Sequestrati 235 chili di cocaina nel “solito” porto di Gioia Tauro
Oggi è il 13 luglio 2015 e Barak Obama ha preso la sua dose di m…a quotidiana da parte dei politici messicani complici, al di là del Muro di GUZMAN EL CHAPO, I CAPO DEI CAPI DEI NARCOTRAFFICANTI EL CHAPO è fuggito da un carcere di massima sicurezza (sic!) scavando un tunnel partendo dal suo vano doccia. Cocainomani di tutto il Mondo state sereni che tutto, come vedete, prima o poi si aggiusta. Soprattutto se EL CHAPO deciderà di trasferirsi, in sommergibile, in Guinea Bissau. Meditate gente, meditate.
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Le agenzie battono la notizie che nel porto di Gioia Tauro sono stati sequestrati 235 kg di cocaina.
Vi sembrerà una quantità enorme soprattutto se si pensa che gli assuntori la comprano a “grammi”.
Eppure, ci si deve chiedere: se ne hanno sequestrata (per l’ennesima volta!) così tanta, ma quanta è quella che “passa” indenne al contrasto delle nostre forze dell’ordine?
Dare dei numeri assoluti è quasi impossibile ma, per aiutarvi, azzardo la cifra di 1000/1100 tonnellate di cocaina (pura) prodotta nel mondo ogni anno. In Europa, di questa produzione, se ne “sniffa” molta tanto che i sequestri complessivi europei (non ci sono solo le elezioni e il maledetto euro che ci uniscono) dovrebbero aggirarsi (proiettando vecchi dati ufficiali) intorno ai 90/100 tonnellate l’anno. Spero vi interessi avere la dimensione del fenomeno e quindi, a grandi linee, conoscere l’implicito potere finanziario dei narcotrafficanti. Non conosciamo la quotazione di “ieri” sul mercato della cocaina che varia da “piazza” a piazza e da momento a momento (dopo il sequestro di questa mattina, ad esempio, può far salire il prezzo e così i conti tornano sempre) ma, una volta tagliata, al dettaglio, può costare da 40 a 60 euro al grammo. A seconda di chi la compra e in che quantità. Oltre ad auto citarci con il post Forsyth, Obama e la guerra, senza quartiere, ai trafficanti di cocaina, vi riportiamo un brano da un libro di qualche anno addietro (Roberto Galullo, Economia Criminale, il Sole 24 ore) per dare il senso ulteriore di cosa siano cifre e difficoltà di questa lotta che, ad oggi, ci appare “impari”.
In una buca in Colombia
A proposito della devastante forza delle cosche calabresi nel traffico internazionale di droga, a fine luglio 2007, tra molte precauzioni, incontro un ex imprenditore, persona intelligente, ex narcotrafficante, ex uomo di ‘ndrangheta. Il suo racconto? Giudicatelo voi.
In una buca dal 17 dicembre 2002 al 14 gennaio 2003, nella foresta sopra Bogotà, ad oltre 3.800 metri di altezza. Senza cibo, prigioniero, con l’accusa di aver “truccato” il gioco. Libero dopo l’intervento di un compagno d’avventura e, infine, grazie all’ambasciata italiana. È la storia di Bruno Fuduli, ex agiato imprenditore di marmi di Zungri (Vibo Valentia), costretto dalla famiglia Mancuso di Limbadi – che lo strozzava con l’usura a tassi del 200% – a entrare nel narcotraffico trasferendosi in Colombia. Non prima di aver subito l’ennesima imposizione: l’assunzione di un membro della cosca presso la sua azienda, la Marmimeffe. Per anni ha collaborato (e bene) con la giustizia, anche se ha lasciato il programma di protezione, deluso dal comportamento dello Stato che – accusa – non lo ha mai reinserito nella società e gli ha restituito da poco 600 mila euro su oltre 6 milioni di danni subiti dalla sua attività economica. Ecco l’intervista che gli feci.
Perché ha accettato di andare in Colombia?
Non provengo da una famiglia mafiosa, ma ero oppresso da debiti, usura, estorsioni e atti vandalici, come del resto accade a chiunque nella zona. in un primo momento rifiutai di entrare nel giro, poi cedetti sperando di risollevare economicamente le sorti dell’impresa.
Come si svolgeva la sua attività in Colombia?
Agivo per conto del clan Mancuso di Limbadi e di un’altra cosca ionica. Trattavo per entrambe le cosche quantitativi, prezzo e modalità di spedizione, che avvenivano attraverso le esportazioni verso la mia impresa. Avevo acquistato la loro fiducia; verso la fine del ’99 avvennero i primi invii, giunti regolarmente a buon fine e registrati dal Porto di Gioia Tauro.
Quanti sono i calabresi che operano in Colombia?
Non meno di duemila. Gente ormai integrata anche con importanti imprenditori italiani del Nord che operano là e talvolta li aiutano nel riciclaggio del denaro. Uomini pronti a tutto: anche a fungere da ostaggio per il buon esito della trattativa sulla droga da acquistare (altro che “garanzie bancarie” per prestiti che non arrivano mai [ndr]).
Quanto guadagnava?
Per circa 1.500 chili di droga mi diedero cinque miliardi, che però servivano a malapena a coprire i debiti che avevo nei confronti del clan Mancuso.
Era una partita di giro.
