007– Dalla Libia con furore
Due libici hanno tentato di comprare armi al mercato nero, tutti sono sulle loro tracce, anche James Bond, in questi giorni avvistato a Roma con la donna che vorrei essere.
Possiamo dormire sonni tranquilli.
Sarebbe curioso conoscere il grado di separazione tra un Carminati o i recenti arrestati per associazione mafiosa in città, per esempio, e i suddetti armaioli, nonché riflettere sull’ovvia prossimità tra chi vende armi e chi raccoglie informazioni per conto dello Stato. Sia quello che sia, il nemico non è più alle porte, è in città, pronto a colpire il cuore della cristianità – ciò che Bin Laden non aveva osato fare – o la comunità ebraica.
Auspico che nel silenzio assoluto e con la massima discrezione si proceda a eliminare il problema, evitando di alimentare la psicosi.
Si sappia che, per puro piacere e soddisfazione personale sia ben chiaro, procederò a segnare nel mio libretto nero, quanti soffieranno sul fuoco della paura e del razzismo.
Guarda la coincidenza, mentre si cominciavano ad agitare le acque intorno a una discussione da tenere alla camera intorno al riconoscimento della Palestina quale stato, Hamas ha minacciato l’Italia qualora intervenisse in Libia. Male, le premesse per vedere ancora una volta i sampietrini bagnarsi di sangue ci sono tutte.
Ripeto ciò vado dicendo da giorni, ovvero che strillare “mamma li tagliagole” quando non si è fatto nulla per prevenire il problema è da imbecilli e incompetenti anzi da criminali e che urlare “Guerra guerra” senza sapere cosa fare per i prossimi venti anni, cioè senza avere un piano significa o essere stupidi o essere al sevizio di un gioco altrui.
Si sappia che tra un leader quale Al Baghdadi e uno quale Renzi, non ho dubbi da chi accetterei un invito a cena e, novella Fallaci, rifiutano il velo, domanderei al Califfo: “Quali sono i punti deboli dell’Europa?”, certa della risposta, “Classi dirigenti inadatte al loro ruolo, italianizzatesi nella avida e spasmodica ricerca del potere per il potere”. La ragione? Una complessa montagna di ragioni, soprattutto la miopia delle bande transnazionali in lotta tra loro.
Cosa sia l’ISIS lo lascio dire alla intelligente e colta Loretta Napoleoni, una che di intelligence e di terrorismo se ne intende più di me di sicuro.
Dionisia
P.S. Forte del suggerimento dei sei ex capi viventi dello Shin Bet, insisto che si continui o si cominci a parlare con tutti.
Nel suo articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano il 24 agosto lei fa un riferimento implicito agli interventi del parlamentare Di Battista (M5S) a proposito del Califfato facendo notare che l’analisi del deputato non è corretta e nemmeno più attuale. Riconoscendo a Di Battista il merito di aver aperto uno squarcio sulla semplificazione della informazione main stream che riduce tutta la questione Isis a un semplice conflitto religioso con la replica dello scontro di ‘civiltà’ già usato per giustificare gli altri interventi militari in Afganistan e Iraq, a chi conviene ridurre tutto il dibattito in questi termini? Qual’è la chiave di lettura corretta per questa ennesima guerra in Medio Oriente?
In Italia la presentazione di questo conflitto religioso conviene un po’ a tutti: ci sono molte similitudini tra l’Italia di oggi e certi paesi del Medio Oriente. La cosa più importante dal punto di vista della classe politica è che presentando la vicenda sotto il profilo religioso questo non ha nulla a che vedere con l’11 settembre e con la guerra contro il terrorismo di Bush e Blair alla quale abbiamo partecipato. Questo aiuta a giustificare la grande coalizione in cui noi siamo dentro. In realtà non ci capisce bene che cosa faranno, non hanno deciso nulla ma è una legittimazione affinché gli Americani possano iniziare a bombardare le postazioni dello Stato Islamico anche in Siria; probabilmente da basi militari in Arabia Saudita senza il beneplacito delle Nazioni Unite. Stiamo facendo la stessa cosa di prima ma presentandola sotto l’aspetto religioso e umanitario la gente è più favorevole. In realtà non è così, dalle informazioni che ho raccolto, dentro lo Stato Islamico il Califfato si adopera molto dal punto di vista sociale e per la popolazione. Alla fine agisce come uno stato migliore di quello che c’era prima. Parliamo della Siria di Assad e del governo corrotto di Maliki per l’Iraq. Noi tutto questo non lo sappiamo i media non ce lo raccontano.
