Secondo me, caro lettore “murray”, Paul Marcinkus era un personaggio di prima grandezza

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Ho affermato, in un post di questo blog, di aver visto, con i miei occhi (avevo poco più di 20 anni e ammetto, quindi, che le mie capacità a cogliere i dettagli e le implicazioni in quel fascicolo potevano essere relative) la documentazione che era sotto intesa ad un’inchiesta giornalistica sulla Pro Deo, annunciata nell’ultimo numero che fu editato del settimanale “Nuovo mondo d’oggi” e che non fu mai pubblicata. Il rotocalco (sempre ben informato), usciva da qualche anno nelle edicole, grazie al lavoro sinergico di una anomala coppia di editori  (in realtà ho sempre avuto il dubbio che si trattasse di un trio) costituita da tale Leone Cancrini che si mormorava essere un usuraio (solo più tardi scoprii che era lo zio dell’inaffondabile Arturo Diaconale, attuale editore/direttore dell’Opinione) e dallo sconosciuto, a quei tempi, Carmine Mino Pecorelli, avvocato con la vocazione per una qualche sorta di “giornalismo investigativo”. Eravamo nel biennio 1966/67.

La documentazione a cui faccio riferimento la potei leggere, di nascosto da Mino Pecorelli che la custodiva gelosamente in un armadio, nei suoi uffici di via Tacito 50, mentre svolgevo il mio primo lavoro di “sorter umano”: impaginavo, a mano, andando avanti e indietro lungo un tavolo ed infine spillandola, quella che sarebbe divenuta l’agenzia di stampa più famosa d’Italia. La retribuzione era semplice (60.000 lire al mese) ma il “beneficio” era che, per ovvi motivi attinenti alla mia semplicissima attività lavorativa manuale, leggevo tutto “per primo” e soprattutto, avevo il “privilegio” di vedere i lanci della agenzia, in versione “riservatissima”, prodotta per una lista esclusiva di personaggi scelti tra quelli che più contavano, in quel momento, nel Paese. Ebbi modo così di apprendere che, spesso (quasi sempre), negli avvenimenti politici ed economici, esisteva un “doppio livello” di lettura (ha ragione la specialista in materia, Stefania Limiti) rispetto alle modalità con cui venivano resi pubblici. Questa modificazione genetica della notizia poteva avvenire fino ad essere gli eventi o l’informazioni (già di per se riservati), “censurati” o “modificati”, a seconda delle finalità che l’editore si poneva. Lessi quindi la documentazione relativa allo scandalo denominato “Pro Deo” due anni dopo il suo “non uso giornalistico” mentre lavoravo ad OP o, per l’esattezza, come si chiamava in quella data, Osservatorio Politico Internazionale. Questo, infatti, era il nome dell’agenzia prima di esordire in edicola come settimanale.

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Quando OP divenne settimanale, con distribuzione in edicola, io avevo, da tempo, lasciato quell’ambiente lavorativo. Ricordo comunque, come nota “sociologica” che, negli indirizzari dell’agenzia riservata, non c’era nessuna donna se non la signora Anna Bonomi Bolchini. Le donne, evidentemente, formalmente, prima del ’68, non contavano nulla e servivano solo ad altro. Niente donne quindi e i destinatari dei sussurri, direbbero i Bisignani di oggi, erano scelti, con dei criteri che giovane in addestramento quale ero, mi sfuggivano nelle loro logiche. Un caso per tutti: la lettera riservata “OP”, consegnata, ogni sera, brevi manu dal cugino di Pecorelli che lavorava con noi a via Tacito 50, in veste di factotum, andava a Sereno Freato e non ad Aldo Moro. Freato era, notoriamente, la persona di fiducia di Aldo Moro. Così le richieste di abbonamento andavano a lui e non allo statista pugliese. Le differenze (di ruolo) tra Freato e Moro, mi furono chiare solo anni dopo (1978), quando Moro fu sequestrato dalle Brigate Rosse e la famiglia dello statista, affranta dagli avvenimenti, non volle neanche parlare con Freato. Dicevo dell’inchiesta sulla Pro Deo e della chiusura repentina del settimanale Nuovo mondo d’oggi. Torno su questo argomento solo per rispondere, implicitamente, ad un anonimo lettore di Leo Rugens (murray) che mi suggerisce di non dare troppo valore alla figura di Paul Marcinkus che, a suo dire, è stato personaggio minore nelle vicende italiane. In storie nere come la pece infernale (Pro Deo, IOR, Banda della Magliana), ritengo, per tutti, estremamente difficile pesare, con il bilancino del farmacista, quante responsabilità si debbano attribuire ad uno o all’altro criminale. Sono certo, in questo caso, però, di quanto ho affermato, in altro post, e ribadisco oggi: Paul Marcinkus nel suo agire quotidiano, non serviva la Chiesa di Roma né una sua eventuale vocazione sacerdotale. Era solo un uomo intelligente, vizioso, prestante, al soldo (e che soldo!) di interessi riconducibili, ad un paese terzo che, ritengo di non sbagliarmi, fossero gli Stati Uniti d’America. Era un agente poco segreto. Punto e basta.

