Leo Rugens non si sbagliava sulla “complessità” di un politico troppo potente quale, finalmente, risulta essere Goffredo Bettini

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Raramente Leo Rugens sconfina nella volgarità. Almeno, a noi, così sembra. Uno dei giorni in cui temiamo di aver passato il limite del buon gusto è stato il 25/5/2014 in occasione della pubblicazione del post Qualcuno, da giorni, digita, nell’amica rete: “Goffredo Bettini Thailandia”. Cosa vorrà mai sapere il richiedente?, dove, sia come immagini scegliendo la pancia enorme di GB ed i realistici falli realizzati in prezioso cioccolato lussenburghese  (in Belgio oltre al miglior cacao del Mondo c’è anche la sede del Parlamento europeo) che come espressioni lessicali, ci spingemmo un po’ oltre e, di questo, ce ne scusiamo con in nostri soliti quattro lettori. Ci scusiamo delle allusioni volgari (compreso quella al Belgio e, quindi, al Parlamento Europeo dove siede, appunto, l’eletto dal popolo italiano Goffredo Bettini) ma non dell’espressione “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. O, “zampone”, che dir si voglia. Veniamo al nostro compiacimento.

Bettini

A credere alle intercettazioni, quell’immenso concentrato di grasso e di potere che risponde al nome di Goffredo Maria Bettini Rocchi Camerata Passionei Mazzoleni se la faceva con i neo-mafiosi romani. A credere alle intercettazioni – raramente – fino ad oggi ci si è sbagliati. Dopo anni di esperienza, grazie alle tecnologie “alla Genchi” (tabulati intelligenti ed autoapprendenti) e alla “Carro Monitoring della Famiglia Pirinoli” (capacità di filtrare i rumori fino a far emergere/isolare le voci che si vogliono sentire), tende a zero la cattiva interpretazione di quello che si sente dire quando si ascoltano i sospettati. Certamente, ci sono molte millanterie che vengono dette per telefono ma non sta ai tecnici dipanare il groviglio di natura psicologica tra quanto il cittadino attenzionato dice di vero, di falso o di autentico. Questo è compito e responsabilità del magistrato inquirente. Ma, se di millanterie dobbiamo ragionare, è opportuno ricordare quanto – in molti – hanno sentito dire, dal vero e senza elettronica in mezzo, dalla vocina costumata del suddetto tricheco rispetto a chi, dopo Sbardella, a Roma, avesse il controllo di quanto avvenisse, politicamente ed elettoralmente, nella Capitale. La stessa Roma che i PM, scoprono essere in mano ai Carminati e ai Diotallevi. La millanteria deve essere quella, quindi, di Goffredo Bettini che nelle ore successive all’esito dei voto europeo (25 maggio 2014), infastidito dal fatto che alcuni compagni di partito (il PD fino a prova contraria) non l’avevano fatto votare, gridava, in modo inequivocabile, e in pubblico, tutto la sua incazzatura rispetto al supposto tradimento. In quella occasione, fu l’elefante marino thailandese Goffredo Bettini che sosteneva di essere “er più di Roma” dopo lo scontro (vincitore) avuto con lo “squalo”, negli anni ruggenti . Questo è sancito da fonti aperte altamente attendibili. Secondo noi (che Sbardella lo abbiamo conosciuto), per battere lo “squalo”, uno, o era “Maciste nella valle dei re” o, più “gangster” di lui. Terzo non è dato. Tenete conto che Vittorio Sbardella è stato, sia pur indirettamente, il maestro di tutti i Carminati, gli Alemanno, i Mancini, i Gramazio di Roma. Sbardella usava il denaro ma anche le mani (le sue e quelle dei camerati pugilatori allevati nella palestra – al Prenestino – diretta e gestita da Angelino e Daniele Rossi) per fare politica e intimidire gli avversari, prima che molti di quelli che oggi sembrano dominare la città, nascessero. Sbardella, che la silfide Bettini dice di aver piegato, usava anche gli esplosivi per “comunicare” con gli avversari politici (fin dagli anni ’60) e i suoi sodali e compagni di fede, non mancavano solo di un occhio, come il “guercio” Carminati ma, nel caso di Mario Gionfrida detto “er gatto”, addirittura di una mano, perduta proprio durante il lancio di una bomba a mano, durante un assalto agli avversari di cui sopra. Gente dura, difficile da piegare, se non si era altrettanto robusti. Per gli smemorati: Sbardella consentiva a Salvo Lima (ucciso dalla Mafia), di tenere il proprio domicilio romano presso il suo studio/comitato elettorale d’affari. Eppure, con un tipo così, Goffredo Maria Bettini Rocchi Camerata Passionei Mazzoleni dice d’averci giocato a “rubamazzo”, battendolo. Ma chi cazzo è questo Goffredo Bettini?