Quindi non sappiamo cosa realmente accade? I sociale network sono quotidianamente invasi da fucilazioni sommarie, teste mozzate e quant’altro che offrono una chiave di lettura unidirezionale. Le fonti non paiono verificate e si scatenano forme di razzismo generalizzate contro i Musulmani.
I Social media sono pericolosissimi perché alla fine non c’è nessuna verifica. Non è vero che You Tube ti dice la verità. Nel mio libro (di prossima pubblicazione n.d.r.) c’è tutta una sezione dedicata a come lo Stato Islamico è riuscito a manipolare la comunicazione e l’informazione attraverso i social media proiettando l’immagine di se stesso – già prima quando si trovava in Siria – molto più forte di quello che in realtà è. Non c’è una verifica sul campo e, in questo caso, nessuno riesce ad averla. Quei giornalisti che erano in Siria nella zona nord dove ci sono stati gli scontri tra i ribelli e le truppe di Assad e dove lo Stato Islamico è riuscito ha crearsi alcune enclave, sono stati tutti rapiti (in 17). Ho avuto modo di intervistare Francesca Borri [2] che era lì facendosi passare per una profuga siriana e mi raccontava che tutto il materiale raccolto dai giornalisti, e anche dall’Intelligence, e questa è la cosa più sconvolgente, veniva dai social media. Questo è preoccupante.Da quello che Lei dice stiamo diffondendo informazioni che non sono dirette ma di seconda, terza manoEsatto. Stiamo rigirando informazioni di terza mano che sono create appositamente dai vari gruppi. I ribelli dicevano di avere il controllo di Aleppo. Quando la giornalista Francesca Borri è entrata nella città ha visto che i ribelli non c’erano più e invece c’era l’esercito di Assad. E pare non lo sapesse nemmeno l’intelligence israeliana: quando ha fatto il briefing prima di entrare nella città, l’intelligence (americana, israeliana, etc etc) le hanno spiegato cosa doveva fare e come muoversi. Ma le informazioni fornite era completamente diverse dalla realtà.Siamo nella condizione ‘assurda’ dove questi gruppi islamici utilizzano i social media e l’informazione a loro uso e consumo?Assolutamente. Anche i ribelli fanno la stessa cosa. Anche l’esercito di Assad. Ognuno manipola come gli pare per cui sui social media trovi tre versioni diverse dei fatti nessuna dei quali alla fine è vera. Il fatto grave è che alla fine oggi c’è molta meno informazione ‘vera’ di quello che c’era venti o trent’anni fa anche durante la guerra fredda: c’erano pochi corrispondenti ed erano tutti dentro in situazioni difficili. Quello che i giornalisti hanno fatto ‘embedded’ nella guerra del Vietnam con i reportage è stata una cosa incredibile: ci hanno raccontato la verità. Ora questo non può succedere perché ci sono i social media che sono la ‘fine’ dell’informazione perché ognuno si può creare la realtà che vuole. Purtroppo anche l’intelligence cade nella trappola dando ai social media un credito eccessivo.Oltre a questo aspetto ‘localistico’ del fenomeno, c’è una responsabilità dell’occidente come con-causa dell’allargamento dei fenomeni di violenza, di guerra e di adesione alla causa dei terroristi? Considerando, per esempio, che l’Isis pare essere finanziata dal Qatar che contemporaneamente intrattiene rapporti stretti con l’America?Certamente. Quello che sta succedendo in Siria e in Iraq è una guerra per ‘procura’ con tantissimi ‘sponsor’. Ciascuno prende un gruppetto, lo finanzia, gli manda le armi, lo addestra e tutto questo avviene sotto il naso della comunità internazionale. Gli americani certo sapevano dei finanziamenti ma non gli interessava e hanno considerato il problema come locale. La Siria, per esempio,non è un paese per il quale ci siano interessi commerciali e un discorso analogo vale per l’Iraq perché a questo punto l’America non dipende dal petrolio del medio oriente essendo diventata un produttore. Anche loro hanno avuto ruoli nella guerra per procura, i soldi ai ribelli sono stati forniti anche dagli Stati Uniti.
