È cominciato il torneo di Backgammon (Il gioco della vita) ma non tutti hanno capito quale sia la posta in premio
Il Gen. Umberto Repetto questa mattina, ad Omnibus La 7, versione domenicale, riporta al centro del dibattito, come lui solo sa fare (papillon compreso!), il problema dei problemi della attuale guerra contro non si sa chi e che non consiste nel circoscrivere allo scontro/caccia con i quattro, i venti, i cento islamici (sfigati o meno), che in queste ore irrompono sulla scena (spettacolo?) della guerra di religione (?) intitolata “Jihadisti contro il resto del Mondo” il problema ma, prioritariamente, nella difesa (se a questo siamo ancora interessati) dei tessuti connettivi infrastrutturali su cui si poggia, ormai, l’esistenza stessa della vita di quello che (semplificando al massimo) ho chiamato il resto del Mondo. Repetto parla giustamente della guerra cybernetica in tutte le sue coniugazioni e articolazioni infinitesimali. Parla di quanto sempre più genererà “guerra tra la gente (centinaia di milioni di persone e le loro indispensabili terminazioni tecnologiche) e guerra a quelle oligarchie (occidentali? giudaico cristiane? resto del mondo escludendo gli islamici?) che ritengono di rappresentare legittimamente le loro comunità. L’Isis o le altre teste dell’Hydra, a questo si prepara. Non a caso l’ISIS ha annunciato che renderà stabili le trasmissioni televisive/via internet di cui mostra saltuariamente dei trailers. Gli jiadisti presidiano già da anni la rete, in pianta stabile, e non per fare formazione tecnico/militare o semplice reclutamento. Un po’, certamente, anche per questo ma, più che altro, per fare disinformazione (vi sembra paradossale?), sviando così l’attenzione dai “veri movimenti di truppe” che, strateghi quali sono per tradizione culturale, si preparano a fare. Fanno clamore per far parlare e distrarre le pubbliche opinioni e con esse gli ormai obsoleti (e culturalmente inadeguati) comandi militari degli stati nemici, con le intelligence annesse. Si parla di Calais per sbarcare in Normandia.
È proprio vero che è in corso uno scontro di civiltà ma va, ci dispiace dirlo, interpretato come un duello tra i mediovalisti/polverosi, un po’ ottusi, appiattiti su delle intelligence senza anima culturale (noi) e i contemporanei (loro) pienamente consapevoli che la battaglia la vinceranno attaccando l’infrastrutturale e il logistico di cui noi viviamo, in totale dipendenza e osmosi. Parliamo della Guerra Cybernetica. Parliamo di milioni di occhi e orecchie, già in loco, dietro le fila, potenziali quinte colonne. Fino a quando faranno attaccare a 4/20/100 sfigati/esaltati le redazioni di giornali in via di chiusura (così stava messo Charlie Hebdo) e fino a quando riusciranno a farci credere che quello è il vero “fronte”, siamo destinati ad inanellare una collana di “Caporetto”, tanto per fare un esempio, patriottico ed evocatore, della centenaria guerra di trincea. Temo che l’evoluzione culturale/tecnologica degli islamici ci abbia già sorpreso e ci potrebbe continuare a sorprendere. Se avete piacere di sentirvi ormai in guerra, sappiate che, in un duello così efferato, l’effetto sorpresa è difficilmente recuperabile. Bisogna individuare quanto prima la linea del Piave o sarà molto dura.
Quando dico che dopo la nascita dello Stato di Israele (1948) c’è stata una (forse determinante) continua sottovalutazione dell’evoluzione culturale del mondo arabo/islamico, mi riferisco a tutti quegli anni fatti passare senza che nelle intelligence di mezzo mondo si potesse neanche porre il tema teorico di questo gap che si preparava, nell’indifferenza dei più, a divenire insanabile. Non si poteva porre il problema che, per semplicità, chiamerò culturale perché questo corrispondeva a stare con questo o con quello come se il mondo si riducesse a una storia di laziali e romanisti, di Oriazi e Curiazi. Stereotipi, luoghi comuni, tabù e tanto opportunismo ci hanno portato sulla soglia della sconfitta. Sconfitta culturale e, implicitamente, sconfitta militare. Ai voglia ora ad evocare bombardamenti sui territori attualmente attribuiti all’ISIS! Stiamo giocando al gioco della vita con gli inventori del Backgammon, il gioco che fa del giorno e della notte una delle sue chiavi di lettura, che ha nel 12 e nel 30 i numeri nodali di una rappresentazione del tempo o dello spazio fino a includere i pianeti conosciuti 5000 anni addietro (!), possibile data della leggendaria invenzione del gioco. Vi consiglio di leggere la voce Backgammon che compare in rete nella libera enciclopedia Wikipedia ma che per vostra comodità vi riproduciamo di seguito.
