Dopo l’ennesima figuraccia (Iraq), il resto del Mondo potrebbe decidere di “tagliare” la carta di credito agli USA
Sono decenni che sentiamo sempre lo stesso racconto: il debito pubblico italiano cresce e questo avviene senza speranza di una sostanziale riduzione futura. Anche se questo non ci deve consolare, siamo in buona compagnia. E lo siamo da decenni. Come noi, infatti, anche gli alleati di sempre, gli USA, durante gli anni ottanta, videro crescere vertiginosamente i debiti di ogni tipo, personali, aziendali e statali. Anche il deficit di bilancio di Reagan raggiunse livelli record. Tenete conto che gli americani, come gli italiani, ad esempio, nel 1960 risparmiavano il 10% delle loro entrate. Tra il 1981 e il 1987 il debito federale raggiunse la cifra totale di 1,4 trilioni di dollari, pari al 150 per cento dell’intero debito contratto nei due secoli precedenti.
Inoltre, in quegli stessi anni (durante gli ’80, i morti furono più di diecimila), si diffuse il virus dell’AIDS e in moto apicale nel 1987 1,5 milioni di americani erano portatori del virus mortale. Ma, come si è visto successivamente, non era questa la vera minaccia incombente sugli USA e sul resto del Mondo. Più diffusa ancora dell’AIDS fu una epidemia di cupidigia e materialismo egoistico che colpì gli Stati Uniti e, di conseguenza, il mondo da loro culturalmente ed economicamente, influenzato. Come la rivista “TIME” riferì nel maggio del1987, “ipocrisia, slealtà e ingordigia turbano l’anima della nazione”. Wall Street assistette a un’esplosione di arresti e di condanne per la compravendita di azioni sulla base di informazioni riservate inaccessibili al pubblico. I predicatori televisivi (già tanto diffusi all’epoca) si trovarono in imbarazzo a seguito di rivelazioni che mettevano in luce episodi di immoralità sessuale (molti degli episodi che successivamente vennero ricostruiti intorno alla problematica della pedofilia e la Chiesa Cattolica americana, maturano in quegli anni) e di giochi sporchi interni al potere “statale”. Rimasero impigliati nella ragnatela della corruzione alti funzionari della Pubblica Amministrazione, tra cui il ministro della Giustizia, Edwin Meese.
I commentatori in quegli anni parlavano di un materialismo compulsivo che animava gli yuppies, giovani professionisti urbani tesi a far carriera a ogni costo. Impegnati nella gara per il denaro, i beni materiali e la posizione sociale (sempre di soldi parliamo), gli yuppies furono gli artefici e le vittime di una ripresa economica che solo pochi coraggiosi economisti seppero spiegare attribuendola tutta alle “virtù ingannatrici della carta di credito”. Poi, il 19 ottobre 1987, l’esattore si presentò improvvisamente alla porta della nazione.
Ma non solo al loro grande portone bussò il “quadratore di conti”, il ragioniere “livella” del capitalismo compulsivo, figlio del denaro di “plastica”. Passo dopo passo, quell’euforia, sarebbe costata cara a tutti i pianeti satelliti e a tutti i loro abitanti/scimmie imitatori maldestri degli yuppies originali. Dicevamo del “toc, toc” alla porta dei euforici neo ricchi in quel 19 ottobre 1987, vero “lunedì nero” della storia del tempio edonistico denominato, “Wall Street”. La Borsa, già barcollante per una settimana di forti ribassi, vide scendere l’indice Dow Jones, in un solo giorno, di 508 punti, pari ad uno sbalorditivo 22,6 per cento dell’intero valore del mercato americano. Il doppio (il 28 ottobre del 1929 la perdita fu solo del 12,8 %) del ben più famoso lunedì nero, degli anni trenta. Svanì, in poche ore, un valore di quasi 560 miliardi di dollari, superiore al prodotto nazionale lordo della Francia del 1987. Con la velocità di un ciclone, durante l’autunno successivo, la frenesia di vendere si trasferì da Wall Street su tutto il mondo capitalistico, facendo crollare i prezzi delle azioni a Tokyo, Londra, Parigi e Toronto.
Mi fermo qui sperando di aver dato un primo spunto di riflessione su come, gli Usa, in perenne su e giù, sembrino, di fatto, vivere “sulle montagne russe” (!), eternamente menefreghisti del proprio destino e di quello degli altri popoli. La Guerra, e l’economia artificiosa che si porta dietro, nelle loro “menti troppo semplici”, è la soluzione di tutto. Finché non arriverà il giorno del “taglio” della loro indispensabile e fedele compagna di vita, detta anche “carta di credito”. “Credito” che, dopo aver combinato il centesimo pasticcio geopolitico (l’Iraq) ritengo che la classe dirigente guerrafondaia, repubblicana o democratica che sia, abbia esaurito.
Incomincia la campagna elettorale negli Stati Uniti d’America e, dal momento che durante quella appena conclusasi europea, non si è discusso un solo giorno di politica estera/planetaria, proviamo a porci, almeno da questo momento in avanti, il problema di quale mondo ci auguriamo.
Leo Rugens
L’ha ribloggato su Leo Rugense ha commentato:
I marines statunitensi tornano in Iraq. Il 15 giugno 2014, ci eravamo permessi di pubblicare il post che ritrovate bloggato. Meditate,gente.Meditate e, possibilmente, agite. Oreste Grani/Leo Rugens
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