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Finalmente si può cominciare a dare soddisfazione a quei cittadini/navigatori del web che, per mesi, hanno chiesto informazioni sulla nobile balenottera, per sapere se si andasse o meno a sollazzare in Thailandia. E noi che intercettavamo (ma come parliamo e scriviamo?) le curiosità elettroniche (con questo vogliamo banalmente dire, a scanso di equivoci, che le domande su Bettini finivano nel data base del nostro blog) eravamo restii a rispondere perché, degli osceni gusti sessuali del “er più del PD, ex PCI di Roma”, non ci interessava un bene amato… “nulla” e, soprattutto, non ne sapevamo nulla. Chiaro? Viceversa, eravamo interessati (e lo abbiamo scritto prima di chiunque altro) al fatto che, con quella mole e quella cultura politica, fosse tra quelli che spingevano – “da dietro” – Matteo Renzi. Do you remember the post? Ma in mano a chi stiamo? A Goffredo Maria Bettini Rocchi Camerata Passionei Mazzoleni, spingitore di Matteo Renzi. Eravamo preoccupati, non della virtù sessuale del Premier (che non è in discussione) ma, del fatto che, se si fosse venuto a sapere che era spinto, da dietro, da uno che, fuori da metafora, aveva rotto il culo (politicamente) a Sbardella, sempre di un tipaccio doveva trattarsi. Di questo eravamo preoccupati. Come lo eravamo, a suo tempo, del fatto che il fascistone/lenone Lele Mora frequentasse la casa di Silvio Berlusconi, non in quanto mandrillo (Berlusconi) affamato  di giovinette ma, a quei tempi, anche Capo del nostro Governo. Era un problema di dignità e di (usiamola – finalmente – la parola!) sicurezza. Tutto questo bordello e questi grovigli intorno al denaro pubblico, pongono, prioritariamente, un problema di sicurezza. Il Capo del Governo (lo ripetiamo ancora una volta) è il Capo dei Servizi Segreti. Quando, senza vergogna, si sentono gli attuali balbettanti ex concorrenti alla “Ruota della Fortuna”  provare ad assimilarsi ai padri fondatori della Repubblica, si ricordassero che Attilio Piccioni, vice presidente del Consiglio, delfino di Alcide De Gasperi, destinato quindi alla guida della Democrazia Cristiana degli anni cinquanta, si dovette dimettere da tutti gli incarichi solo perché suo figlio, Gian Piero, musicista di Jazz in forza alla Rai, in arte Piero Morgan (non si inventa nulla!) era stato oggetto di una vignetta dove si vedeva un piccione che volava via con un reggicalze nel becco e con la sola dicitura esplicita “Sparì come un Piccioni viaggiatore”. Erano le prime ore di quello che passò alla storia come il “Caso Montesi”. Successivamente, Piero Piccioni, alias Morgan, risultò completamente innocente, eppure suo padre decise non di fare un passo indietro ma di dimettersi, sostanzialmente e per sempre, dalla scena politica. Non si trattava di foto come oggi vediamo immortalato un ministro con Lucianone Casamonica ma di una semplice vignetta sul settimanale satirico “Merlo Giallo”. Tenete conto, per chi crede nei fili sottili che non si spezzano, che il giovane che trovò la povera Wilma Montesi, si chiamava Fortunato Bettini. A differenza di cosa ha fatto il nostro (cioè il politico a vita), quel Bettini faceva l’operaio edile ed era “al mare” perché lavorava alla costruzione di una villetta propri sulla riva. Del mare di Ostia e non e non di quello thailandese.