Guai a rimuovere il dettaglio “su chi sa giocare e chi no”, a Backgammon. Una punta di nostalgia: come al solito, l’eccellenza italiana si era evidenziata anche in questo settore dei giochi e in questo gioco, in particolare, conosciuto da noi come Tavola Reale o Tric-Trac, tanto che, quando è cominciata la sfida tra gli umani e i computer (luglio del 1979), il campione del mondo di Backgammon, era l’italiano Luigi Villa. Veniamo all’oggi. Importante è, sia il dialogo intereligioso quale luogo di comprensione dei mutamenti in corso, e quale diplomazia carsica permanente dove ammortizzare le maggiori spinte estremiste (cristiane, ebraiche, musulmane) che non dimenticare che gli altri da noi (cioè la quasi totalità degli jiadisti) ritiene di giocare la partita della vita, cioè a Backgammon.
Nella nostra intelligence (e in quella di troppi paesi amici) si è sottovalutato che nel 1945 a Yalta prima e nel 1948 dopo, con la questione palestinese/israeliana incominciava la terza guerra mondiale e che tale guerra sarebbe stata prima fredda (per pochissimi mesi) e poi, da quel momento in poi, calda o caldissima, a seconda delle stagioni politico/metereologiche. Nel 1948 quando nasce Israele, è cominciato il torneo di Backgammon che ora, dopo le prime partite di studio, sta entrando nel vivo e, fuor di metafora, bisogna che ci scuotiamo e ci “accorgiamo” che stiamo, obbligatoriamente, giocando con persone che ritengono di averci informato che siamo stati invitati al Gioco della Vita. A questo punto del “torneo”, sarebbe interessante sapere chi si sta realmente sedendo a giocare, anche per conto nostro, quali italiani, francesi, spagnoli, greci. Sperando che questo qualcuno sia informato che, per posta, secondo l’altro giocatore, c’è il dominio del Mondo.
Oreste Grani/Leo Rugens
Backgammon
Storia
L’origine del backgammon viene comunemente fatta risalire a circa 5000 anni fa al Gioco reale di Ur ritrovato nella tomba di un re sumero durante gli scavi nell’antica città mesopotamica di Ur, nell’attuale Iraq. Una successiva scoperta[1], però, sembra poter anticipare la data di nascita di circa 100-200 anni e trasferire il luogo di nascita nell’attuale Iran a causa del ritrovamento di una tavola durante gli scavi archeologici della città di Shahr nella provincia sud-orientale del Sistan-Baluchistan.
È probabile che successive migrazioni ne abbiano permesso una diffusione estensiva sia verso Occidente che verso Oriente favorendo la nascita di numerose varianti. Vista la sua antichissima origine è facile comprendere come siano potute nascere col tempo anche numerose leggende sulla sua paternità. Una di queste attribuisce l’invenzione alre di Persia Ardashir Babakan, della dinastia dei Sasanidi, un’altra ad un antico saggio indiano di nome Qaflan. Una variante di nome Senet si doveva giocare anche nell’antico Egitto. Sono state trovate delle tavole risalenti al 1500 a.C. nella tomba di Tutankhamen così come degli affreschi raffiguranti delle tavole simili a quella attuale.
La diffusione della tavola, nelle sue diverse varianti, non si arresta e raggiunge la Grecia: Platone accenna alla popolarità di cui un gioco simile godeva tra i Greci. Sofocle ne attribuisce l’invenzione a Palamede che in tal modo passava il tempo durante il lungo assedio alla città di Troia. Omero lo menziona nell’Odissea.
Un gioco costituito da una tavola e tre dadi si conquista il suo posto d’onore anche nell’antica Roma; era conosciuto come Ludus Duodecim Scriptorum (“gioco delle dodici linee”), che successivamente prese il nome, probabilmente anche subendo delle modifiche, di Alea (“dado”) o Tabula (“tavola”).
