Questa sera Milena Gabanelli ri-dedica una puntata del suo Report alla questione irrisolta del MPS. Giustamente
Questa sera, domenica 23 novembre, Milena Gabanelli metterà al centro della puntata di “Report” il proseguo della “telenovela” del MPS, vicenda che – certamente – non è da considerarsi conclusa con le tre indulgenti condanne inflitte a Mussari, Baldassari, Vigni. La città, dai tre e da altri ancora da individuare e punire, è stata azzerata e saccheggiata e le condanne sono miti se non irrisorie. Per colpa del Trio Lescano (e non solo loro ovviamente) una banda di termiti, per anni, ha divorato la banca più antica del mondo. Siena è e dovrà continuare ad essere un caso nazionale. Meglio ancora, come dicevo prima che scoppiasse il bubbone, un caso di Sicurezza Nazionale. Nella puntata di Report, sentirete, giustamente, un cittadino intervistato preoccupato della sorte sostanziale dei tre colpevoli. Il cittadino senese esorta a vigilare perché, alla fine, non si risolva tutto in una bolla di sapone dove gli unici condannati, riavuti i passaporti, se la possano andare a godere dove più gli aggrada, dopo essere passati, telematicamente, a ritirare i soldi a suo tempo ben nascosti. Certamente, non è finita la storia del drammatico suicidio di David Rossi. Certamente non è finita la storia para-massonica (in realtà semplicemente una storia “para-cula”) di Stefano Bisi e della Mens Sana; certamente sarebbe doveroso continuare ad indagare su Gustavo Raffi e sulle consulenze legali che Giuseppe Mussari gli faceva conferire relative ai contenziosi della Banca; sarebbe onesto continuare a chiedersi chi fossero “gli amici della birreria” e che ruolo abbia avuto Denis Verdini nella scelta del candidato fantoccio Alessandro Nannini quale sindaco di Siena, nella primavera del 2011; sarebbe ancor più interessante sapere quanto è girato sui conti personali attivi presso il MPS di Silvio Berlusconi e qualcosa intorno all’origine del suo primo amore per il MPS. Parlo dell’occhio di riguardo che la Banca dei Paracul-Massoni, ha sempre avuto per lui e per i suoi c/c.
A forza di scrivere di paraculi senesi, per spiegarmi la matrice di tale groviglio bituminoso, mi viene il dubbio che antiche pratiche sessuali sodomite, peculiari di quegli ambienti e radicate nei secoli scorsi in Toscana, potrebbero essere state mantenute quali vivaci e tormentate abitudini amorose. Non mi annoiate con l’accusa di omofobia perché non si tratta di questo (ognuno può fare ciò che vuole nei letti e fuori dai letti) ma non quando si ricoprono cariche pubbliche. Immaginate se scoprissimo che, a un certo punto, la città più bella e più ricca d’Italia, ha pagato il prezzo dell’attuale rovina morale ed economica, per colpa di una travolgente passione amorosa un giorno fatidico spentasi. Immaginate lo choc di apprendere che tale passione cessata di esistere improvvisamente si è trasformata in gelosia e invidia; e poi, degenerando, movente per aggredirsi, tirarsi i ciuffi di capelli, graffiarsi le guance. Espressioni quest’ultime metafora di lotta politica e per il potere, senza mezzi termini. Il tutto mentre a far le spese di questo ribaltamento passionale erano gli ignari cittadini senesi e milioni di Italiani. Spesso nella vita reale queste cose sono accadute e continuano ad accadere. La differenza è che se è accaduto, a suo tempo, tra esponenti responsabili della cosa pubblica senese, da una storia di banale sodomia, passo dopo passo, ripicca dopo ripicca, si è arrivati all’attuale disastro. Con la sincera speranza che il pensiero diabolico che mi si è insinuato nella mente (a forza di parlare di paraculi potrebbe essermi successo), non solo non abbia alcuna consistenza ma sia soltanto figlio del mio rancore per come, noi di Ipazia, siamo stati traditi a Siena, in quella maledetta primavera del 2011. Oltretutto, traditi da dei paracul-gattopardi con lo scopo dichiarato di far eleggere una nullità quale era il “Ceccuzzi Franco” ma in realtà perché “nessun estraneo al giro” entrasse nella Fondazione bancaria che regolava la vita e la morte della città. Se, alla fine, tutto questo fosse una storia di gelosia fra ex amici, ex compici (non solo nell’amministrazione della cosa pubblica ma anche a letto), tutto mi sarebbe più chiaro e, paradossalmente, perdonabile.
All’amor, come tutti sanno, non si comanda. Neanche alla gelosia, ovviamente. Come ben sanno gli italiani di origine siciliana o, peggio ancora, calabrese.
Oreste Grani/Leo Rugens