È arrivato il tempo di dare vita alla realtà dell’utopia per la convivenza pacifica tra israeliani e palestinesi
A pag. 63 del libro “Illogica di un conflitto – La logica fuzzy applicata alla crisi tra Israele e Libano” Eurolink editori, che non mi stanco di consultare, si legge, sotto il capitolo dedicato agli israeliani, ai palestinesi e la loro reciproca paura.
Fin qui gli autori Facchinetti, Franci, Mastroleo, Pagliaro, Ricci. Ora proviamo ad aggiungere qualcosa soprattutto alla luce della notizia che il Corriere della Collera ha pubblicato “ANTONIO DE MARTINI – ISRAELE, LA CARICA DEI 106. UNA FORTE INIZIATIVA DI PACE PRESA DAL FIOR FIORE DEI MILITARI SU UNA PROPOSTA ARABA CONCRETA“. È tempo di pace. È tempo di avere il coraggio di volere la Pace. È tempo di stupire il mondo con un improvviso scoppio della Pace, a Gerusalemme. Che la pace non sia “pacifica” e richieda l’esplorazione probabilmente più difficile e conflittuale tra le aree di ricerca, è una costante affermazione e convinzione che si fa tutt’uno con la riflessione e la messa in pratica di azioni di corto e ampio raggio, necessarie a dare corpo a tale ricerca.
Con questa posizione di studio e di azione, volta ad analizzare e comprendere le buone ragioni dell’altro, tesa all’utopia e aderente alla realtà, è arrivato il tempo di raccogliere la sfida che nel 1993 fu lanciata da Luigi Pagliarani e che così oggi si può sintetizzare: c’è una sfida nelle cose, nei rapporti umani, in quelli internazionali e anche in quelli interpersonali e intrapsichici che, a saperla cogliere, potrebbe aiutare a realizzare la “realtà dell’utopia della convivenza pacifica tra i popoli”. Una sfida che dovrebbe portare a studiare che cosa sono psicologicamente la guerra e la pace, dal momento che “le guerre iniziano nella mente degli uomini” prima di diventare – successivamente – un’istituzione sociale. La necessità di prendere consapevolezza dei fenomeni profondi che generano la guerra è un atto di responsabilità; consapevolezza e responsabilità vanno insieme. Un gruppo dirigente politico o militare che non agisse con consapevolezza e responsabilità, non andrebbe considerato “dirigenza” e, come tale, non dovrebbe essergli riconosciuta leadership e “legittimità di comando”.
Questa della legittimità di comando, ad esempio, sarà materia di insegnamento nella Scuola per Operatori di intelligence culturale ideata per “addestrarsi alla sofisticata arte del ritirarsi” di cui da tempo vi accenniamo tra le righe di questi post. La complessità di un ragionamento sulla guerra e la pace si apre ad una riflessione ulteriore che forse permette di comprendere che è opportuno che le parole rilevanti per una ricerca che voglia essere appropriata non sono solo due, “pace” e “guerra”, ma tre: pace, guerra, conflitto. Per cercare di evolversi da un approccio normativo e praticare la ricerca e l’azione basata su un’educazione “sentimentale”, è importante considerare la guerra come elaborazione patologica e insana del conflitto.
L’iniziativa messa in atto dai 106 militari (molti generali) israeliani, ci suggerisce che è arrivato il tempo di “velocizzare” la nascita della Scuola, nella sua versione di luogo d’addestramento, aperto ai civili e a quella gioventù italiana che, eventualmente, sentisse forte l’attrazione per tale professione, in spirito di servizio e di missione.
Oreste Grani/Leo Rugens
PS:
Luigi Pagliarani conosciuto anche come Gino Pagliarani (Rimini, 1922 – Sorengo, 2001) è stato uno psicologo e giornalista italiano. Fu il padre fondatore della psicosocioanalisi italiana (PSOA), disciplina volta alla comprensione degli aspetti inconsci e conflittuali nello sviluppo degli individui, dei gruppi umani e delle istituzioni.