Volevano entrare nel capitale sociale della mia impresa; allora decisi, a fine ’99, di entrare in contatto con un colonnello dei Carabinieri dell’eliporto di Vibo. Dopo le verifiche del caso entri sotto l’ala protettiva del Ros di Catanzaro.
Che cosa ha guadagnato lo Stato dalla sua collaborazione?
Segreti svelati dall’interno e il sequestro di oltre 4.600 chili di cocaina nei porti di mezzo mondo, a partire da quelli italiani di Gioia Tauro e Salerno. Tutto riscontrabile.
Come l’hanno scoperta?
Credevano che avessi fatto il furbo e mi fossi tenuto una partita di 255 chili, che era stata sequestrata a mia insaputa in Italia.
E allora decisero di fargliela pagare.
Sono stato sepolto in una buca dove ho perso oltre 20 chili. Un narcotrafficante amico mi ha aiutato a fuggire portandomi in un ristorante di Bogotà. Là il Ros, con la scusa di controllare i documenti, mi ha prelevato e mi ha portato in ambasciata. Da lì ho preso il primo aereo per l’Italia, via Spagna.
Sembra un film: come si conclude?
Con l’abbandono dello Stato, che parla ma, come ha denunciato il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, fa di tutto per disincentivare la collaborazione”.
Abbiamo scelto questo brano perché, oltre al Porto di Gioia Tauro, viene citata la quantità di 255 kg. (“… credevano che avessi fatto il furbo e mi fossi tenuto una partita di 255 chili, che era stata invece sequestrata a mia insaputa in Italia”) che ci suona molto vicina a quella dell’operazione di questa mattina: 235 Kg.
Sembrano grandi successi (e lo sono per le condizioni in cui operano le nostre esauste forze dell’ordine) ma se vi siete fatti due conti, è poco meno che una puntura di zanzara per i “grandi capitalisti” che investono nel settore.
Tenete conto che i numeri descritti riguardano solo la cocaina.
Tenete conto che la merce potrebbe aver fatto un lungo giro prima di essere sbarcata a Gioia Tauro.
Tenete conto che la Guinea Bissau, come abbiamo scritto nei nostri post, in data non sospetta, è la base strategica per “intossicare” l’Europa di cocaina ma è anche lo stesso paese citato nelle intercettazioni (rese pubbliche) attinenti la fuga di Marcello Dell’Utri e che coglievano (sante intercettazioni ambientali!), in conversazione, al ristorante, Alberto Dell’Utri e Gennaro Mokbel. Dio li fa e poi li accoppia!
Tenete conto che il groviglio è non poco… “groviglioso” e … “pericoloso”. Solo a parlarne in modo esplicito, si corre rischio. Buona giornata a tutti.
Oreste Grani
PS Ultimo aggiornamento su Bruno Fuduli per la penna di Adriano Sofri… (vedi articolo originale)
Però ci sono figure che passano dalla luce all’ombra in un modo così temerario e abile da lasciare attoniti e turbati. Bruno Fuduli, calabrese, non è il Grande Delinquente, però sì il piccolo uomo che gioca col pianeta perché la sua vita vale zero. Ha fatto tutte le parti in commedia e in tragedia. Eredita la soggezione alle ‘ndrine e le denuncia. Ricade sotto quella soggezione. Diventa l’emissario della ‘ndrangheta in Colombia, si tiene in bilico fra le cosche rivali, viaggia in una quantità di paesi, tratta con le bande militari più spietate, finché decide di averne abbastanza e torna, ormai quarantenne, dai carabinieri. Fa per anni l’infiltrato, consente operazioni imponenti in Italia e fuori.
Ormai fa un triplo gioco, con i boss calabresi, con i colombiani che lo prendono in ostaggio e con carabinieri e magistrati, cui fa capo. Finalmente viene alla luce nel processo, depone guardando in faccia i boss e i narcos colombiani, poi torna nell’ombra. Fino al colpo di scena: lo arrestano e lo condannano a 18 anni per narcotraffico. Era tornato, ancora rischiando la pelle, ai vecchi affari calabresi e colombiani. Prima, durante una manifestazione antimafia, si era arrampicato sulle transenne: “Dove sono i miei soldi? I miei 5 mila chili di cocaina?”. In un’intervista dice: “Non collaborate con la giustizia, vi fregano”. “Ho fatto andare in galera 140 persone, scoprire 5 tonnellate di cocaina, ma adesso li ho mandati affan…”. Gran storia, anche se le mie righe l’hanno striminzita.
L’ha ribloggato su Leo Rugens.
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Bruno Fuduli…ancora ad intervistarlo!
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Alexandros sembra essere un buon conoscitore della complessa personalità di Bruno Fuduli. per noi è solo una fonte a cui attribuire o meno un grado di affidabilità. Nel mio sistema di riferimento anche quando questa affidabilità dovesse tendere a zero, provo, per differenza (e spero di spiegarmi) a tenerne conto. Grazie per l’attenzione.
O.G.
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Vedi sopra. Grazie ancora e buona giornata con il piacere eventualmente di leggerla su questi argomenti complessi e mai abbastanza trattati felici di ospitarla qualora lo volesse fare.
Oreste Grani/Leo Rugens
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Lei scrive ancora su questo blog?
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Gentile Alexandros, scrivo ancora su questo blog in quanto sono io, nel bene e nel male, Leo Rugens.
Se ha piacere o un motivo, faccia il passo e mi scriva. Grazie anticipatamente.
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Magari se mi mandasse una mail sarebbe più comodo
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