La Rivolta di Reggio Calabria: il primo Kiwi non si scorda mai. Così come la vista, dal vero, dei Bronzi di Riace.

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Il primo kiwi della mia vita l’ho mangiato colto nel giardino di una splendida villa (così la ricordo), a Taurianova, nel cuore della Locride. La Villa era della Famiglia Genoese Zerbi. Il ricordo di Taurianova è quello di una cittadina per come mi si presentò, in quella prima occasione di visita: rare le superfici che non recassero i segni di uso di armi da fuoco. Il degrado non si limitava (parlo di decine di anni fa) ai buchi dei proiettili infissi nei portoni delle case ma ad un stato generale di trascuratezza, diffusa in quasi tutta la città, di natura tale e così grave, che non avevo mai visto. Oltre ai libri che trovai, bellissimi e rari, nella biblioteca di quella casa, mi aggrappai al segno vitale rappresentato da quella esperienza “agroalimentare” per non deprimermi, in modo sproporzionato, rispetto alla mia gioventù d’allora: un frutto mai visto e mai mangiato prima (non era ancora esplosa la moda alimentare e l’importazione dei kiwi), bello e misterioso, con quel suo disegno frattalico, nero e verde, che appare una volta sbucciato e tagliato a metà. Pensai che una terra che sapeva produrre un frutto così unico, non doveva temere per il proprio futuro. Oltre ad un kiwi, in quel giardino colsi e mangiai un lychee, frutto ” cinese” profumato di rosa. Pensai che una terra che sapesse riservare tali sorprese era benedetta da Madre Natura e che la criminalità si sarebbe, prima o poi, arresa, davanti a tanta bellezza e salubre bontà. Mari, monti, kiwi, lychee, libri e grande ospitalità. Mi sembrò, ingenuamente, una formula sufficiente per sconfiggere tutti i “sequestratori” di riccastri che in quegli anni infestavano l’Italia e la Calabria, in particolare. Mi strasbagliavo. Da allora, quando penso alla Calabria dove, negli anni successivi a quella prima incursione, sono tornato molte volte, mi ritrovo sempre più frustrato nelle mie speranze giovanili.

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Anzi, mi faccio vecchio e nulla cambia, in quelle terre, se non in peggio. Veniamo alla confessione del giorno che, come tutti sanno, toglie il medico di torno: nonostante tutte le implicazioni “oscure” che si portò dietro, ho nostalgia della Rivolta del ’70 e di una gioventù calabrese capace di mettere, a ferro e fuoco, Reggio, per mesi e, così facendo, ribellarsi a Roma. So bene, quanto ci fosse di ambiguo in quella rivolta “spintanea” ma pensare la terra che per prima mi offrì i colori del kiwi e la sua vivificatrice vitamina C, in mano agli uomini della ‘ndrangheta dove, alla fine, i delinquenti sono Giocchino Genchi, Luigi De Magistris o Agostino Cordova, mi riesce veramente insopportabile. Ancor più insopportabile mi riesce il pensiero dell’intreccio politica e criminalità, mille volte – quasi inutilmente – denunciato da Nicola Gratteri. Ancora più insopportabile (fin dove posso “salire” nell’insopportabilità?) è l’idea che ancora una volta si andrà a votare per eleggere il Governatore della Calabria (uscirà un qualunque Agazio Loiero o un Chiaravalloti Giuseppe qualunque) mentre, non so chi, è riuscito a rendere “inamovibili” i Bronzi di Riace, impedendone il trasporto a Milano, per l’Expo 2015. Unica idea vivace, in tanto piattume previsto per la “fiera milanese” nota, per ora, al mondo, per gli arresti e le appropriazioni indebite, Se la gente di quella terra che vide agire – da re “moderno – Ruggero I°, Tommaso Campanella partorire la Città del Sole, Mattia Preti e Umberto Boccioni imparare a dipingere, Corrado Alvaro a pensare e a scrivere, avesse ancora una sia pur larvata speranza di riscatto, in occasione di questa idiozia della presunta intrasportabilità dei Bronzi, doveva emulare (questa volta a buon ragione), la rivolta del 1970 e continuarla fino a quando il burocrate di turno non fosse stato piegato alla volontà popolare, obbligandolo a portare i “guerrieri”, sia pur in carrozza e tutte le prudenze del caso, a Milano. Così facendo, finalmente e “orgogliosamente”, mostrarli a qualcuno. Oltretutto, pagante. Incassando, finalmente, denaro legittimo (oltre che con le solite melanzane, fichi, soppressata e caciocavallo) mettendo in mostra quelle meravigliose prove delle abilità artistiche e del pensiero antico mediterraneo. In questi anni, perché i Bronzi nessuno li vedesse, li abbiamo lasciati in balia di paranoici/fobici, nemici della Calabria, che si spacciano per donne e uomini di cultura, impiegati di uno Stato latitante, non solo contro la criminalità, ma che aspetta solo queste occasioni per battere un colpo e fare la voce grossa. Gente senza dignità, senza memoria, senza altra capacità se non quella utile a fare piccole carriere locali. Tredicesima e TFR compresi. In questa occasione, neanche l’ndrangheta a fatto sentire la sua voce, confermando che si tratta di individui senza altra prerogativa che quella di saper esercitare la violenza e il ricatto contro povera gente già vessata e sfruttata dalla politica partitica, locale e nazionale. La ‘ndrangheta ha altro da fare che pensare al bene della Calabria. Ve lo do io il ragù di capra, capre ignoranti, tutte e tutti, violentatori e violentati, questa volta, direbbe bene, Vittorio Sgarbi. Che, ho capito, si è battuto inutilmente, perché i Bronzi, patrimonio dell’Umanità, fossero “trasportati” e mostrati all’Expo 2015.. Mostruosamente belli, come sono.

