” e per “il regime”. Curioso per uno spione, la segretezza è oggi un deficit per Pollari. Egli vuole che si sappia che cosa svela e insinua e manipola (è quel che solitamente gli riesce meglio). Attraverso un bizzarro “portavoce” (il senatore Sergio De Gregorio, che fa lo stesso mestiere per il generale Roberto Speciale) chiede allora la platea più visibile e sensibile, una illuminatissima commissione d’inchiesta parlamentare.
Lo spione sa che ogni iniziativa politica, se agitata nello spazio mediale e con la voce dei media, può fare a meno di autenticità e fondatezza (basta ripensare alle commissioni Telekom Serbija e Mitrokhin). Alle prese di venti deputati e venti senatori che, si possono immaginare, inesperti dei metodi e delle strategie di un’intelligence così controversa, e addirittura non consapevoli della cronologia degli avvenimenti, Pollari avrebbe l’opportunità in prima battuta di scrivere a mano libera il copione. Di graduare, secondo necessità, il potere di pressione e di condizionamento che si è assicurato nel tempo intrattenendo rapporti non convenzionali con entrambi gli schieramenti politici .
Che domande potrebbero fargli i quaranta parlamentari? Dovrebbero soltanto ascoltare la “sua” verità (a Pollari noo piace avere contraddittori), le sue mezze verità e mezze menzogne e, in attesa di definire la fondatezza del suo racconto, un caos fangoso schiaccerebbe ogni possibilità di fare luce. È la condizione che, per il momento, sconsiglia la commissione d’inchiesta, strumento che offre molte opportunità a chi deve spiegare che cosa ha combinato e molte poche a chi deve accertarlo.
Appena l’altro giomo si diceva che il gioco sarebbe stato nelle mani degli spioni e non del Parlamento. E tuttavia chi poteva attendersi che le minacciose intenzioni di Pollari sarebbero venute allo scoperto, con tanta fretta, nell’allusiva forma del ricatto?
L’iniziativa dell’amatissimo spione non è altro. È un chiassoso ricatto che ha il pregio, per così dire, di rendere chiara e concreta qualche circostanza, anche a chi per convenienza o spensieratezza o arroganza finora l’ha negata.
L’”agglomerato oscuro”, legale e clandestino, nato nella connessione abusiva dello spionaggio militare (Sismi) con diverse branche dell’investigazione della Guardia di Finanza (soprattutto l’intelligence business) in raccordo con la Security di grandi aziende come Telecom e il sostegno di agenzie d’investigazione private che lavorano in outsourcing, si è “autonomizzato”. Lavora per sé, secondo un proprio autoreferenziale interesse e non più, come nel passato, al servizio di questo o quell’utile politico, di questa o quella consorteria politica. La scandalosa deformità s’era già avvistata.
Si immaginava però che il ritorno sul “mercato della politica” dell’”agglomerato” con la sua massa critica di potenziali ricatti si sarebbe consumato, come di consueto, in quei sotterranei dove le fragili “power élite” italiane si proteggono, si raffofzano, si difendono, si accordano. L’eterogenesi dei fini ha rotto lo schema. Lo scontro Visco/Speciale ha costretto il governo di centro-sinistra a dubitare del patto di non-aggressione tacitamente sottoscritto con il network spionistico.
Il Consiglio superiore della magistratura, con il documento approvato con discrezione dal capo dello Stato, ha spinto il confine ancora più in là mettendo sotto gli occhi della società politica una minaccia per una democrazia ben regolata. Il ceto politico non ha potuto lasciar cadere, come d’abitudine, la questione e – pur nella diversità degli strumenti da usare – è stato costretto a impegnarsi a fare verità e chiarezza. Pollari, come ieri il fido Roberto Speciale, ha cominciato a vedere davanti a sé un tritacarne e la catastrofe.
Se Speciale ha pensato di salvarsi sollevando un’inchiesta giudiziaria e quindi “giudiziarizzando” il conftitto con il governo, Pollari è stato costretto a venire allo scoperto abbandonando il “sotterraneo” dove si trova più a suo agio. Imputato a Milano e indagato a Roma, è stato costretto a “politicizzare” la sua avventura e il suo destino. Sollecita così, per i canali politici che ancora gli restano, la nascita di una commissione d’inchiesta che gli permette o di far saltare il tavolo o di ridurre al silenzio i suoi critici di oggi (e magari amici di ieri).
Ora è evidente che il ricatto dello spione non può essere accettato. Deve essere accettata la sua disponibilità a testimoniare. Nicolò Pollari dica quel che sa, ma non gli sia consentito di farlo a ruota libera, senza alcuna regola, in un rapporto diretto con l’emotività dell’opinione pubblica, lontano da una pratica che sappia accertare falli e responsabilità prima di giungere a un qualsiasi esito. Ci sono tre sedi in cui Pollari può liberare la sua ansia di verità (si fa per dire). Il Palazzo di Giustizia di Milano, dove è imputato per il sequestro di un cittadino egiziano. La procura di Roma che lo indaga per l’ufficio di disinformazione e dossieraggio di via Nazionale.
Dinanzi all’autorità giudiziaria Pollari (come chiede) può liberarsi del segreto di Stato senza alcuna autorizzazione governativa, perché la Costituzione privilegia il diritto di difesa dell’imputato rispetto al segreto di Stato. Pollari può farlo dunque da subito. Lo faccia. C’è una terza sede, politica, istituzionale. È il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Chieda di essere ascoltato.
Non c’è dubbio che lo ascolteranno di buon grado e con i tempi adeguati. In quel contesto, e con le opportune norme di riservatezza, le sue parole possono essere tenute nel giusto conto, analizzate, verificate.
Il Copaco ha strumenti d’indagine limitati? Non ci vuole molto per rafforzarli (se il Parlamento vuole), ma per intanto il comitato ha competenza e la memoria (si vedrà se la voglia) per discernere, nel racconto di Pollari, il grano da loglio anche con il contributo della documentazione che saprà offrire l’ammiraglio Bruno Franciforte, oggi a capo del Sismi. Sempre che Pollari non si sia portato dietro l’archivio. Addirittura dagli anni Ottanta ad oggi.
(9 luglio 2007)”
Ed io avrei dovuto fidarmi di questa gente?
“Preferisco di no”.
Fino alla morte, per inedia.
Oreste Grani
PS I nostri “Fare luce su…” reclamano da tempo la rimozione del segreto di Stato affinché tutta la verità veda finalmente la luce; il Lettore li può facilmente trovare nel blog, cliccando su ciascun titolo seguente: “18° / La calunnia – Herbert Kappler, una fuga di Stato“; “Herbert Kappler, una fuga di Stato – I parte“;Herbert Kappler, una fuga di Stato – II parte“.