Rino Formica detto “il matto” – A proposito di archivi da aprire: la strage del treno 904 e la politica estera italiana
Il 23 dicembre 1984, intorno alle diciannove, una carrozza del treno “rapido” 904, mentre attraversava la galleria di San Benedetto Val di Sambro, saltò in aria e nell’esplosione rimasero uccisi 17 italiani e orribilmente feriti, altri 267.
Nel Partito socialista, non tutti erano ladri o servi del potere “gelliano”. In particolare modo, il più volte ministro Rino Formica, a pochi giorni dalla strage, confermando la “buona fama” di essere un “diverso”, un matto (cioè un uomo libero), capace di dire atroci verità (Formica è l’autore dell’espressione che riassumeva la politica in “un impasto di sangue e merda”) disse che, con la strage di Natale, l’Italia era stata avvertita con il sangue.
“Ci hanno mandato a dire che l’Italia deve stare al suo posto sulla scena internazionale. Un posto di comparsa, di aiutante. Ci hanno fatto sapere, con il sangue, che il nostro paese non può pensare di muoversi da solo nel Mediterraneo (sempre la stessa storia! ndr). Ci hanno ricordato che siamo e dobbiamo restare subalterni”. E qui veniamo alle dolenti note: queste affermazioni erano vere all’epoca, verissime durante i grandi rivolgimenti recenti in Africa (ancora in essere) e, temiamo, se non si opera con determinazione un cambiamento, anche nel futuro prossimo.
“Noi non abbiamo un sistema di sicurezza nazionale capace di opporsi a questi avvenimenti“, continuò Rino Formica. “I nostri servizi di sicurezza sono inefficienti perché così li hanno voluti gli accordi internazionali. Non difendono l’Italia perché non debbono difenderla. I nostri “servizi segreti” sono funzionali alla nostra condizione di inferiorità”. Il “matto”, come lo chiamavano – rispettosamente –, dentro e fuori il PSI, così parlando, avrebbe dovuto scuotere “chiunque”. Ma non la classe dirigente italiana.
Rino Formica, non era un carneade: era membro della Commissione P2 e, soprattutto, componente del Comitato di controllo sui Servizi Segreti. A seguito di queste affermazioni, ci furono riunioni (apparentemente) tempestose: Craxi era Presidente del Consiglio; il suo Vice era Arnaldo Forlani; Ministro degli Esteri, Giulio Andreotti (il referente politico dell’Anello) e grande estimatore di Licio Gelli. L’unico che si incazzò con Formica, fu Giovanni Spadolini, segretario del PRI, che, da giornalista/storico prestato alla politica, gli fece una sfuriata da “atlantista” offeso. Durante questa riunione drammatica era presente, in veste non minore (era Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio), lo scaltro Giuliano Amato che, udite-udite, se la squagliò (uscì dalla stanza) pur di non sentire, vedere, dire nulla in una materia tanto delicata.
Tutti morti (in senso “politico”) tranne lui che ancora aspira a fare il Presidente della Repubblica. Le frasi di Formica (non di un “matto” come Leo Rugens) descrivevano un Paese senza Strategia di Sicurezza Nazionale. Così era e così è.
Senza un cambio culturale, possibile solo innescando una vera e propria rivoluzione nel settore dell’Intelligence e della ricerca di una strategia geo politica, le “prepotenze” di paesi terzi, sono dietro l’angolo. O “asciutte” o “bagnate” che dir si voglia.
Oreste Grani