Acea Energia spa, quotata in Borsa, si mostra debole e inadeguata anche di fronte ad una semplice voltura a favore dell’ENEL. Figurarsi il resto!
L’episodio che abbiamo voluto evidenziare (post L’ACEA, quotata in Borsa, rallenta la pratica di subentro ENEL nella nota vertenza Beauty Point/Gardenia e decine di profumerie non hanno potuto riaprire a Natale!) relativo alla assoluta insensibilità con cui l’Acea Energia Spa (quotata in borsa) ha affrontato la questione “luce da accendere” presso la catena dei negozi “Beauty Point oggi Gardenia”, ci riporta alla mente uno dei tanti grovigli politico-affaristici che si determinano in questo nostro (nonostante tutto) amabile Paese e in special modo nella sua Capitale. Diciamo, da sempre (in particolare da quando è esploso lo scandalo Carminati/Buzzi/Alemanno), che in questa nostra Roma oltre ai cialtroni/violenti/nazicomunisti operano anche e soprattutto delle voraci termiti che, piazzate li dai partiti o dai pupari dei partiti (più giusta questa seconda ipotesi), non lasciano nulla di incontaminato o di non divorato. Nel “Monopoli” romano, ad esempio “Acea” è oggetto di desiderio famelico, da sempre. Prima di parlare dell’oggi e degli “indifferenti” annidati in ACEA che hanno saputo dare vita allo “scandalo” delle profumerie senza luce (chissà se per i “saldi” la luce è stata poi concessa?) vorrei, saccheggiando come fonti attendibili alcune delle mie bibbie di riferimento quale ad esempio, il Termitaio di Alberto Statera (ricordandovi che il libro è stato scritto nel 2009), consentirvi di immaginare perché i dirigenti di un posto come quello, in realtà, abbiano altro da fare che “servire” il cliente e gli investitori borsistici. Vi prego di non sottovalutare le informazioni relative allo scontro con i “francesi” perché, come vedremo in altri post che siamo intenzionati a scrivere, questo delle modalità con cui si deve ragionare con i cugini francesi (meglio ricominciare a chiamarli, come era un tempo, fratelli) a Roma e negli affari italiani in generale, è un passaggio fondamentale della eventuale rinascita, sia italiana che francese. Quindi, europea. Oltretutto, vista l’aria che tira (geopoliticamente parlando), mi sembrerebbe intelligente provare ad aumentare il rispetto e l’attenzione reciproca. Senza mai dimenticare e trascurare la Spagna e la Grecia.
Cominciamo con un salto temporale di circa 5 anni addietro, con Alemanno in sella al cavallo di Marco Aurelio e lontano dai grovigli putrescenti Carminati/Buzzi/Mancini ed altri. Anzi, andiamo ad un tempo in cui ancora non si era delineato neanche l’attacco di D’Inca Lewis a Riccardo Mancini (Ente Eur) per le “stecche” pretese e fatte girare per gli autobus più costosi del mondo. Si era ancora lontani dalla notte tra giovedì 13 e venerdì gennaio 2011 quando matura il tradimento di Alemanno nei confronti di Umberto Croppi (Assessore alla cultura del Comune di Roma e, fino a quel momento, fedele e pensante consigliere strategico del Sindaco) con l’allontanamento di quest’ultimo dal cerchio “culturale e quindi politico” che proprio Croppi aveva saputo ideare ed organizzare intorno al l’inconsistente ex pseudo-squadrista Alemanno, sin dai tempi della loro esaltante campagna elettorale. Era stato Umberto Croppi dal punto di vista dei contenuti e dell’organizzazione del consenso elettorale a fare, di una mezza sega (Alemanno), un “vincente”. Così come Francesco Gaetano Caltagirone, altrettanto, ne aveva determinato la crescita nel mondo degli affari. Si era ancora lontani dagli scandali ATAC e da ogni altra puzzolente vicenda che poi ha investito l’improvvisato Sindaco della Capitale. Siamo a quando, essendo le nomine prerogativa assoluta del sindaco, si giocò la partita del controllo sostanziale della città. Non parlo quindi delle foglie da raccogliere ma degli alberi. Dove gli alberi sono le aziende municipalizzate dei trasporti (ATAC ed altro), l’AMA (i rifiuti in Italia e all’estero) e l’ACEA (acqua e energia). Narra la leggenda che quando il Sindaco, inaspettatamente eletto, dovette affrontare la questione delle nomine scartò subito la possibilità che la legge offriva al sindaco e cioè di abolire i consigli d’amministrazione nominando un amministratore unico e facendo “finire subito i giochi”, liberando da questo ruolo le municipalizzate, vero alimento delle avidità delle correnti partitocratiche, delle lobbies e del malaffare.
