“Un minuto demoni cristiani! Vi do un minuto!” Dalla letteratura alla realtà

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Ragionamenti dedicati ad un amico che sta scoprendo quanto fosse difficile estrarre dalla realtà ciò che c’era ma non si vedeva. Difficile se non impossibile anche per lui che, invece, avrebbe dovuto saperlo fare.

I tre veicoli erano finiti nel letto asciutto e poco profondo di un fiume. La luce incerta del crepuscolo aveva occultato le dimensioni reali dell’avvallamento: la dimensione ideale per un’imboscata. Una voce isterica tuono in arabo da un megafono : “Cristiani! Crociati cristiani nella terra dell’Islam! Siete prigionieri della guerra santa dell’esercito di Abu Bakr Al-Baghdadi (il nome ovviamente era un’altro! ndr). Non avete via di scampo. Tutto il mondo lo saprà! Abbiamo un uomo con la telecamera: tutto quello che faremo apparirà sui vostri teleschermi. Su internet, nelle case delle vostre famiglie. Vi filmeremo anche adesso! Arrendetevi alla telecamera, salvate le vostre vite! Allah è misericordioso con i crociati che abbandonano gli eserciti del demonio! Nessuna pietà per i traditori che servono giudei e cristiani! I cristiani dicono di amare tutti. Noi qui abbiamo il vostro servitore. Qui abbiamo il traditore musulmano che serve gli infedeli. Gli taglieremo la testa. Nessun vero musulmano serve giudei e cristiani! Se amate questo uomo come dite, salvatelo. Mostrategli la vostra pietà. Volete vedere quest’uomo con la testa mozzata? Deponete le armi, ora. Arrendetevi alla misericordia di Allah, ora! Salvate lui e voi stessi! Un minuto demoni cristiani! Vi do un minuto!“.

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Alcuni anni addietro qualcuno scriveva (non dico chi per non distrarvi da quanto voglio significare) questo “brano” di finzione letteraria. Forse, per capire quanto sta accadendo e non trasecolare di fronte alla cronaca (sostanzialmente le frasi appena riportate e le cronache giornalistiche dell’oggi coincidono fino ai dettagli macabri) è opportuno leggere di più e, dopo aver letto di più e con l’opportuno anticipo, poter influire sui centri decisionali (cristiani e giudei come direbbero i tagliatori di teste) tramite “intelligence culturali” nel frattempo fattesi autorevoli grazie allo studio di quella dialettica, multipolare e pluridimensionale, nella quale è necessario saper arrivare a distinguere le minacce di tipo convenzionale dalle minacce emergenti. La minaccia convenzionale è generalmente associata ad un governo o a gruppi di potere con un’identità definita, ha un sistema lineare di azione e sviluppo ed è, dunque, gestibile da una intelligence tradizionale, bene addestrata con capacità e tecnologie convenzionali e un metodo di analisi di tipo procedurale. Non è possibile affrontare, valutare risolvere, invece, le minacce emergenti con le capacità finora addestrate e con le tecniche in uso. Si tratta, infatti, di un tipo di minaccia non governativa e non specifica, non convenzionale, fortemente dinamica e accidentale, non lineare, non contemplata nella dottrina e quasi impossibile da prevedere. Per addestrare nuove capacità di “Intelligence culturale” abili a identificare i nuovi poteri e le instabilità emergenti ad ogni livello, per prevedere cambiamenti radicali e catastrofici, occorre modificare l’intera percezione e concezione del mondo, elaborando una potenziale comunità di Intelligence delocalizzata e detemporalizzata, cioè, ubiqua, capace di attivare in situazione organi periferici come centrali, in una nuova visione sistemica circolare non gerarchica e non verticale.

