La giustizia come equità ovvero quasi tutti vorrebbero delinquere con le minorenni e non essere puniti

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Ascoltato il dispositivo della sentenza “Ruby”, la maggior parte degli italiani non ritengo riesca a ricordare granché degli studi fatti a scuola di quanto Immanuel Kant, nel tentativo di fare chiarezza sulla necessaria distinzione tra mondo sensibile (naturale) e mondo intelligibile (metafisico), la cui confusione aveva portato – prima di lui – ad un punto morto teorico e pratico, avesse detto a proposito della separazione della libertà morale (autodeterminazione della volontà dell’uomo mediante un atto razionale) dalla libertà politica (la costrizione della volontà sotto leggi esterne). L’uomo – secondo Kant – deve sempre far valere la parte intelligente di sé, e quindi comportarsi come se all’interno della sua coscienza ci fosse una Corte di giustizia (!) che giudicasse del suo agire.

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Un essere ragionevole, in quanto intelligenza (quindi non dal lato delle sue facoltà inferiori) deve considerare se stesso come appartenente al mondo intelligibile e non al mondo sensibile. Questi pensieri dovrebbero stare (nella mia mente poco “filosofa” ci possono essere equivoci e vuoti di memoria) nello scritto politico “Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi”, elaborato nel lontanissimo 1743 e in cui Kant definisce la libertà politica come diritto esterno, limitazione della libertà di ognuno alla condizione dell’accordo di questa con la libertà di ogni altro. Fra tutti i contratti (per ognuno la Costituzione dovrebbe essere il contratto per eccellenza) con cui una moltitudine di uomini si unisce in una società, il contratto d’instaurazione di una costituzione civile tra essi è sicuramente il punto più alto in questa “materia” altamente drammatica. Sarebbero dovute essere ore di straordinario dibattito e, invece, sentivo una scampanellante “Presidentessa” che diceva: “Onorevole, lei ha un minuto per esprimere la sua opinione!”. Minchia, come siamo ridotti! L’unione di alcuni/molti per un qualsiasi comune fine (che tutti hanno) si ritrova in tutti i contratti sociali. Ma un’unione di molti che sia fine a se stessa (che tutti “devono” avere) e dove gli uomini non possono evitare di influire reciprocamente tra loro, è dovere primo e incondizionato: una tale unione si dà solo in una società che si trovi nello Stato civile, vale a dire quando costituisca un corpo comune. Quanto siamo costretti a vedere in Parlamento, sotto l’esempio negativo di un ragazzotto vanitoso e altamente spregiudicato (propenso a tradire i suoi alleati di un ora prima pur di salire in vetta), che il direttore del Il Sole 24 Ore, Roberto Napolitano considerava ignorantissimo, è certamente figlio di una assoluta assenza di ragionamenti complessi che dovrebbero emergere nel momento in cui si discute delle libertà e, in sostanza, della Libertà. Parola che più di ogni altra ha ricevuto significati diversi e che abbia colpito la mente in tante infinite maniere. Ciascun “governante”, ciascun popolo, ciascun cittadino piega la parola “libertà” al proprio governo o alle proprie condizioni desiderate ma, dopo Montesquieu non ci sono dubbi che la libertà politica non consiste affatto nel fare ciò che si vuole quanto nel fare ciò che si deve volere evitando che anche un solo cittadino possa fare ciò che le leggi proibiscono. Questa base di ragionamento non ha alcuna correlazione con le “frette” renziane e i suoi “noi tireremo dritto”. Passo dopo passo, a cerchi concentrici, come siamo abituati a fare per prudenza e motivi di sicurezza, ci stiamo avvicinando al cuore dell’oscena rappresentazione in essere.

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Attenti che chi sapeva pensare più e meglio di Matteo Renzi, aveva chiaro che solo una costituzione che garantisca dagli abusi di potere esprime una società di uomini liberi.

E’ vero che nelle democrazie sembra che il popolo faccia ciò che vuole ma la libertà politica non consiste affatto nel fare ciò che che si vuole. Questo vale per ciascuno di noi ma soprattutto per l’uomo politico a qualunque livello lo si voglia considerare. Mai deve fare ciò che vuole a prescindere dalla legge. In uno Stato (dove prima della sentenza Ruby pensavamo ancora di stare), vale a dire in una società dove ci sono delle leggi, la libertà può consistere soltanto nel poter fare ciò che si deve volere e nel non essere costretti a fare ciò che non si deve volere. Bisogna fissarsi bene nella mente che cosa è l’indipendenza, e cosa è la Libertà. La Libertà è il diritto di fare tutto quello che le leggi permettono; se un cittadino potesse fare quello che esse proibiscono, non vi sarebbe più libertà, perché tutti gli altri avrebbero del pari questo potere. Vedete che ci siamo arrivati. Se Berlusconi si fotte impunemente le minorenni, ogni cittadino potrebbe ritenere di averne pari diritto. Dopo la sentenza Ruby, siamo a “tana libera tutti” che era un gioco che facevo (poco) da ragazzino.

