A proposito di rapimenti, riscatti, stereotipi e intelligence. Senza dimenticare i nostri caduti in servizio e in particolare Nicola Calipari

nicolacalipari1

Il 28 agosto 2014, letti dai soliti “4 gatti” più il Gatto di Zlabya, lasciavamo nella rete una nostra testimonianza (Oriana Fallaci ed Edward Luttwak ovvero dell’intossicazione culturale) sul tema che le generalizzazioni e gli stereotipi possano essere una vera minaccia ad un futuro sereno per tutti.

Oggi, che siete divenuti, in modo documentato, più di “8 gatti” (a cui, inoltre, va sempre aggiunto l’intelligente e parola-dotato Gatto di Zlabya), ripubblichiamo quel testo e lo corrediamo di alcune puntualizzazioni linguistiche e concettuali che ci sembrano, in queste ore “buie”, ancora più doverose. Sperando di fare cosa gradita e utile. Le puntualizzazioni, lo diciamo a complicare ancora di più la questione di per se già “spinosa”, sono opera di Giuliana Sgrena. Sì, proprio lei, per la cui liberazione e salvezza, morì, con modalità che ancora dovrebbero suggerire, sul terreno dei rapimenti e dei riscatti, la massima prudenza, uno dei “nostri” migliori “operatori di Intelligence”: Nicola Calipari. Uno degli ultimi, di una Scuola che, coraggiosamente e senza ulteriori indugi, va rifondata.

Arabo” come sostantivo o aggettivo indica tutto ciò che appartiene ai paesi di lingua araba; il termine “arabo” indica quindi prima di tutto una connotazione culturale e non coincide con nessuna realtà etnica (o, se si vuole razziale), politica o statuale. Perciò definire un gruppo o un individuo come “arabo” indica solo la sua appartenenza a questa area culturale, molto articolata al suo interno ed identificabile esclusivamente attraverso la lingua comune.

Il termine “mediorientale” è, se si può, ancora più vago; si tratta infatti di una definizione su base  geografica ormai entrata nell’uso comune, ma coniata dagli occidentali in epoca coloniale e di incerta applicazione. Fino a epoche recenti si distingueva in italiano (così come in inglese, francese e tedesco) tra un Vicino Oriente – che comprendeva i paesi arabi della sponda Est del Mediterraneo, ma non quelli del Nordafrica – un Medio Oriente – comprendente le regioni dall’Iran all’India – e un Estremo Oriente (con riferimento principalmente a Cina e Giappone). Oggi (la puntualizzazione di Giuliana Sgrena è del 1986!) il termine Medio oriente si è invece esteso in modo incerto fino a comprendere oltre che ai Paesi del Vicino Oriente anche quelli del Golfo, talvolta quelli del Nordafrica e senz’altro l’Iran. Quindi definire “mediorientale” qualcuno o qualcosa non significa molto, poiché il termine non corrisponde ad alcuna precisa realtà geografica, politica o culturale.

Calipari

Per quanto riguarda poi il termine “islamico” (sinonimo di “musulmano”), esso come è noto definisce quanto si riferisce all’Islam; è dunque una definizione culturale estremamente ampia poiché oggi professano la religione musulmana ottocento milioni di persone (ricordate che ci troviamo nel 1986 e che mancano alla conta altri 300 milioni di credenti, fra nati, morti e convertiti in questi trent’anni) diffuse in tutto il mondo.

Palestinese” è invece prima di tutto un preciso termine di connotazione geografica (persone e cose provenienti dalla Palestina), ma è soprattutto un termine di definizione politico-culturale: i palestinesi sono un popolo di più di quattro milioni di persone che rivendicano il diritto a costituire un proprio stato indipendente.

Nicola-Calipari-omicidio

A differenza delle ragazze Greta e Vanessa poche ora fa “riscattate”, come leggete, la Sgrena, sin dal 1986, sapeva di cosa si parlava e quali fossero i rudimenti base per informarsi, esprimersi e saper prendere le “misure” ai conflitti in corso. In successivi post vi riporterò le sue ulteriori note dedicate ai più importanti attentati accaduti sul suolo italiano in quegli anni (1972-1985) e in particolare quelli del Caffè de Paris a via Veneto, alla British Airways, all’Aeroporto di Fiumicino, il sequestro della nave “Achille Lauro”, l’attacco alla Sinagoga di Roma, l’attentato con un RPG (un lanciarazzi a mono uso) a Piazza Verdi ai Parioli contro l’ufficio della cancelleria giordana, così capirete che la Sgrena quando nel 2005 viene rapita in Iraq, non era certamente una pivella. La giornalista, dal 1986 al 2005, ne aveva imparate di cose su quegli scenari di guerra a cui era interessata eppure fu lo stesso rapita. Non era una sprovveduta ne tantomeno una entusiasta cooperante in cerca di facili emozioni. Eppure fu rapita e, la sua liberazione ci costò la perdita del vicedirettore del Sismi, Nicola Calipari, ucciso – si disse per errore – da soldati statunitensi, il 4 marzo 2005, a Bagdad. Un giorno, se questo paese ritornerà ad avere una sua qualche sovranità, qualcuno ci dovrà dire se fu cercata scientemente la morte di Giuliana Sgrena e, quindi, implicitamente del nostro miglior ufficiale sul campo irakeno. Forse era lei, per le sue idee “politiche” e per il rispetto che portava alla causa palestinese, il vero obiettivo di quell’errore. Calipari lo abbiamo perso perché – per onore – fece scudo alla persona che gli era affidata dal “servizio” e dalla Repubblica alla cui bandiera aveva giurato fedeltà. Quando migliaia di cittadini (ormai più di 15.000 mila) “curiosi” arrivano a questo blog per sapere “quanto si guadagna nei servizi segreti”, mi viene spontaneo rispondere: “un raffica di mitraglietta se stai facendo il tuo dovere”. Poco, pochissimo quindi. Un sacco di soldi, se ti “nascondi” e “fai il furbo”. Come in qualunque altra professione.