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Oreste Grani/Leo Rugens

P.S.

Nel post, ho evocato la “Rivolta di Reggio” del ’70 e, a questo proposito, aggiungo altre considerazioni.

Un’era fa, una donna intelligente (Adele Cambria) scrisse, per il n.° 34 del 1970 del settimanale L’Europeo, un pezzo/reportage (che riproduco) certamente anticonformista e scevro degli stereotipi che, in quei momenti, connotavano la “Rivolta di Reggio” come una cosa esclusivamente “nera”. Certamente lo fu ma non si trattò solo di quello. All’epoca, in pochi, potevano cogliere il significato di quanto oggi affermo: quella di Reggio, fu una rivolta voluta e fomentata dalla massoneria “calabrese” che aveva, in quegli anni, in alcuni membri delle famiglie Genoese Zerbi/Contestabile, un crogiolo di pensiero politico/filosofico/esoterico tale da influenzare e indirizzare gli avvenimenti locali, nazionali ed internazionali. Basti pensare al primogenito, marchese Carmelo Genoese Zerbi (tessera P2 n° 159 – Stati Uniti), commercialista professionalmente legato ad ambienti, tanto complessi e di vertice delle istituzioni politiche finanziarie dell’epoca, da aver inventato lui, per quella gente, il metodo che era alla base dei trasferimenti di capitali all’estero. Erano suoi clienti i 500 di quella lista che la GDF cercava il giorno in cui fece irruzione a Villa Wanda, residenza sontuosa nelle disponibilità di tale Gelli Licio. Da quella perquisizione e da quel mancato ritrovamento, nasce il Caso P2. La magistratura cercava la lista dei 500 miliardari che depauperavano il paese e trasferivano, “al sicuro”, i loro bottini. Carmelo Genoese Zerbi era il fulcro di tale meccanismo già all’epoca in rapporto non solo con tutta la crema della P2 ma con i fratelli Alberto e Marcello Dell’Utri tramite il “pasticcio della Venchi Unica”. Carmelo Zerbi, dopo essere emigrato/riparato a San Diego, in California, USA, chiuse gli occhi quale Console Onorario d’Italia, in quella città. L’altro fratello, Fefé Genoese Zerbi, ad onor del vero, fu il sostanziale promotore dei moti di Reggio scoppiati, anche “spontaneamente”, in quell’estate del ’70. Troppo semplice e insufficiente sarebbe stato il pensiero politico e l’agire del capo popolo, Ciccio Franco. Carmelo e Fefé furono figli (in una famiglia composta di altri nove fratelli e sorelle, alcuni di destra, altri di sinistra) della marchesa Contestabile, donna cultrice, tra l’altro, di quel pensiero che alcuni fanno risalire agli antichi saperi mediterranei ed, in particolare, all’Egitto alessandrino. Molti dei libri che mi affascinarono, in quella visita a Taurianova, appartenevano alla biblioteca personale della marchesa Contestabile, successivamente, Genoese Zerbi.

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