Mancano case? Non ci posso credere! Tranquilli, mancano, come al solito, per i fessi e “gli ultimi”

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In questi giorni sento raccontare un sacco di cazzate su occupazioni, case popolari, gente disperata senza luce se non quella che decide di rubare, senza acqua, se non quella di cui si appropria. Per mia fortuna sono vecchio e di cose ne ho viste tante. Quando dico che le ho viste vuol dire che ne ho avuto contezza personalmente. Da sempre la mia passione è la controinformazione e l’attendibilità delle fonti. Oggi vi fornisco io uno spunto su la tragedia del non aver casa e del vedere i propri figli senza un vero tetto confortevole. Il testo che segue è preso dal libro vattelapesca (ma è mai esistito un tale libro?) il cui autore si è coperto dietro lo pseudonimo “Robin Hood”. Quello che rubava ai ricchi per restituire ai poveri.

“A Milano le baracche di latta e cartone sono quasi scomparse, ma sopravvivono i centri-sfrattati e migliaia di abitazioni antiigeniche, prive di servizi, grondanti di umidità, con canoni d’affitto sempre più alti. (Ma in che anno siamo?ndr).

La demolizione delle catapecchie viene rallentata dal continuo arrivo di nuovi immigrati che la grande industria (ma in che anno siamo dal momento che a Milano c’è ancora la grande industria? ndr), canagliescamente, (ma come parla questo?ndr) continua a chiamare a Milano.

I centri-alloggio per operai sono veri lager (esagerato! ndr) con regolamenti assurdi: non si possono bere alcoolici (fin qui quasi sono d’accordo! ndr), vietato giocare a carte, ricevere i parenti e gli amici (cominciamo ad esagerare! ndr), ospitare qualcuno per la notte.Tantomeno ragazze, femmine, donne. A ogni ora i sorveglianti possono perquisire le  stanze (forse siamo a San Vittore e non lo sapevo! ndr), rovistare nei cassetti. Inoltre funziona il coprifuoco.  All’una tutti a letto e la luce elettrica viene erogata dalle sedici del pomeriggio alle otto del mattino seguente (cazzo che spreconi! ndr). Altri baraccati si possono trovare alla periferia della metropoli e e vivono in condizioni di estrema indigenza. Sono operai che guadagnano al massimo 90/100 mila lire al mese e arrivano a spendere 40 mila lire per un appartamento schifoso, in case senza servizi (ma va là direbbe l’avv. Ghedini ndr), con un gabinetto ogni quindici famiglie. (Questo non credo, direbbe Crozza-Razzi ndr).L’assegnazione delle case popolari va al rallentatore. (Loro sì che erano fortunati: già c’avevano la moviola. ndr). Di fronte a questa situazione, a diecimila famiglie milanesi (quante sono oggi? ndr) non rimane che la guerriglia della casa,cioè lo sciopero degli affitti, l’autoriduzione del canone. Per altre ancora più disperate, la occupazione degli alloggi. La magistratura (udite, udite !ndr) ha dato ragione agli operai che occupano le case popolari in costruzione: avevano pagato i contributi GESCAL e avevano diritto alla casa. (Comincio a capire: c’erano dei lavoratori che avevano versato i contributi perché chi di dovere costruisse le case per quei coglioni dei lavoratori che avevano pagato i contributi. L’Istituto Autonomo Case Popolari, invece di costruire alloggi economici, costruisce appartamenti con tripli servizi da decine di milioni l’uno.; come, ad esempio, in via Tibaldi. (Ripeto per i distratti: un operaio, senza mandare la moglie e le figlie a battere o a spacciare droga, guadagnava 90.000/100.000 lire al mese. ndr). Si tratta di case a riscatto, edificate su un terreno pagato con i contributi dei lavoratori che i lavoratori non potranno mai possedere, visti i prezzi e viste le paghe. In quel momento (era il giugno del 1971 e, spero, cominciate a capire su cosa vi voglio far riflettere. ndr), a Milano, di “case popolari ” per ricchi ce ne erano in abbondanza. In questo quadro si inserisce l’occupazione dello stabile di via Tibaldi, lo sgombro e la morte del piccolo Massimiliano Ferretti, di sette mesi, morto per freddo, pioggia e lacrimogeni in abbondanza. Giustamente (!) i reparti di polizia e carabinieri avevano fatto rispettare la legalità che vedeva l’Istituto Autonomo Case Popolari (roba, sin d’allora, cattocomunista ndr) voler fare, con i soldi degli operai, quello che più gli conveniva. Caricati sui pullman, dopo che 2000 uomini delle forze di polizia avevano provveduto a farli uscire dagli alloggi occupati, 220 fra operai, donne e moltissimi bambini, vengono minacciati di foglio di via verso il Sud. Erano tutti terroni di merda, circondati e strattonati da poliziotti e carabinieri, in massima parte meridionali. Lasciati liberi, dopo la minaccia dei fogli di via, i 220 sono stati inseguiti dalle forze dell’ordine nella Facoltà di Architettura dove gli studenti  avevano indirizzato i senza casa. Nell’Ateneo, i poveracci che pensavano che pagando i contributi Gescal si avesse diritto ad una casa, vengono arrestati. Tutti. Più un po’ di studenti e professori.

