Le espulsioni e il travaglio nel M5S nascondono ben altri sensi di colpa e responsabilità politiche: quella sera di primavera del 2013, qualcuno diede l’ordine a Beppe Grillo di non arrivare a Roma
Da mesi evidenziavo (ricordandolo) che Beppe Grillo avrebbe dovuto avere il coraggio di arrivare a Roma quella sera quando migliaia di cittadini erano determinati a trarre le conseguenze politiche dalla fresca vittoria elettorale. Il nuotatore in solitario (aveva da poco traversato lo Stretto di Messina), non ebbe il coraggio di guidare “la resa dei conti” con la Partitocrazia nonostante avesse dalla sua la maggioranza degli Italiani unitisi democraticamente intorno ai nomi di Stefano Rodotà e di Beppe Grillo.
Solo gli “archivi” dedicati a questo tipo di comportamenti, scelte solo apparentemente inspiegabili, un giorno, aperti e consultati, ci consentiranno di sapere chi (Casaleggio, a sua volta “sussurrato” da chi lo conosce meglio di noi?) suggerì/impose, con fermezza, a Giuseppe Grillo da Genova, di non arrivare a Roma. Tutto ciò che è accaduto in Italia e, in parte rilevante, in Europa successivamente, è frutto di quella “viltà politica e militare”. È inutile oggi porsi il problema di cosa stia succedendo nel M5S. Esso ha cessato di esistere quella sera e ha solo svolto, da quel momento in poi, funzione di diversivo. Se si esclude il Caso Shalabayeva, e poche altre spontanee attività di alcuni onesti (lo sono tutti e questo aumenta il disappunto/dolore per la grave dispersione di risorse in atto) cittadini eletti al Parlamento e nelle istituzioni locali, tra poco, di quell’atto di rivolta consapevole che era stato il voto di 9 milioni di persone, rimarrà un pugno di mosche. Forse è doveroso cominciare a chiedere alla rete o a chi ne sappia qualcosa, perché quel pulmino, quella sera di primavera, non arrivo mai. Fu l’ultimo aprile di Majakovskij che poi, non a caso,in aprile si suicidò? Temo che sia stato così.
E lo scrive uno che, per anni, non solo aveva seguito i ragionamenti del bravissimo attore genovese ma che aveva osato (la semi oscurità della sera mi crea, per la malattia che mi colpisce, grandi difficoltà di deambulazione e di capacità di stare tra la folla) scendere in piazza, recandomi, anch’io, a Largo Chigi, davanti al Parlamento Repubblicano, sentendo la gravità dell’ora. Non mi sbagliavo! Era un appuntamento importante, decisivo e, certamente, l’attore protagonista aveva in dovere politico e morale di arrivare e mostrarsi sul palcoscenico. Quella sera rimanemmo tutti (compresi i servi di scena e di camerino categoria a cui appartengo) orfani nell’ora stessa in cui ritenevamo di aver trovato una nuova famiglia. Temo che tanta solitudine e disperazione, seguente all’atto di viltà, non possa che essere humus di gesti insani. I primi, già in essere, sono quelli relativi ad espulsioni e scomuniche. Il resto sarà sicuramente peggio di quanto quella sera poteva accadere.
Oreste Grani/Leo Rugens