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Di queste cose e di altro, coadiuvato da “veri e propri fuori classe” reclutati dal sottoscritto tra gli studiosi della complessità transdisciplinare (in particolare mi riferisco alla altre volte citata Emanuela Bambara), si ragionava, sin dal 23/5/2006 (è la data in cui veniva licenziato il documento teorico da cui sono riprese alcune di queste riflessioni), negli uffici di Piazza San Lorenzo in Lucina. In queglo ufficio per anni si è “coltivava” la base teorica per la riforma dei paradigmi culturali che da venti anni guidavano (si fa per dire!) i nostri servizi segreti. Questi erano i nostri intenti e questa la nostra missione. In quegli stessi tempi, scoppiava lo scandalo artificiosamente costruito (verrà il tempo della chiarezza anche su chi furono i burattinai di quel clamore) denominato “Telecom/Super Amanda” e il progetto, ormai in via di definizione per determinare il “grande cambiamento” negli ambienti della “sicurezza italiana” (Sismi e Sisde) caratterizzati dai limiti che la sequenza degli scandali (decine e per decenni) aveva evidenziato, si fermò drammaticamente lasciandoci, da un giorno all’altro, senza le risorse che venivano, fino a quel momento – legittimamente – attinte da un contratto che ci legava allo Stato, tramite la Telecom di Trochetti Provera che, a sua volta, era stata accompagnata a ricevere quelle pingui commesse. Parliamo del contratto che più volte avete “intravisto” emergere in questo blog, legato alla vicenda del braccialetto elettronico e alla riorganizzazione del mercato delle intercettazioni telefoniche. C’era finanza sufficiente, in una cultura frugale quale era la nostra, per andare avanti con serenità e consegnare, entro pochi anni, alle autorità competenti liberamente individuate (ad esempio il senatore Massimo Brutti, il vice-comandante dell’Arma, gen. Roberto Santini, o l’attuale – da ieri e per fortuna della Capitale e dei suoi abitanti – Prefetto di Roma, Franco Gabrielli) il frutto dei nostri studi e delle nostre sperimentazioni. Ci preparavamo a suggerire alle donne e agli uomini pubblici di cui, a nostro insindacabile giudizio, potevamo fidarci, in che modo “concreto” si sarebbe dovuta e potuta accompagnare la transizione da quel ginepraio ortofrutticolo (Malpica, Broccoletti, Finocchi) che erano stati i “nostri servizi segreti”, all’intelligence culturale senza la quale tutto sarebbe stato vano. Parliamo, ad esempio, della difesa disperata della nostra sicurezza nazionale a cui, semi accecati, semi sordi, semi muti ci accingiamo, oggi, dieci anni dopo gli avvenimenti a cui facciamo riferimento, contro il “califfato” emergente.

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In che modo avremmo voluto che questo cambio paradigmatico avvenisse?

Principalmente attraverso alcune strategie di investimento finanziario rivolte a sviluppare e potenziare risorse globalizzate e territorializzate. L’intelligence deve investire in modo “intelligente” su partners istituzionali e privati, soprattutto in termini di prevenzione culturale e di costruzione di reti collaborazione su temi sociali e di assistenza civile tra aziende economiche e soggetti privati con organismi pubblici, che svolgano una funzione di “sentinella” nel territorio, senza dovere aspettare che le situazioni degenerino in condizioni di allarme per la sicurezza al punto da rendere necessario l’intervento militare. In particolare, occorre investire risorse umane ed economiche nella ricerca e nella formazione, nelle Università e nei centri culturali, nelle associazioni di volontariato e umanitarie. In passato, soltanto le minacce impellenti ed evidenti sono state ritenute idonee a giustificare grandi investimenti. Occorre, invece, modificare il nostro approccio adeguandolo al sistema globale con un intervento e investimento sistematico sul piano culturale e psico-sociale, superando le tendenze tecnicistiche e burocratizzanti che sono il residuo di un razionalismo scientista ormai desueto.
Sotto il profilo tecnico-tecnologico, si rende indispensabile un’architettura informatica e amministrativa che integri telecomunicazioni, computer e analisi, studi e sondaggi, per consentire l’integrazione, il coordinamento e l’interpretazione delle informazioni dalle fonti aperte e dei segnali e dei sintomi dell’Intelligence culturale in banche dati transdisciplinari ad alto grado di interconnessione diretta e con un sistema di gestione degli archivi che vada ben oltre le applicazioni correnti. Sistemi operativi di sicurezza multilivello sono cruciali per una Intelligence strategica efficiente ed efficace. È necessario, quindi, che specialisti del mondo degli istituti di cultura, delle imprese e della libera professione collaborino con le agenzie di informazioni per governare i “sistemi aperti” che sono, ormai, il terreno di conoscenza e di azione dell’Intelligence del XXI secolo. Un problema centrale, qual è quello dell’immissione dei dati, per esempio, è risolvibile soltanto con questa metodologia solidaristica e comunitaria, così come il coordinamento delle risorse umane adeguatamente formate a vivere e decidere in condizioni di alta indeterminazione e instabilità. L’Intelligence culturale comprende anche l’Intelligence economica. Una condizione di fragilità nel commercio internazionale e sui mercati finanziari costituisce un pericolo reale per il mantenimento di equilibri di pace e per la sicurezza. Ciò significa, innanzitutto, investire con una attenta programmazione nella ricerca scientifica e tecnologica con ricadute nel sistema applicativo economico ma con una visione prospettica di ampio respiro, spaziale e temporale.

