“Accendere (sic!) l’entusiasmo dei nostri dipendenti è il nostro fine”. Tyssen Krupp. Siamo al colmo con questi tedeschi e con i loro complici italiani
“A scanso di equivoci, faccio qui riferimento a pratiche effettive di RSI (Responsabilità Sociale d’Impresa), non alle vuote declamazioni retoriche che spesso accade di registrare. Per limitarmi ad un esempio recente (quando l’autore di questa riflessione la rende pubblica, siamo, evidentemente, nei primi giorni del 2008 perché la rivista – Paradoxa – su cui vengo espresse, è datata, ottobre – dicembre 2007, cioè, sette anni fa – ndr), tristemente balzato agli orrori della cronaca, la multinazionale tedesca della siderurgia, Tyssen Krupp – che ha acquisito lo stabilimento di Torino dall’IRI nel 1994 – da anni ha avviato un piano di RSI controllato da due fondazioni di impresa a carattere filantropico.
“Accendere l’entusiasmo dei nostri dipendenti è il nostro fine” – così si legge nel sustainability commitment della multinazionale. Eppure, in tredici anni, questa impresa non ha adottato quei sistemi di sicurezza che avrebbero certamente evitato la tragedia umana del dicembre 2007.
Lo stesso dicasi di Enron (proprio loro! ndr), vincitore nel 2000 – l’anno precedente il suo colossale fallimento – del premio americano per il miglior bilancio sociale.
Nel “Rapporto 2000 sulla responsabilità sociale” di Enron, si legge:” Noi vogliamo lavorare per promuovere il rispetto reciproco con la comunità e i portatori di interessi che sono toccati dalla nostra attività.
Noi trattiamo gli altri come vorremmo essere trattati noi stessi”. Una frase, quest’ultima, che suona veramente sinistra.
Fin qui, Stefano Zamagni, all’epoca Professore di Economia politica presso l’Università di Bologna e professore aggiunto presso la Johns Hopkins University. Presidente dell’Agenzia per le ONLUS italiane.
Chiacchiere e fatti, dice – giustamente – Zamagni. Aggiungiamo noi: la Tyssen-Krupp, non solo non è stata punita come si doveva nell’episodio di Torino, ma viene trattata, ancora adesso, in guanti bianchi, nella vicenda di Terni e dello spegnimento progressivo dell’acciaieria italiana. Chi copre, in Italia, i tedeschi di Cermania? Chi prende la “stecca” dai questi ipocriti? Chi fa picchiare i nostri concittadini sfruttati, ormai lo sappiamo. Rimane di sapere a chi appartengono le altre manine.
Ma dove sono finite le famose “toghe rosse”?
Oreste Grani/Leo Rugens