Zenobia, Palmira e ciò che non può essere lasciato nelle mani del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi

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Ho scoperto 28 anni addietro l’esistenza di Palmira e della sua bellissima sceicca Zenobia. Prima, lo ammetto, non ne avevo sentito parlare – se non superficialmente – durante gli anni del liceo.

Alta, di colore bruno, carica di catene d’oro e di gioielli fino a svenire, una bella sceicca in vincoli sfilò a Roma nel 274 d.C., durante il trionfo dell’imperatore Aureliano, insieme a giraffe,elefanti libici, tigri appositamente aggiunte così come le suggestive alci. Cerano anche dieci donne precedute da un cartello che le indicava come Amazzoni. Zenobia soffocava quasi sotto il peso delle gemme, mani e piedi erano stretti da catene d’oro tanto che una guardia persiana le sorreggeva il colare, pure d’oro, che le cingeva il collo. Così possiamo ancora leggere nell’Historia Augusta Tyranni Triginta, XXX, 26.

Aureliano aveva voluto risparmiare la vita della bella sceicca ma non quella dei suoi consiglieri che furono tutti mandati a morte mediante atroci supplizi.

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Il suo nome, dicevamo, era Zenobia e Palmira la sua città, capitale di carovane e di deserti dai cui fondaci sete e aromi d’Oriente erano a lungo defluiti verso ogni punto dell’Impero, conferendo brillantezza alla vita mondana e all’abbigliamento delle dame nelle prefetture più algide. Ora però, dopo il breve sogno degli anni in cui Zenobia aveva conquistato Siria ed Egitto e Asia Minore e aveva desiderato di dare vita ad un convivio perpetuo dove gli ebrei, i cristiani e i pagani avrebbero conversato nel reciproco piacere e rispetto, la città dell’oasi, con il suo corredo di monumenti meticci, in cui anche ai posteri sarebbe apparso arduo distinguere il segno greco da quello partico o iranico o anatolico, si preparava a diventare, come apparve a Volney nel Settecento, rifugio degli sciacalli, capitale delle rovine e splendida fra le città morte.

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Speriamo che i seguaci dell’ISIS sappiano chi fossero Longino, Plotino, i sofisti Nicagora e Maiore, Apollonio il grammatico, Demetrio il geometra, Prosene il peripatetico, lo stoico Calliete e il poeta e filosofo Porfirio, perché in quella città – oggi nelle loro mani – questi signori appena elencati pensavano cose che ancora hanno un senso e che i grandi studiosi islamici, dopo il 622 d.C., hanno trattato con amore e rispetto. Cose complesse che rappresentano ciò che oggi siamo e ancora portiamo ad esempio quando proviamo a dialogare senza violenza e spargimento di sangue. Difficile che i tagliatori di gole sappiano che a Palmira si ragionava, secoli addietro, delle cose che ancora oggi non sono risolte ma che avrebbero riguardato anche loro e la loro inutile ferocia.

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Aggiungo un brano tratto da un reportage di Michail Ivanovic Rostovzev, docente di storia romana nella Palmira del Nord (appellativo con cui gratificava la neoellenistica Pietroburgo ai tempi della Grande Caterina, che dal canto suo ebbe la denominazione di novella Zenobia) i cui testi sulle vicende economiche e sociali del mondo romano e ellenistico sono ancora oggi fondamentali. Le righe che seguono sono tratte da un suo brano del 1932, tratto da Caravan Cities a cui tutti gli studi su Palmiria fatti successivamente, poco aggiungono. Per motivi di “spazio” mi limito all’incipit del lungo saggio. Se mostrerete di gradire il tema, a puntate, lo pubblicherò integralmente. Contribuendo così (spero) a far capire cosa (di gravissimo se non di irreparabile) stia accadendo, sulla faccia della terra, a seguito delle insorgenze un po’ dovunque dei seguaci del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Maledetti loro ma soprattutto quelli che eventualmente, per doppi, tripli giochi ed avidità senza fine, li hanno “inventati” e li alimentano, con armi e denaro.

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Le rovine di Palmira e di Petra sono indubbiamente fra i più romantici resti del mondo antico; in nessun luogo ne esistono altre che possano reggere al confronto; esse hanno un sapore esotico che non troveremmo altrove. Quelle meravigliose facciate tombali che si innalzano su uno sfondo di rocce colorate nelle fantastiche valli petree non possono mancare di scolpire per sempre il loro ricordo nella mente di chi le vede; e Palmira evoca sensazioni non meno vivide e non meno romantiche. Io avevo letto molte descrizioni di questa città prima di visitarla e le consideravo pezzi di bravura sensazionali. Devo, tuttavia, ammettere che sentii la magia d davanti a me i quello stesso fascino romantico che tutti coloro che giunti là prima di me hanno provato, quando, dopo un lungo giorno di  viaggio attraverso il deserto, le sue torri-mausolei si profilarono all’orizzonte, poi si staccarono lentamente dal quel velo di fumo che forma la sabbia alzata dal vento, sinché alla fine le colonne e gli archi spiccarono nettamente davanti a me contro lo sfondo grigio-oro del deserto. quanto più forte doveva essere l’impressione di quei viaggiatori che arrivavano a Palmira dopo un lungo,  faticoso e pericoloso viaggio a dorso di cammello e in compagnia di una scorta armata e non come noi a bordo di una comoda Ford o Chevrolet!

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Continua.

Oreste Grani/Leo Rugens