Il gioco doveva essere molto diffuso in tutte le classi sociali. Svetonio, nelle sue Vite di dodici Cesari, descrive così l’interesse maniacale che l’imperatore Claudio nutriva per quel gioco: «Con gran passione giocava ai dadi, su la quale arte mise fuori anche un libro; e soleva giocare anche in viaggio, facendo adattare il cocchio e il tavoliere in modo che il giuoco non si scompigliasse»[2]. Invece gli scavi di Pompei riportarono alla luce dei dipinti murali all’interno di una taverna che raffigurano lo svolgimento di una partita atabula, terminata tra reciproci insulti.
Le legioni romane permisero una certa diffusione del gioco (in Britannia era appunto conosciuto col nome di Tables), ma probabilmente esso seguì le sorti della caduta dell’Impero, perdendo via via di popolarità.
In Asia veniva giocata una versione chiamata Nard già prima del IX secolo che differiva dalla Tabula principalmente per l’uso di due soli dadi. In Cina si diffuse col nome diT’shu-p’u, in Giappone era invece chiamato Sugoroku.
Una rinascita del gioco in Europa si ebbe durante le Crociate, quando i soldati conobbero la versione del tawla dagli Arabi (takht-e nard, o semplicemente Nard, in persiano).
Nonostante i numerosi tentativi da parte della Chiesa di bandire il gioco perché ritenuto d’azzardo, la sua diffusione nel Medioevo fu tale che gli storici contano diverse varianti allora in voga, come: Tavola Reale in Italia, Tablas Reales in Spagna, Tavli in Grecia, Tavla in Turchia, Tric Trac in Francia e in Italia[3], Backgammon o Tables in Gran Bretagna, Puff in Germania, Vrhcaby in Cecoslovacchia, Swan-liu in Cina, Golaka-Krida in India.
Bisogna però attendere il 1743, con la pubblicazione del breve trattato ad opera di Edmond Hoyle, per avere una prima organica codifica delle regole del backgammon. Il dado del raddoppio invece fu inventato negli Stati Uniti solo nel 1928.
È raffigurato nella tela di Caravaggio, I bari, del 1594 circa.
In italia non è un gioco molto conosciuto ma si svolgono tornei europei e internazionali. Per numero di vittorie del titolo italiano si distingue il forlivese Guido Flamigni, che ne collezionò tre (1994, 1997, 1999).[4]
Origine del nome
Il nome popolare italiano (e francese) del gioco Tric-Trac verosimilmente è la traslitterazione approssimativa del greco τρεις τραχον, ovvero Tris Tracon epiteto greco del gioco che significa tre volte giro tortuoso, con l’accezione di gioco con un giro molto tortuoso, difficile[5].
Per la dizione all’inglese Backgammon l’ipotesi più accreditata è quella che fa risalire il nome backgammon al sassone baec (“dietro”, “ritorno”) e gamen (game = gioco). Le più antiche versioni prevedevano di iniziare con le pedine ancora fuori della tavola, perciò il gioco consisteva nell’introdurre le pedine all’interno della tavola (questa fase non è più presente nel gioco moderno) per farle tornare indietro alla casa e poi nuovamente fuori della tavola. Inoltre le pedine mangiate sono costrette a tornare indietro e rifare tutto il percorso. Alcuni però ipotizzano anche che l’origine del nome possa risalire al Gallese dove bach significa piccolo e cammun battaglia perciò il gioco è una riproduzione in piccolo di una battaglia. Un’altra ipotesi spiega l’origine dal fatto che molto spesso la tavola del backgammon era disegnata sul retro (back in inglese) di quelle per gli scacchi.