Vuol dire che queste guerre non sono più finalizzate al petrolio?
No, è una questione geopolitica. Abbiamo la Russia che ha basi militari nel mediterraneo e in Siria, l’Iran che usa quelle basi militari per mandare aiuti e armi alla Ezbollah; è una posizione strategica per queste nazioni che altrimenti non avrebbero uno sbocco sul mediterraneo. Invece da parte dei Sauditi, Kuwait, Qatar il discorso è più a carattere etnico: c’è un odio reciproco tra costoro, gli Iraniani sono Sciiti e gli altri sono Sunniti. Non è un odio a carattere religioso, non gli importa della religione; è un odio a carattere di egemonia nella regione. E’ chiaro che l’Arabia Saudita con il crollo del regime dello Scià è diventata il numero uno nella regione anche nei rapporti con gli Stati Uniti. Prima era l’Iran all’interno della zona. Khomeyni ha ‘rotto le uova nel paniere’; non dimentichiamo che l’Iran è una democrazia, o meglio, una teocrazia, però la gente vota. In Siria non è così, è una dittatura assoluta. Sono gli occidentali che dopo la guerra hanno tracciato dei confini in questi territori e hanno preso delle famiglie e le hanno messe a fare i re mentre prima erano tutti dei semplici beduini.
Quindi abbiamo una responsabilità di ingerenza dell’occidente che si combina con gli odi etnici. Un miscela esplosiva.
Assolutamente si. Chiunque può formare un gruppo e trovare qualcuno che gli dia dei soldi e c’è di tutto: dal jihadista di Londra al piccolo criminale locale. Tutti hanno le armi. Alla fine un gruppo come lo Stato Islamico che ha in chiaro quanto sia importante occuparsi della popolazione civile diventa immediatamente il leader.
Questo fatto che Lei ci espone è molto interessante: capovolge tutta l’immagine che in occidente ci viene proposta dai media. Ci viene raccontato solamente che l’Isis commette stragi tra la popolazione, tra i Cristiani e che sono assolutamente da fermare.
Certamente loro perseguono una ‘purificazione’ della zona. Quindi se tu sei cristiano non è che ti tagliano la testa; prima paghi una tassa, perché c’è una tassa per chi ha una religione diversa, dopodiché o te ne vai o ti converti. Quindi non fanno ‘stragi’ a caso, le fanno sulla base di una risposta che ricevono, ma non è che partono di notte a caso a tagliare la testa alla gente mentre dorme. Loro applicano la legge della Sharia. Se rubi ti tagliano la mano. E’ la cultura di una società premoderna. Queste società sono tornate indietro nel tempo. Quando si distrugge tutto e non resta più niente le società regrediscono allo stato di natura. Per riportarla alla condizione di società moderna queste situazioni diventano passaggi ‘naturali’. Ti possono ammazzare per una bicicletta ma se tu ammazzi qualcuno ti crocifiggono o ti tagliano la testa. Tra l’altro in Arabia Saudita fanno la stessa cosa. Quindi l’Arabia Saudita può tagliare la testa ai condannati a morte mentre lo stato Islamico no. Questo perché lo Stato Islamico non è riconosciuto dalla comunità internazionale ma noi (occidentali) dovremmo essere contro il taglio delle teste ovunque venga praticato.
Quindi ci troviamo di fronte al tentativo, arcaico, di ricostruire una società che è tornata indietro nel tempo a livello del diritto naturale. C’è quindi da chiedersi chi siano oggi davvero i ‘terroristi’, alla luce anche delle notizie secondo le quali la Siria di Assad e pezzi dei gruppi terroristici che a suo tempo uccisero il nostro giornalista Badaloni parteciperebbero alla guerra contro Isis. Praticamente l’occidente ha creato la figura del ‘terrorista a tempo determinato’: ieri eri un nemico giurato, oggi un alleato, domani valuteremo.
Certamente. Cambia tutto in continuazione. Si veda il caso del PKK, ieri terroristi oggi combattono dalla stessa parte degli Americani.
A questo punto non sarebbe meglio, o meno dannoso, riconoscere questo stato (il Califfato) e arrivare in qualche modo ad una trattativa?