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Tra le misure preventive di Intelligence non può non rientrare il controllo della corruzione e dei sistemi di interessi diffusi, ai limiti della legalità o spesso oltre confine, che sono come bombe innescate pronte ad esplodere imprevedibilmente. Gli ultimi fatti, nel mondo del calcio italiano, mostrano quanto sia necessario attivare quanto prima questo sistema di Intelligence culturale ubiqua, anche attraverso l’utilizzo di strumenti tecnici, come le intercettazioni, ma senza ridurre il sistema ad una burocrazia tecnologica, che non è in grado di interpretare elementi minori o solo apparentemente marginali nell’ambito di un sistema complesso globale. E qui tocchiamo un’altra questione strategica nella riorganizzazione dell’Intelligence: la formazione. Manca, ad oggi, un metodo di indagine e ricostruzione delle precondizioni di cambiamento, in tutte le dimensioni, da cui possa scaturire una crisi, una rivoluzione, un’aggressione, una rottura degli equilibri pericolosa per l’intero sistema Paese. Occorre, invece, mettere a punto una strategia metodologica transculturale e transdisciplinare, che addestri, sviluppi,. integri e coordini competenze diverse in ogni dimensione, capacità e abilità che siano rese collaborative sia verticalmente che orizzontalmente. C’è bisogno, quindi, di un radicale e profondo cambiamento di paradigma culturale, che consideri l’Intelligence come una comunità di esperienza e informazioni non classificate, provenienti dalla vita pubblica e privata, senza gerarchie di valore e senza frontiere nazionalistiche o ideologiche. Il nuovo approccio dell’Intelligence culturale integra le diverse discipline e le diverse prospettive etiche e religiose in una ecologia della mente e dell’intelligenza, per adattarci alla situazione globalizzata e trovarci preparati alle sfide future, in un autentico servizio alla pace e al bene comune, piuttosto che riprodurre una storia di affari di esclusiva pertinenza di un gruppo ristretto di responsabili, cui delegare la decisione e la selezione del bene di tutti senza verifiche e controlli. L’Intelligence deve, invece, diventare il cuore e la mente della vita democratica e del sistema del sapere e della politica. Ciò è possibile soltanto restituendo ai cittadini pari dignità di intelligenza civile e di compartecipazione ai processi e alle strutture di pace sociale. D’altra parte, trasparenza e pubblicità sono un principio cardine dello Stato democratico e la segretezza rappresenta una condizione eccezionale e non può essere una regola metodologica, neanche per ragioni di sicurezza, per le quali è, tra l’atro, una soluzione inadeguata.

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In questo contesto di trasformazione paradigmatica, un ruolo fondamentale è svolto dalla valorizzazione della funzione equilibratrice del Capo dello Stato come il referente primario e ultimo di garanzia del sistema democratico di informazione e sicurezza quale tutore dei principi e dei valori della costituzione e delle regole di convivenza intoccabili e irreprensibili. Per poter svolgere davvero questa funzione di garanzia, il Presidente della Repubblica deve poter contare su un sistema di rilevazione delle informazioni corretto e adeguato, che non può che essere costruito secondo i criteri di Intelligence culturale e ubiqua su indicati. Scrive Norman Cousin: “Il governo non è fatto per vedere le grandi verità: solo le persone possono vedere le grandi verità. I governi sono specializzati in verità piccole e medie. Devono ricevere istruzioni dal loro popolo riguardo alle grandi verità. E la verità riguardo alla quale devono ricevere istruzioni, oggi, è che occorre creare nuovi strumenti per affrontare i maggiori problemi sulla Terra”. E poi: “La migliore difesa di una nazione è una cittadinanza istruita”.

Questo “sproloquio” è dedicato, tra l’altro, ad un amico – di data recente ma che tale ormai considero – che si fa, ogni giorno, giustamente più curioso/dubbioso su ciò che, frequentandomi, gli appare di intravedere nei miei racconti. Ci sono – evidentemente – degli aspetti delle mie memorie che “non lo convincono”. Anche per aiutarlo a scoprire (anche se non dovrebbe averne bisogno vista la sua comprovata storia umana e professionale), in quella realtà (anche da lui a quei tempi “frequentata”), ciò che c’era “ma non si vedeva”, mi lascio andare a queste nostalgie.

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Tornando alla necessaria “rivoluzione culturale” che deve pervadere l’Intelligence e il mondo della sicurezza nazionale mi permetto – nella mia semplicità e ormai vecchio e tardo – di ricordare quanto il filosofo Norberto Bobbio era solito far notare: “Nella trasparenza delle informazioni e nella pubblicità della amministrazione pubblica risiede la distinzione tra il governo democratico e quello assoluto-dittatoriale.

Differenza non da poco ora che le truppe del Califfo sono alle porte di Damasco.

Oreste Grani/Leo Rugens

PS

Ben arrivato Prefetto Gabrielli. Ci lasci dire che di Giuseppe Pecoraro non se ne poteva più. Buon lavoro e, visti i tempi e gli avvenimenti che si prefigurano, buona fortuna.