Simbolismo
Gli storici hanno spiegato come, nel backgammon, sia stato rappresentato il ciclo annuale e giornaliero della vita umana: i 24 punti rappresentano le 12 ore del giorno e le 12 della notte ma anche i 12 mesi dell’anno, le 30 pedine i giorni del mese. Anche i due dadi possono rappresentare il giorno e la notte e la somma dei punti ai lati opposti di un dado può far riferimento ai giorni della settimana ma probabilmente anche ai pianeti allora conosciuti. La compresenza di elementi cromatici discordanti (le punte della tavola, le pedine) sembra rappresentare la visione dualistica del mondo nella antica cultura indoeuropea caratterizzabile dal conflitto tra il bene e il male, la vita e la morte. Il backgammon, nella sua capacità di miscelare componenti di abilità e fortuna, simboleggia perciò una certa visione dell’esistenza umana. L’esito di una partita non può essere pianificato a priori così come il successo nella vita: la sorte è importante quanto l’ingegno (infatti molti giocatori esperti concordano con l’idea che il backgammon sia un gioco in cui la fortuna occupi un ruolo parziale; molti di essi infatti sostengono che un giocatore bravo vince più spesso perché sa ottimizzare i lanci più fortunati, minimizzando al contempo i danni di quelli meno favorevoli).[6]
Backgammon giocato al computer
Il primo forte avversario creato al computer fu BKG 9.8. Fu sviluppato, verso la fine degli anni settanta, da Hans Berliner, all’epoca impiegato presso il dipartimento di scienze informatiche della Carnegie Mellon University e campione mondiale di scacchi per corrispondenza, su un PDP-10 come esperimento sulla valutazione delle posizioni nella tavola. Le prime versioni di BKG giocavano male persino contro i giocatori più scarsi, ma Berliner notò che il programma commetteva gli errori critici sempre in corrispondenza dei cambiamenti di fase del gioco. In seguito applicò i principi di base della logica fuzzy per appianare la transizione tra le fasi del gioco. Gli diede una mano il famoso giocatore Paul Magriel che lo aiutò a rifinire alcuni algoritmi e a migliorare le prestazioni complessive del programma.
Così, per il luglio del 1979, BKG 9.8 fu pronto a giocare con il campione mondiale dell’epoca, l’italiano Luigi Villa, in un incontro svoltosi a Monte Carlo dove erano in palio 5000$. BKG vinse l’incontro, 7-1, diventando così il primo programma per computer in grado di battere un campione mondiale in un gioco dove è richiesta intelligenza. Per stessa ammissione di Berliner[7], il computer fu però più fortunato nel lancio dei dadi del suo avversario umano.
Verso la fine degli anni 1980 i creatori di versioni software del backgammon iniziarono a riscuotere successo grazie all’applicazione nei loro programmi dei principi delle reti neurali.
TD-Gammon, sviluppato per OS/2 da Gerald Tesauro, al tempo ricercatore in IBM, fu il primo programma per computer che giocasse ad un livello uguale a quello di un vero esperto. La rete neurale di questo programma fu addestrata usando algoritmi chiamati “a differenza temporale” (Time Difference, da cui il prefisso TD) applicati ai dati generati giocando con sé stesso.
Tesauro, in una sua pubblicazione[8], descrive infatti TD-Gammon come «una rete neurale che allena sé stessa per essere una funzione di valutazione del backgammon, giocando contro sé stessa ed apprendendo dai risultati».
Questa linea di ricerche ha portato allo sviluppo di altre versioni software del backgammon dalle prestazioni eccellenti.
I più conosciuti sono i programmi commerciali Jellyfish e Snowie per Windows, lo shareware BGBlitz implementato in Java e, tra i programmi open source, GNU Backgammon, sviluppato per Linux ma disponibile anche per altri sistemi operativi.
Essi giocano oramai alla pari dei migliori giocatori “umani” al mondo tanto che sono sempre più spesso usati per analizzare nel dettaglio le partite dei professionisti e per verificare la validità delle strategie presentate nei libri di settore. Come per gli scacchi, al momento non è chiaro se il migliore giocatore in assoluto sia il miglior computer o il miglior giocatore umano; per la maggior parte degli altri giochi o l’uno o l’altro è, senza ambiguità, il più forte. Ma nonostante questa coincidenza, vi sono enormi differenze tra i software per backgammon e quelli per gli scacchi.
La principale è che, per il backgammon, la valutazione delle mosse tramite reti neurali finora funziona meglio di altri metodi. Per gli scacchi, la ricerca tramite forza bruta, supportata da sofisticate riduzioni ed altri raffinamenti, funziona meglio delle reti neurali. Di conseguenza, qualsiasi avanzamento nella potenza dell’hardware dei computer ha significativamente migliorato anche la forza dei programmi di scacchi, mentre questo avviene solo marginalmente nel caso del backgammon.
Quando vengono usati come strumenti di analisi, tuttavia, anche i programmi per il backgammon possono sfruttare appieno la potenza di calcolo del calcolatore. A questo scopo essi non esaminano in profondità l’albero del gioco come negli scacchi, ma giocano invece migliaia di partite diverse partendo dalla stessa posizione. Il grande numero di partite giocate elimina la componente casuale data dal lancio dei dadi. Questo metodo di analisi, detto rollout, si è dimostrato talmente efficace da avere influenzato il modo consigliato per effettuare alcuni tiri di apertura (ad esempio 2-1 e 4-1).