Non credo succederà. Perché questo è uno stato che minaccia l’Arabia Saudita e gli altri stati del golfo. L’unico motivo per il quale noi stiamo andando in guerra, perché questa è una guerra (oggi un generale americano ha detto che stanno valutando la possibilità di mandare truppe in Iraq, si apprestano a un nuovo Vietnam con truppe che rientrano e che vengono rimandate al fronte sotto un’altra denominazione) è che stiamo andando per difendere l’avanzata dello Stato Islamico; non tanto in Iraq, per esempio all’Isis il sud non interessa, il fatto è che se il Califfato si consolida diventa più importante dell’Arabia Saudita. Quindi minacciano le altre istituzioni e la legittimità degli altri stati. Che succede se i Sunniti Sauditi, o da qualche altra parte tipo Qatar, decidono di ribellarsi?
L’Onu in questo contesto… esiste ancora?
L’Onu non serve più a niente. Nel Consiglio ci sono i Russi e i Cinesi e le decisioni devono essere assunte all’unanimità che non ci sarà mai su queste questioni…. Vedi articolo originale
Buon pomeriggio,
un’analisi in cui tutti sono buoni e cattivi tranne la Siria di Assad che viene dipinta solamente come il male assoluto.
ps di recente ci sono state delle elezioni in Siria, in Italia ciò è un lontano ricordo
saluti
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Caro Stefano rimango in attesa che Dionisia entri nel merito della tuo commento. Grazie dell’attenzione e dei modi con cui evidenzi la tua opinione. Buona serata. Leo Rugens
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Buongiorno, avrei gradito un approfondimento da parte dell’autore/rice ma credo che dovrò accontentarmi dell’ educata accoglienza del padrone di casa.
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Gentile Stefano, rileggendo il suo primo commento non riesco a trovare una sollecitazione ad alcun approfondimento, non avendo fatto alcun accenno alla Siria o al suo Presidente. Ritengo che lei si riferisca alle opinioni di Loretta Napoleoni, opinioni delle quali non rispondo, non essendo io Loretta, ma Dionisia. Tuttavia lei mi stimola, così, consapevole di condannarmi a pesanti accuse, le rispondo sommariamente che per me Assad Jr. è innanzitutto un medico che ha studiato in Inghilterra nonché sposo di una donna bellissima, erede di un sanguinario padre e di un potere del quale non conosco, sinceramente, il controllo che ha. È acclarato che l’abbattimento del regime siriano, non propriamente una democrazia cristallina, fosse parte di un piano risalente a oltre un decennio fa, ma evidentemente nella complessità della geopolitica qualcosa non è andato per il verso giusto, dal momento in cui, arrivati sull’orlo dello scontro diretto Usa-Siria, il Presidente Obama ha rinfoderato la spada. Oggi i siriani (ma esistono i siriani?) stanno soffrendo una violenza intollerabile, ostaggio di un Presidente sua volta ostaggio di un Grande gioco che ha per oggetto, secondo Napoleoni, il controllo delle vie commerciali più che delle risorse petrolifere. Condivido questa opinione, se le interessa. Non sono abituato a pensare in termini di male assoluto, bensì di scelte di campo.
Quanto alle elezioni nostrane condivido la sua sottintesa preoccupazione e mi sbilancio a dire che forse siamo andati oltre il lecito, giacché ritengo il formalismo l’anticipo delle camere a gas.
Nella speranza di averla accontentata, la ringrazio dell’attenzione. Buona lettura, nell’attesa di ulteriori sollecitazioni.
Dionisia
P.S. Nel 2010, un giovane in cerca di una strada, iniziò a frequentare l’università a Damasco per studiare l’arabo e così avviare una carriera da fotoreporter di guerra. Il fatto mi preoccupava molto e ne informai chi di dovere, oltre al genitore, tanto più mi preoccupava una affascinante giovane conosciuta in loco che in breve divenne sua amica, non credo amante. Il giovane vagò un po’ in Yemen e su confini pericolosissimi. Un giorno, all’improvviso, dopo pochi mesi smise di viaggiare, il perché non so.
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Cortese Dionisia, pubblicando un articolo di terzi credo debbano esserci opinioni condivise ed il mio ristretto stimolo esternato per comprendere maggiormente il suo pensiero.
Apprezzo molto educazione e disponibilità, se posso, cosa vide in Yemen?
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