Oreste Grani/Leo Rugens


ORIANA FALLACI ED EDWARD LUTTWAK OVVERO DELL’INTOSSICAZIONE CULTURALE

sciitisunnitibig

Non esiste un Islam moderato!“, “Non c’è nessuna figura autorevole nel mondo arabo che condanni il terrorismo“. Sono pensieri riguardanti l’Islam (cos’è?) comunemente espressi da cittadini italiani e volentieri propagati dai mezzi di informazione.

Tali pensieri sono il frutto di una costante disinformazione della quale Oriana Fallaci ed Edward Luttwak sono campioni.

Un’operazione di intossicazione culturale si riconosce dall’utilizzo di una parola dal significato più ampio possibile con la quale si identifica un gruppo umano, dopodiché si attribuisce alla totalità la responsabilità di un sottoinsieme del gruppo o addirittura di un singolo. Gli esempi, ritengo, li conosciate tutti.

Un altro esempio di intossicazione è l’attribuzione alla vittima di una “colpa” o della responsabilità di qualcosa, laddove, il persecutore/carnefice si presenta come vittima del perseguitato.

Questi processi culturali sono noti e ben studiati e la pratica che li innesca è talmente consolidata da risultare banale, per tutti, eccetto per chi ignora che la generalizzazione e lo stereotipo sono l’anticamera dell’orrore.

Ingrediente fondamentale per le operazioni di intossicazione è la diffusione del termine generico (zingaro, omosessuale, comunista, amerikano, musulmano, ebreo…) a opera di “autorevoli” mezzi di informazione; nel caso Fallaci, del Corriere della Sera e del suo editore la RCS, nel caso Luttwak, a opera di chiunque abbia i soldi per pagarlo o debba un favore a qualcuno.

Continua la fandonia dell’Islam «moderato», la commedia della tolleranza, la bugia dell’integrazione, la farsa del pluriculturalismo. E con questa, il tentativo di farci credere che il nemico è costituito da un’esigua minoranza e che quella esigua minoranza vive in Paesi lontani. Be’, il nemico non è affatto un’esigua minoranza. E ce l’abbiamo in casa. Ed è un nemico che a colpo d’occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all’occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in malafede perfettamente-inserito-nel-nostro-sistema-sociale (vedi articolo originale).

Così scriveva Fallaci l’indomani dell’11 settembre. A noi è sempre parsa una pazzerella di ingegno che ebbe la fortuna di sopravvivere a una pallottola vagante e su quella ebbe la abilità di costruire una fortuna. Riposi in pace… per le nostre orecchie.

Caso diverso, e un pelo più complesso, quello del Luttwak, il quale è accreditato quale pensatore e consigliere strategico nonostante scriva cose del genere: nel Medio Oriente “le industrie più attive sono i consumi sfrenati e le manifestazioni di risentimento” (E. Luttwak, The Middle of Nowhere, citato da P. Khanna, I tre imperi, pag. 239). Gli risponde Khanna: “In realtà dietro queste apparenze si cela una realtà assai più importante: e cioè il ruolo detenuto dal mondo arabo, dai tempi della Via della seta a quelli delle crociate fino alla seconda guerra mondiale, di passaggio geografico che collega l’Europa, l’Africa e l’Asia. Il grosso dei giacimenti di petrolio e di gas naturale si trova nei paesi arabi…“.

Delle due, l’una, o Luttwak è un cialtrone che non sa queste cose, oppure è un mistificatore che ci racconta di un luogo abitato solo da sceicchi “arabi” miliardari e da terroristi.

La realtà è ovviamente assai più complessa e così come nessuno si sogna che esista una unità delle nazioni cristiane (il pensiero va alla seconda guerra mondiale) così, nessun intellettuale onesto si sogna di pensare all’Islam come a un tutt’uno. Certo esistono sogni collettivi e sognatori folli, ma da qui ad attribuire a tutti i lettori del Corano lo stesso sogno e gli stessi intenti mi pare troppo stupido, se non criminale, se non pura intossicazione.

A meno che, la paura suscitata dalla ossessiva ripetizione di stronzate, non sia proprio uno degli obiettivi da raggiungere, o meglio non sia uno strumento per impedire un trasparente e sereno dialogo tra l’Italia e i paesi che si affacciano sulle sponde sud orientali del Mediterraneo, il tutto a beneficio di giocatori planetari.

La redazione