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Queste attività di affari e di spionaggio del rugbista/sacerdote avvenivano attraverso il coordinamento di una mente culturalmente raffinata e capace di tenere in rapporto strutture operative quali la CIA (servizio che ebbe, qui a Roma, durante quegli anni, non pochi capi stazione e ambasciatori responsabili delle attività destabilizzanti il nostro Paese); la terra di mezzo, rappresentata dall’Università Pro Deo e guidata sostanzialmente da Padre Felix Morlion; l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno diretto, all’epoca, da Umberto Federico D’Amato. Diciamo quindi che, se si vuole aggiungere a questo già sufficiente trittico, la relazione oggettiva con la loggia massonica Propaganda 2 e la malavita organizzata che, in quegli anni, a Roma assumeva la forma della così detta Banda della Magliana, un “pentagono” quindi, mi sembra che come coordinatore, smistatore, garanzia di cassa, riciclatore nello IOR di denaro proveniente da rapine, spaccio di droga, bische e prostituzione, ne passa e ne avanza, per considerare Paul Marcinkus, una figura di prima grandezza. Lascio fuori tutto il divertente e dettagliato racconto della bella (all’epoca) e scaltra Sabrina Minardi che, senza essere di fatto veramente mai smentita in questi aspetti delle sue memorie, non solo racconta le sue (come le chiama lei) “scopate” con l’energico monsignore rugbista ma anche e soprattutto, il macroscopico giro di contanti che la disponibile (sessualmente) ragazza consegnava, da parte della Banda della Magliana, proprio a Marcinkus, nelle famose (autentiche) borse di LOUIS VUITTON. Borsa tipo quella che Papa Francesco si porta sempre dietro, non fidandosi mai di nessuno. A parte la voluta scherzosa “inesattezza” sulla borsa Vuitton di Papa Bergoglio, tutto il resto è autentico, secondo la classificazione di Leo Rugens, compreso l’attività sessuale che la “corriera” del criminale Renatino De Pedis svolgeva, con mezza Roma potente dell’epoca.

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La Minardi ha sempre sostenuto, ad esempio, di essere stata l’amante perversa di Roberto Calvi (Banco Ambrosiano/IOR e altri), fino a pochi mesi dal suicidio/omicidio londinese del banchiere. In questi grovigli (sesso, droga, potere e criminalità), tenete conto che la Minardi era stata anche la moglie del calciatore della Lazio, Bruno Giordano, figura a sua volta discussa di calciatore, per motivi etici e giudiziari legati alle scommesse sportive. Il Giordano era cresciuto nel cuore di Trastevere, per l’esattezza tra Piazza dei Renzi e piazza San Cosimato, zona dove sua sorella (tra l’altro anche amica della Minardi) si dilettava a fare la rapinatrice, usando una  FIAT 500, con il tetto apribile. La ragazza terribille, a sua volta tossicomane, con particolare destrezza (usciva dal tetto aperto della vettura) depredava le vittime, spesso stranieri in vacanza, affiancandole, nelle strette vie trasteverine e poi, sparendo, dileguandosi nei vicoli e in qualche compiacente garage della zona. Tutta gioventù (la meglio) che, tra uno scippo, una pera e una scommessa sulle partite sicure, faceva parte, di fatto, della Banda della Magliana, chiamata impropriamente così ma in effetti più frequentata da criminali testaccini e trasteverini che provenienti dalla Quartiere della Magliana. Questo fiorellino, questo giglio, questa pura e ingenua adolescente (la Minardi) “la dava”, nello stesso periodo, certamente a Roberto Calvi, a Renato De Pedis e a Mons. Marcinkus. Senza aver frequentato l’accademia del sesso della STASI, la Minardi riusciva ad essere, contorta e cerebrale (quanto bastava) con il banchiere; preferita dal rude Marcinkus, scelta proprio perché non si tirava indietro di fronte alle richieste dirette e spudorate del maxi atletico religioso; fedelissima nel trasporto dei contanti in Vaticano che le venivano affidati dal capo dei criminali (Renatino, quello opportunamente gratificato, dopo morto, con la sepoltura in luogo santo) che spargevano droga e sangue in tutta Roma. Tutto questo, senza addestramento e maniacale disciplina teutonica come una qualunque allieva di Marcus Wolf. Genialità e improvvisazione latina, italiana, popolaresca trasteverina! A voi sembra normale tutto questo bordello a cielo aperto? A voi sembra legittimo aver dissanguato, per decenni, le casse dello Stato italiano per favorire tutto questo putridume?