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Justice is fairness: la giustizia, per alcuni (non per le toghe di Cassazione che – evidentemente – non sanno l’inglese) si identifica con l’equità ossia con “la parità di trattamento”. Oggigiorno (lo è da molto tempo ma da ieri la situazione con la sentenza assolutoria nel caso Ruby si è di molto aggravata), uno dei problemi fondamentali delle società democratiche è la mancanza di un accordo sull’organizzazione delle istituzioni affinché realizzino la giustizia tra cittadini liberi e uguali. Ripeto: uguali! La giustizia è il primo requisito delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. Perché a lui sì e agli altri non è concesso lo stesso “diritto” di delinquere e di farlo, paradossalmente, “garantito” dalla legge? Non pochi pensatori si sono adoperati per proporre la giustizia come equità con scarsi successi all’atto pratico. Mi farebbe piacere – ad esempio – sapere dal filosofo Massimo Cacciari (più che dall’ex politico) cosa pensa di questa assoluzione che genera figli e figliastri, nella stessa Repubblica. La Giustizia dovrebbe essere esercitata dai giudici ricordando prioritariamente che la giurisprudenza deve tendere, con le sue sentenze generanti precedenti, a garantire eguali (tutti vogliamo fottere con chi ci pare!) diritti e libertà fondamentali (io fotto con chi mi pare!) ma in condizioni di equa uguaglianza (tutti hanno diritto a fottere!) delle opportunità, e dando (e qui casca l’asino) il massimo beneficio ai membri (scusate il termine che non vuol essere allusivo) meno avvantaggiati della società. Così recita, in filigrana, la Costituzione Italiana, araba fenice risorta dalle ceneri generate dalla guerra nazifascista. Ma di cosa parliamo? Provatevi ad andare (in quel caso addirittura il “povero pervertito” lo faceva con il consenso della madre della ragazzina quindi più consenziente di così si muore) con una minorenne ai Parioli, in una casa a Viale Rossini, e vedete cosa vi succede.

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Lo sa quel poveraccio del marito della Alessandra Mussolini che, per provare – in sedicesimo – le emozioni “arcorare bungabunghesi” del compagno di partito di sua moglie, non solo i giudici volevano buttare la chiave del carcere ma, ancora un po’, la focosa nipote del duce, glielo voleva tagliare, dopo averlo allontanato da casa. Al marito si negano gli accoppiamenti con le ragazzette e al capo del partito “forzista” si concede la patente di “fottitore ufficiale di minorenni nord africane”. Povero Kant, poverissimo Montesquieu. In sentenza speriamo che emerga nel dispositivo scritto il particolare che le magrebine “sviluppano prima” e che se anche minorenni, in realtà, non lo sono. Volesse il cielo, così ci liberiamo di quel cumulo di cazzate riguardanti la nipote di Mubarak e se Lele Mora, Nicole Minetti, Emilio Fede siano o meno degli sfruttatori della prostituzione. La sentenza speriamo abbia approfondito il tema posto dalla giovane/adulta abbronzata quando dichiarava di “essere il culo” del Presidente del Consiglio. Forse era semplicemente una millantatrice complice, ben pagata, per partecipare alla costruzione del mito del “drago divoratore di giovinette”. Quello stesso “drago” che ritroviamo nelle dichiarazioni pubbliche della moglie Veronica Lario. Quello stesso drago (La Loggia del Drago) che troviamo nelle affermazioni di Giole Magaldi quando attribuisce a Silvio Berlusconi di aver innalzato (fatto innalzare perché viceversa non ne avrebbe avuto l’autorità) le “Colonne Jachin e Boaz” per fondare un loggia massonica tutta sua. Veronica Lario parla del “drago”; Giole Magaldi evoca un “drago”; aspettiamo il terzo indizio per avere certezza che questo luogo latomistico non solo esiste ma nel “tempio del Drago” ci si intratteneva/intrattiene secondo un rituale riservato a pochi aristocratici di “sangue blu”. Nel significato, a scanso di ogni equivoco e di ogni ingiustificata querela, di alto lignaggio.

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Ma, alla fine della Fiera, a noi, come cittadini della sputtanata Repubblica Italiana, adesso che è riuscita dalla tomba la “squadra speciale ammazzasentenze”, chi ci indennizza? Perché di una squadra speciale si tratta dal momento che cominciò ad addestrarsi a non far ritrovare mai i responsabili (concorso morale?) dell’omicidio del povero Mino Pecorelli salvando, in sentenza  con 24 anni chiamati dal PM, due fuori classe della storia repubblicana: Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti, rigorosamente in ordine alfabetico. Provo a dire la mia rischiando grosso con questi calibro 12: ll filo nero (ma le toghe non erano rosse?) che ha tenuto anche in queste ore in cassazione ha il “capo” quando Bettino Craxi si salva dalle mazzette per la super Metropolitana milanese. Che fine abbia fatto Bettino Craxi lo sapete tutti. Che fine potrebbe ancora fare Silvio Berlusconi è più difficile da immaginare. Comunque, finché c’è vita c’è speranza e, come diciamo a Leo Rugens, sognare non è reato. Il sogno ha solo una funzione strategica secondo le più recenti teorie.

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Corrado Carnevale si sentirà torcere le budella dall’invidia. Una sentenza così l’avrebbe voluta pensare e redigerla lui. Ma ai suoi tempi, nessuno si sognava di fare le orgette con le ragazzine (comunque era difficile che i democristiani si facessero beccare con le minorenni) e le sentenze di Cassazione che il sommo giurista “andreottiano” elaborava, dovevano servire a coprire segreti di Stato, autori di stragi suggerite da paesi terzi, collusioni con la criminalità organizzata, maxi truffe ai danni dell’erario. Altri tempi! Altri costumi! Cose serie, non queste storie di preservativi e di pillole di viagra.

Oreste Grani/Leo Rugens