Del tira e molla che ne segue e della morte del piccolo Massimiliano Ferretti, vi parlerò domani che è domenica, giorno del Signore. Scelgo di parlarvene domani perché il vero protagonista del proseguo della storia è un sacerdote: tal don Fernando Tagliabue.

Oreste Grani/Leo Rugens

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P.S.

Dopo poco tempo da questi e da altri accadimenti, un numero impressionante di giovani, a Milano e in Italia, impugnò (in una ventata di follia) le armi e cerco, da veri sprovveduti, di fare giustizia di tanta ingiustizia. Forse è ora di fermarsi a riflettere sugli errori del passato e a ricordare come è andata veramente quella storia della violenza giovanile.


“LA BALLATA DI VIA TIBALDI” – Anton Virgilio Savona

Erano in tanti venuti a Milano
per sopravvivere, e per lavorare:
e si erano accampati in vecchie catapecchie
anche pagando la GESCAL
Ma un giorno seppero che in via Tibaldi
coi contributi pagati da loro
facevano una casa, ma solo per i ricchi
di quelle con i tripli servizi.

Evviva l’Italia! L’Italia dei santi,
dei grandi poeti e dei naviganti.

Quando una voce nei ghetti operai
disse: « Prendiamoci quello che è nostro »
la casa fu occupata in segno di protesta
contro i padroni e la GESCAL
Chiusi lì entro con donne e bambini
dandosi aiuto alla meglio tra loro
provvidero alla mensa dell’ambulatorio
fintanto che scoppiò un pandemonio.

Evviva l’Italia! L’Italia dei santi,
dei grandi poeti e dei naviganti!

Furono presi da circa duemila
baldi ragazzi della polizia
dovettero sloggiare col solito ricatto:
minaccia di foglio di via.
Si ritrovarono in mezzo alla strada
con i più piccoli stretti sul petto,
la pioggia quel mattino veniva giù a dirotto
Si seppe poi che un bimbo era morto.

Evviva l’Italia, …l’Italia dei santi,
dei grandi poeti ..e dei naviganti.

Gli uomini che erano capo famiglia
furono tutti portati in questura
Le donne ed i bambini di quei poveri cristi
dovevano andare agli ospizi
E fu così che i compagni studenti
li accolsero tutti ad Architettura
Ma per i poliziotti non era il luogo adatto,
di nuovo, fu sferrato un assalto.

Evviva l’Italia! L’Italia dei santi!
Dei grandi poeti, e dei naviganti!

Furono tutti “con garbo” scacciati:
donne, bambini, studenti e docenti
trattati con riguardo coi gas e i manganelli
di via Fatebenefratelli
Dopo due giorni tornarono ancora
e la battaglia fu ancora più dura
Braccati per le strade, stipati in cellulari
e poi, uno per uno, schedati.

Evviva l’Italia! L’Italia dei santi
dei grandi poeti, e dei naviganti..

Di quel bambino che era crepato
e all’obitorio tenuto in attesa,
data la notizia che il padre, guarda caso,
era un bandito, un evaso…
Ma dalla stampa fu poi precisato
che quell’evaso in fondo era buono
con lettera firmata aveva dichiarato:
– Dai rossi sono stato incastrato –

Evviva l’Italia! L’Italia dei santi,
dei grandi poeti, e dei naviganti.

Dopo si seppe la giusta versione
che venne dalla controinformazione:
si seppe che il messaggio fu scritto dalla mano
di un prete o di un parrocchiano…
E venne a galla che quel poveretto
fu ricattato e a firmare costretto
gli dissero: « Ti diamo la casa ed il condono
a patto che tu firmi e stai buono »

Evviva l’Italia.. L’Italia dei santi..
dei grandi poeti.. e dei naviganti.