PERCHÉ I FRANCESI E GLI SPAGNOLI DOVREBBERO FIDARSI DEGLI STATUNITENSI E DEI TEDESCHI?
“Ero sempre più disgustato del mio mestiere (si tratta di un brano preso dalle memorie di un agente segreto “spagnolo” e gli episodi sono tutti realmente accaduti e le circostanze (quasi) tutte vere/autentiche ndr.) e questa complicità tra fascismo e comunismo (siamo alla fine del 1970 ndr.) mi rivoltava e mi confondeva le idee: come riuscire a distinguere le canaglie peggiori, e in che cosa credere? In questo stato d’animo mi raggiunse la notizia dell’invasione armata della Repubblica Democratica di Guinea.
La Guinea: un paese che aveva scelto la propria indipendenza contro la Francia nel 1958, che nonostante i propri legami con l’Est si era rinchiuso in se stesso, nella dittatura un po’ megalomane del suo leader Sékou Touré. Ma la Guinea si proclamava antimperialista e progressista, e soprattutto aveva una frontiera comune con la Guinea portoghese, colonia in lotta contro le truppe di Salazar, dittatore a Lisbona. Il 22 novembre 1970, navi non identificate avevano sbarcato delle truppe in Guinea. Sono nazionalisti guineani, si gridava a Lisbona e a Madrid, patrioti che vogliono liberare la loro terra dal regime di Sékou Touré. Sono fascisti portoghesi che aggrediscono un paese indipendente, si gridava in Guinea e nelle manifestazioni della sinistra europea (vi rendete conto che nel 1970 si facevano manifestazioni nelle capitali europee per la politica interna di un lontano paese come la Guinea? Vi rendete conto che il sottoscritto ha assistito in Italia nel 1963 a delle manifestazioni – anche violente – per la situazione di politica interna del Congo? ndr). Ero a Madrid, preoccupato. Ben presto mi accorsi che i guineiani in esilio rappresentavano soltanto una piccola parte del corpo di spedizione. Si trattava davvero di un’invasione portoghese, organizzata dal generale de Spinola. Iservizi segreti americani e tedeschi dell’Ovest, CIA e BND, appoggiavano l’operazione. Gli invasori furono respinti, ma io, nauseato da queste manovre del “mondo libero”, andai a portare le prove dell’intervento tedesco e americano al fratello del presidente Sécou Touré, di passaggio a Bonn.Poco dopo, appresi che la CIA e il BND preparavano altri interventi in Africa,allo scopo di scalzare l’influenza francese in Nigeria, nel Dahomey, nel Senegal. (Come vedete, lo “scazzo” a scacchiera, cominciato decenni addietro ed è ancora in corso. Meditate gente. Meditate! ndr).
Conoscevo bene questo genere di cose; avevo preso parte anch’io, da vicino o da lontano, a trentadue (!) azioni dello stesso genere. Di tutti questi piani, il più avanzato era quello relativo al Dahomey.
La CIA e il BND si accingevano a informare il presidente Maga di un falso complotto che avrebbe minacciato il suo potere. In realtà essi volevano semplicemente attirarlo in una dimensione assurda (coinvolgendo alcuni membri del governo ingiustamente accusati), creare disordini e incolpare i francesi (cominciate a capire perché dalle parti di Parigi non si fidano troppo degli USA, dei suoi servizi Segreti e in particolare modo di quello denominato CIA? ndr) decisi di avvertire il presidente Maga.
Mi presentai all’ambasciatore del Dahomey a Bonn e gli raccontai tutta la storia. Disdetta: l’ambasciatore del Dahomey a Bonn era anch’egli un corrispondente dei servizi segreti tedeschi. Venni arrestato e processato a porte chiuse: accusato di essere una spia russa fui condannato a cinque anni con la condizionale. Libertà vigilata, alla mercé degli agenti del BND e degli altri. Oltretutto, i servizi tedeschi in quella occasione tentarono di “riciclarmi”.
Era troppo. Il 4 luglio 1971 inviai a Madrid una raccomandata nella quale comunicavo con estrema fermezza le mie dimissioni. (dai Servizi segreti spagnoli del Col. Blanco, ndr)
Quindi telefonai al BND coprendolo di insulti.Meno di un’ora più tardi la polizia fece irruzione nel mio albergo. Scappai dalla porta posteriore e mi precipitai in stazione. C’era un treno in partenza per Basilea: l’indomani mattina arrivai in Svizzera e passai inosservato davanti ai doganieri, tra la folla dei frontalieri, rigorosamente senza bagaglio, senza passaporto,e, soprattutto senza soldi. Fortuna volle che incontrassi un conoscente marocchino.telefonò al generale Oufkir e due giorni dopo mi ritrovai in Marocco. Il generale Oufkir era mio amico.“
Faremo continuare questo racconto (che forse i molti già conoscete ma non è detto che lo ricordiate) nel tentativo di mostrare come, da molti anni, l’ Africa (e non solo), sia “campo di battaglia” che vede divisi francesi, tedeschi, americani, inglesi, belgi, spagnoli, russi, turchi, italiani, cinesi, indiani, israeliani, sudafricani, sauditi, di volta in volta, l’un contro l’altro armati o, alleati con i “locali”. Comunque, come stiano messe la Nigeria, le varie Guinea, e il Dahomey/Benin – per cominciare, – penso che lo sappiate tutti.
In molti si sono dati da fare per ridurre gli africani – sostanzialmente – a una massa critica di ammalati di AIDS, malaria, ebola, pronti ad impugnare le armi pur di mangiare, pronti a fare “vite sofferte” con il miraggio di racimolare il denaro per “la grande fuga” andando a cogliere ciò che il mare offre a ciascun uomo cioè, una nuova occasione.
Oreste Grani/Leo Rugens