Nasce e cresce a Rimini in una famiglia di sentimenti antifascisti, dedita alla conduzione di una pensione turistica. Suoi compagni al liceo classico sono Sergio Zavoli e Federico Fellini, del quale soprattutto resterà amico per tutta la vita.
Durante la seconda guerra mondiale inizia a frequentare la facoltà di filosofia all’Università di Bologna, diviene comunista, viene reclutato e, dopo l’8 settembre 1943, subisce l’internamento in Germania nelle file degli Internati Militari Italiani. Su questa esperienza nell’immediato dopoguerra scriverà dei racconti, che pubblicherà solo nel 1995 (Amore senza vocabolario, Racconti del lager 1943-1945, Guerini e Associati).
Rientrato in Italia si laurea, a Rimini dirige la locale Pro-loco, si dà al giornalismo, a L’Unità si occupa delle pagine culturali.
Dopo i fatti di Ungheria abbandona il PCI e la professione giornalistica. Riprende l’interesse che aveva fin da ragazzo per la psicologia, si avvicina al gruppo di Gaetano Kanizsaall’università di Trieste e per alcuni anni si occupa di ricerca qualitativa sui comportamenti di consumo.
Conosce Franco Fornari, con cui intraprende una psicoterapia individuale, per poi collaborare con lui ad esperienze di studio e di sensibilizzazione culturale sul pericolo atomico e la gestione del conflitto (Gruppo anti-H e ISTIP, Istituto di Polemologia), nel corso delle quali studia e inizia a diffondere l’opera di Elliott Jaques, psicoanalista canadese allievo diMelanie Klein e fondatore della socioanalisi presso il Tavistock Institute of Human Relations di Londra.
Con il ’68 alterna attività didattiche nelle università di Milano e Trento a numerose esperienze in gruppi e associazioni professionali (tra cui il CIS, Centro Individuo Società e l’AMAG, Associazione Milanese di Gruppo-analisi).
A partire dagli anni settanta elabora un approccio multidisciplinare che caratterizzerà la sua maturità intellettuale, affiancando la pratica della psicoterapia individuale e di gruppo e la supervisione agli interventi di consulenza e formazione in aziende multinazionali.
A cavallo tra gli anni settanta e ottanta ripensa e rinnova la socioanalisi ridefinendola come psico-socioanalisi, dà vita, insieme ad un gruppo di allievi tra cui Ugo Morelli, alla “Cooperativa di psicoterapeuti e formatori” e poi, ad ARIELE– Associazione Italiana di Psicosocioanalisi, che lascerà alcuni anni dopo, mantenendo comunque un rapporto, critico e creativo, di collaborazione.
I temi che, nei diversi periodi della sua vita, hanno alimentato il pensiero e la prassi professionale di Luigi Pagliarani sono numerosi e ricorrenti nel tempo. Fondamentale è la dimensione “politica” (nel senso della polis, della partecipazione alla cosa pubblica) nell’esperienza umana individuale e sociale. Nella sfera individuale, centrale è il tema della creatività e della progettualità (derivanti dalla condizione di figlio – il puer – che mantiene per l’intera esistenza la tensione alla propria realizzazione, o telos), poi proseguiti daMorelli nei suoi lavori accademici. In ambito organizzativo, la leadership e le forme funzionali e difensive di esercizio del potere. A livello delle dinamiche sociali, nella polis, lo studio del conflitto visto quale soluzione elaborata e matura dell’eterna contrapposizione tra pace e guerra.
Tra i meriti di Luigi Pagliarani va ricordata la valorizzazione di autori di orientamento psicoanalitico al tempo poco conosciuti quando non addirittura dimenticati, sia della cosiddetta “generazione di mezzo” (Sandor Ferenczi, Michael Balint e soprattutto Wilfred Bion), sia della scuola argentina (José Bleger ed Enrique Pichon-Rivière).
Costante è stato in ogni caso lo sguardo aperto al confronto interdisciplinare e capace di integrare le teorie e le prassi psico-sociologiche con la filosofia, la letteratura, la poesia (frequenti e approfonditi i riferimenti soprattutto all’opera di Fedor Dostojevskij, Robert Musil o Paul Valery).