Torniamo all’elefante marino di nobile casato.

elefante marino spiaggiato australia

Non sappiamo se risponda al vero o meno (non sta a noi) che i “servizi ” avessero seguito il politico romano fino in Thailandia dove ha una dimora in riva al mare e lì lo avessero fotografato in atteggiamenti equivoci. Siamo, più semplicemente, preoccupati che l’attuale Capo del Governo italiano – Matteo Renzi – oltre a usufruire per le spese di partito, soldi “equivoci” (come ormai è certo) versati nelle casse del suo comitato elettorale permanente denominato PD, durante le cene (anche queste, come quelle di Arcore, eleganti e innocenti) dai gangster, veniva sostenuto politicamente da un tale monumento allo “strapotere romano”. Vediamo quindi, prima di spegnere i riflettori sulla”mafia a Roma, banalmente, se questi neo mafiosi “de Roma”, dicono cazzate quando raccontano che si incontravano con Gianni Letta e quando asseriscono di aver passato soldi a Goffredo Bettini. O, comunque, di frequentarlo.

Oreste Grani/Leo Rugens che, ancora una volta, ci mette la faccia e non solo quella.

P.S. Le millanterie dei miles romani sono scontate per cui ci fermeremmo (per essere più garantisti del sempre presente Sansonetti), ai bonifici bancari e alle dichiarazioni personali fatte in pubblico per arrivare a descrivere il clima consociativistico criminal/partitocratico che vige in Italia.  Perché, come è descritto, con dovizia di particolari, nel libro (più volte citato) di Alberto Statera “Il termitaio”, la Capitale è infetta ma la provincia pure. Come insegnano gli ultimi vent’anni di malaffare e  quel poco di repulisti che si è potuto attuare.

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P.S. al P.S.: se sentite il racconto (fatto poche ore fa ad Omnibus) da Renata Polverini sulle modalità con cui i gangster che controllavano le assegnazioni degli appalti a Roma avevano organizzato dei “picchetti” per impedire agli imprenditori di presentare le domande per le gare, non vi sorprenderete del perché il dottor Raffaello Cantore, giustamente preoccupato, segnala che gente, dall’aspetto normale, lo ferma, per strada e gli chiede “di arrestarli tutti e poi di alzare le forche”.

La gente ferma per strada il Garante anti corruzione e lo esorta “ad arrestarli tutti”? Finalmente! E lui, che capiamo imbarazzato, risponde, da giurista democratico quale è, che non si possono arrestare “tutti”. Forse pensa che siano troppi i catturandi e che non ci sarebbero posti a sufficienza nelle carceri già sature? Si sbaglia. Ci sono le caserme, sia quelle in uso che quelle in dismissione. E a questa soluzione drastica, che la gente esterrefatta vuole alludere. La gente pensa ad un “colpo di stato buono” dove, in poche ore, rigorosamente all’alba, l’Interforze (carabinieri/polizia/gdf) chiuda la partita e poi si ragiona, con calma, di cosa fare di questa groviglio bituminoso e putrescente. Soluzione drastica ma sempre meno cruenta di quella (paradossale) suggerita da Giorgio dell’Arti nel suo “I nuovi venuti“. Dove i golpisti uccidono tutti i politici e umanità varia. È ora di fare scelte, prima di trovarci di fronte all’alternativa del Diavolo (morti e feriti o morti e feriti) come insegna il maestro Frederick Forsyth.

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