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Immaginate che strano paese era l’Italia e la sua Capitale con il Vaticano tenuto in pugno da trafficanti di valuta (accertato); da sempre affamati virili monsignori, a caccia di ragazzette spregiudicate (accertato); da preti pedofili sempre pronti a strumentalizzare, con il dio denaro, fanciulli (accertato); da altri monsignori cocainomani (accertato); da altri monsignori sempre disponibili a dare coperture per affari immobiliari (accertato). Ditemi se non si deve, con tutte le forze possibili, oggi proteggere Papa Bergoglio e il suo voler fare “piazza pulita”, dopo tanti anni di tutto questo girone dantesco? In attesa, anche noi, come Stato, di fare i conti e riprenderci, un giorno, il mal tolto. Non dimentichiamo, inoltre, i delitti perpetuati in Vaticano (il triangolo svizzero, ad esempio) rimasti senza reali spiegazioni. La Minardi ha sempre sostenuto che le trame sataniche (l’espressione è mia ma, tanto orrore, nella Chiesa di Cristo, non riesco ad attribuirlo ad altri se non all’opera sapiente di Satana) coinvolgevano, oltre che Marcinkus, i cardinali Agostino Casaroli e Ugo Poletti. Non sta a me dire quale peso questi personaggi abbiano avuto in Eurasia, durante gli anni della Guerra Fredda. Immagino solo, qualora fossero vere le cronache dei festini di cui ci parla la Mingardi, come ci sguazzassero, in tante debolezze e in tali vizi, gli uomini della Stasi (DDR) e gli “accademici” della HVA (Scuola di spionaggio e controspionaggio) addestrati dal gran maestro di “penetrazioni sessuali”, Marcus Wolf, detto Mischa. Di certo sappiamo che Renato De Pedis è sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare! Punto. È sepolto li per disposizione del Cardinale Poletti. Punto. Il resto, come dicono a Roma, sono chiacchiere.

Ma veramente vogliamo continuare a lasciare ai Gianni Letta, ai Luigi Bisignani, ai Giancarlo Elia Valori cioè ai catto/massoni (per non parlare dei Legionari di Cristo o degli avanzi di Comunione e Liberazione) o ai loro nipotini, la rifondazione di relazioni culturali e politiche, tra l’Italia e lo Stato Vaticano, necessariamente basate, dopo tanto schifo (scopata in più o meno, metro di coca in più o in meno, borsone di valute stipate o meno) su una nuova stima e sulla condivisione di valori etici quali Papa Francesco predica? Forse è ora che si aprano le tombe e gli archivi di Stato. Di entrambi gli Stati. Forse è ora che tutti i personaggi, di qua e di la del Tevere, sia pur sfiorati da quelle storie, vengano allontanati. Come Papa Bergoglio, si prepara a fare.

O, ancora una volta, come Italia, vogliamo rimanere indietro? Mentre, forse, lo sapete, dalle nostre parti, si dice… “nessuno sia lasciato indietro”.

Oreste Grani/Leo Rugens