Questo sarebbe stato un vero cambiamento. Ma, fu chiaro subito, che la marionetta Alemanno non era lì perché cambiasse qualcosa ma perché, continuando tutto ad andare come prima, si correggessero solo le situazione in cui personalità comunque forti alla Francesco Rutelli e Walter Veltroni erano risultate troppo ingombranti. Ci voleva “un fuscello” e per questo fu costruito Gianni Alemanno. Dal punto di vista dell’impresa impossibile elettorale (una capra come Alemanno alla guida della Capitale!) ci pensò il buon entusiasta Umberto Croppi che costruì intorno all’evanescente ragazzotto un effetto alone di ambienti che mai lo avrebbero votato. Al resto, pensò Francesco Gaetano Caltagirone. Il cui “tacco”, a miracolo elettorale avvenuto, non tardò ad esercitarsi sulla testa ricciuta dell’ex pseudo squadrista. Tanto da far scrivere – ricorda Alberto Statera – ad Eugenio Scalfari: “Domani papa Ratzinger (un’era fa, come vedete ndr) benedirà Roma dal balcone del Campidoglio con a fianco il sindaco Caltagirone. Chiedo scusa, il sindaco Alemanno”. Da allora – continuo a chiedermi – perché mai se un tipo (oggi stanco ma nel 2009 ancora lucidissimo), quale Eugenio Scalfari, ebbe a scrivere una frase come questa (che non lascia adito a dubbi) quando Gianni Alemanno viene trovato, enne volte, col le mani nella marmellata, nessuno, dico nessuno (se si eccettua questo marginale e ininfluente blog), ricorda ai cittadini che si scrive “Gianni Alemanno ” ma in realtà si legge “Francesco Gaetano Caltagirone”?
Veniamo alla fedele ricostruzione delle attività “relazionali/affaristiche” che si svolsero in quegli anni intorno all’ACEA, azienda quotata in borsa, di cui sentiamo il dovere di parlare, dalla prima riga di questo post odierno. Vi immaginate uno che ha continuato a farsela con i Mancini, i Carminati e con gli Buzzi, dopo aver fatto fuori l’unico personaggio (Croppi) con una qualche caratura culturale all’altezza delle complessità che la Capitale d’Italia si porta inevitabilmente dietro (Vaticano compreso), trattare la “politica” internazionale che è materia difficile e tutt’uno con gli avvenimenti che ci prepariamo a riportarvi alla memoria?
Proviamo a ricordare, parafrasando un pensiero di Wystan Hugh Auden, che dietro ogni cosa c’è un’altra storia e che c’è sempre più di quello che si mostra all’occhio. Inoltre, non lo dimenticate, la gente mormora che, dalle parti di questo blog, sappiamo estrarre dalla realtà ciò che c’è ma non si vede. Vediamo quindi di capire cosa c’è dietro a questo pasticcio di qualcuno che ha voluto mettere alla guida della nostra Capitale, una “mezza sega” come Alemanno. In quei giorni euforici dell’insediamento, della composizione della Giunta e delle scelte delle figure da “piazzare” alla guida delle municipalizzate torna l’epidemico “mal franzese” (niente di sessuale!), con annessa la difesa dell’italianità, che già si manifestò (e con che esiti!) nella scalata alla BNL e nella vicenda Alitalia. Ridicoli, sia in un caso che, ancora di più, nell’altro. In quel momento era la volta del pasticcio ACEA, l’ex municipalizzata romana dell’energia, che era diventata un signor boccone societario appetibile durante i tre lustri trascorsi del “modello Roma” rutellian-veltroniano.
In un ruolo o nell’altro, vuoi come cuciniere vuoi come commensale, anche nella cura della sindrome francese quasi sempre c’è in mezzo lui: Francesco Gaetano Caltagirone. Anche questa volta, l’ottavo re di Roma (mi dispiace per i romanisti ma, in queste vicende, non è Totti) ha dato la linea a Gianni Alemanno, sindaco pro-tempore della capitale e che risulta essere un partner alquanto sprovveduto nei cunicoli dell’alta finanza, pur essendo con il 51 per cento il massimo azionista della società multiutility di cui stiamo ragionando. Istigato da Caltagirone, Alemanno l’ha combinata grossa con i francesi, che da Parigi non ritengono di dire altro che sono “en colère”, per intendere “assai incazzati”. Vediamo perché di questo stato d’animo alterato. I francesi, azionisti al 10%, secondi dopo il Campidoglio in una società quotata in Borsa (come leggete, continuo a sottolinearlo), il sindaco li ha trattati come intrusi, indegni di essere informati di cambi di strategia e di management. E il tutto non in una logica di grande competenza, ma di clientela alla romanesca. In realtà per lasciare il campo e soddisfazione al terzo azionista Caltagirone, che in quel momento metteva insieme il 7%.
Il sindaco di Roma? Una “prothèse politique”, hanno mormorato con sufficienza a Parigi quando hanno saputo del cambio di amministratore delegato per mettere i famigli dell’ingegnere siculo/romano. Sembra che anche a Palazzo Chigi abbiano digerito piuttosto male le sfuriate prima di Jean Louis Chaussade, rappresentante di Gaz de France, reiterate poi a Parigi dal presidente Gérard Mestrallet, in genere uomo di poche e sempre misurate parole. Ma come Berlusconi (ricordate le date e le circostanze) si sbatte per smentire le continue gaffe su Carlà, dopo il patto nucleare di Roma con Sarkozy (cosa non da poco e di cui non si ragiona mai abbastanza) e quei due si permettono di organizzare un ribaltone antifrancese all’insegna dei famigli politico-affaristici, magari per qualche subappalto all’azienda del nuovo presidente quel Giancarlo Cremonesi, non a caso scelto d’ambiente essendo ex presidente dei costruttori romani, che, come se niente fosse, fa lavori per conto della società che presiede? Ma, a questi signori, la coppia criminale Buzzi/Carminati, come si dice a Roma, “gli fa una pippa”! Questo sì che è un riferimento di tipo sessuale. Per di più mettendo in campo, come nuovo amministratore delegato Marco Staderini, collezionista di cariche, uomo di fiducia di Pier Ferdinando Casini che, all’epoca, va ricordato, era un genero ancora tollerato da Caltagirone in quanto coniuge fedele della figlia prediletta, Azzurra. Lo Staderini, veniva presentato – oltretutto – formalmente da Massimo Caputi, figlio di Onofrio, piccolo ras (a quei tempi) dei cantieri in Abruzzo, uomo a sua volta caltagironiano e noto alle cronache dei comportamenti imprenditoriali che oscillano fra il demenziale e il l’illegale quale ad esempio è stata la vicenda della costruzione del Palazzo di Giustizia di Pescara su cui torneremo un’altra volta. Come torneremo sull’episodio dell’Arma dei Carabinieri che dovette riconsegnare al Caputi una busta di carta (tipo panetteria ) con 45.000 euro in contanti che il troppo ricco manager si era dimenticato in un albergo.
I due (Caputi/Staderini) quindi, grazie ad una semplice informativa che raggiunse i francesi, risultarono essere sostanzialmente la versione del Gatto e della Volpe di collodiana memoria ( i francesi, a differenza degli italiani, conoscono molto bene Collodi e la sua opera metaforica “Pinocchio”) per gli interessi comuni che avevano certamente in società immobiliari. Direbbe (e dice) Alberto Statera:” Non si fa così neanche nell’ultima srl di Frosinone (senza offesa per Frosinone che ha ben altre problematiche ndr), figurarsi in una delle più grandi aziende del centrosud, con ricavi (all’epoca 2008/9 ndr) per 2,2 miliardi di euro e utili per 115!”.
Ci fu come reazione a queste “porcate” un bel crollo in Borsa del titolo (altro che la 29 giugno e le cose “gravissime” che comunque combinato) tanto che Gianni Alemanno si spaventò, come non mai (o forse, come quando hanno arrestato Mancini/Buzzi/Carminati e altri campioni del Rosso e del Nero) ed, entrato in ansia, chiese aiuto perfino a Luca Cordero di Montezemolo rimuovendo il fatto che, in questioni che riguardano interessi francesi, Montezemolo, ad un’esame superficiale, sembra contare ma, in realtà, non conta un ben amato “niente”. Forse, un’intelligence un po’ avveduta avrebbe evitato ad Alemanno, azioni inutili, su azioni inutili. A questo proposito risulta che il Comune di Roma abbia una struttura (anche molto ben pagata) che avrebbe potuto, doverosamente, avvertire il Sindaco di non poche cose gravi che negli anni avvenivano intorno a lui. Ad esempio, per quell’incarico, mi dicono che ci sia passato anche il gen. Mario Mori. A questo proposito, non voglio infierire sparando vigliaccamente sulla Croce Rossa e mi limiterò a dire che in una inchiesta complessa quale è quella in corso sulla “mafia romana”, ci si aspetta di sapere cosa sapesse lo stipendiato personale adibito a “guardare le spalle” al signor Sindaco e ai suoi più stretti collaboratori. Va bene il “profumiere” Gianni Letta che è troppo preso ad usare i suoi canali informativi per altro e che quindi raccomanda/introduce il super criminale Buzzi al prefetto di Roma, senza sapere bene cosa stia facendo, ma il “capo dell’Intelligence/sicurezza del Comune”, mentre Carminati/Mokbel/Buzzi tramavano, che cazzo faceva?
Oreste Grani/Leo Rugens
P.S. Ma oggi, come sta messa, rispetto ai bei tempi andati sopra descritti, l’ACEA Energia spa, se non riesce ad eseguire un passaggio ad altra utenza (ENEL), in tempi utili alla ripresa dell’attività, di una catena importante di negozi (decine) quale Beauty Point oggi Gardenia?